Chico Cesar – Vestido de Amor (Zamora Label/Chita Produçoes, 2022)

Basterebbe “Flor De Figo” a consigliare caldamente l’ascolto del nuovo album di Chico Cesar, il suo decimo, il primo registrato fuori dal Brasile, negli studi Feber di Parigi con il produttore franco belga Jean Lamoot. Ancora una volta il compositore e cantante della Paraiba ci regala un testo magicamente in bilico fra sentimenti quotidiani e metafisica, progressioni di accordi orecchiabili e melodie che introducono quell’elemento di contrappunto che apre al sogno e rimane nelle orecchie. “Ho cominciato a scriverla a letto, a San Paolo. E ho pensato: ‘Mi sa che con questa nasce un nuovo album’, nascevano di nuovo cose in me che dovevo condividere con gli altri, proprio mentre c’era in me un desiderio di incontro, di tornare ad abbracciare le persone, far festa, uscire per strada”. L’idea per canzone che dà il titolo all’album, “Vestido de amor”, è nata in Brasile; poi la sua scrittura è proseguita in Uruguay; ma è solo a Parigi che ha trovato la sua forma definitiva. Come tutto il dico testimonia della facilità con cui Chico Cesar riesce a viaggiare attraverso territori diversi e a legarli fra loro; e di riesca a passare da un genere all’altro mantenendo un suo filo conduttore profondamente afro-diasporico. E forse questo è l’album che più esplicitamente celebra l'incontro tra la musica brasiliana e la cultura africana, riannodando il filo con “Refavela” di Gilberto Gil le prime registrazioni di Carlinhos Brown e aprendo alle collaborazioni. Quelle parallele all’album (per “Mestre Môa do Katendê” con Filhos de Gandhi, ma anche i lavori e concerti recenti con Geraldo Azevedo, Laila Barin e Zeca Baleiro) Le due collaborazioni che spiccano a metà album sono quelle con due stelle di prima grandezza dell’Africa subsahariana. “La prima volta che ho sentito Salif Keita – ricorda Chico Cesar – è stato durante un viaggio da Barcellona ad Arnedo. Era l’89 o il 90, e ricordo di aver ascoltato una sua a cassetta e di essere rimasto stupito dalla sua voce. Mi ha affascinato anche la sua storia, quella di un uomo nato albino in un paese di neri, cosa che potrebbe essere vista come una maledizione o una benedizione. Per fortuna, le donne lo hanno visto come una benedizione ed è per questo che esiste Salif Keita, che non a caso è nei versi del suo primo grande successo “À Primeira Vista”. L’amicizia con Ray Lema è di lunga data e ha dato vita a tour in duo nelle Americhe, in Europa e in Africa. “Le mie radici africane sono organiche. Ray dice sempre che la musica del Nordest è molto africana, che Luiz Gonzaga è uno dei musicisti brasiliani più africani. Mi sento nordestino e africano” racconta Chico Cesar ha proposito dell’energetico brano che vede ospite il pianista e cantante congolese, “Xangô, Forrò e Ai”. E la kora, la chitarra elettrica e le percussioni africane sospingono un altro brano magico, questa volta in dialogo con un coro che guarda in faccia le ferite del mondo: “As lágrimas lavaram o mundo, mas o pranto não cessou / Era um buraco tão fundo” (Le lacrime lavarono il mondo, ma il pianto non cessò / Tanto era fondo quel buco). Ma c’è spazio anche per il reggae a tempo medio di “Corra linda” e “Na Balustrada”, per il romanticismo sussurrato di “Te amo, amor” o lirico in “Amorinha”, per la critica al vetriolo che prende di mira l’alleanza fra chi in Brasile ha disponibilità economica e fondiaria e i militari capitanati da Bolsonaro, il popolo dei «Bolsominions», il brodo di coltura in cui si moltiplicano i discorsi d’odio e le azioni predatorie che piagano il Paese. 


Alessio Surian

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