Francesco Guccini – Canzoni da intorto (BMG/Universal, 2022)

#CONSIGLIATOBLOGFOOLK

Francesco Guccini è tornato a cantare. Nella presentazione dell’album “Canzoni da intorto,” tenutasi a Roma il 10 dicembre presso il Teatro Quirino, a domanda diretta del giornalista Federico Guglielmi che presentava, il cantautore ha tenuto a specificare che il suo di qualche anno fa non era un ritiro dalle scene, ma dalla sua attività di scrittura delle canzoni. Non per scelta, ma più semplicemente perché di canzoni nuove, di storie nuove da raccontare non ne aveva più. Aveva però ancora le canzoni collezionate durante tutta la vita. Per interpretare bene questa operazione discografica, bisogna partire da qui e tenere bene a mente alcune considerazioni, forse diverse ma strettamente collegate tra loro. La prima è che Francesco Guccini è – come brillantemente scritto nel libretto che accompagna il disco - un “Cacciatore di Canzoni”. Guccini le colleziona, appunto, e le conserva “come i francobolli,” da quando a quattro anni comincia le sue prime esibizioni in un inglese alquanto improbabile – lo si potrebbe definire un grammelot pavanese – di fronte a una platea di divertiti militari americani giunti a Pàvana nel 1944. È una canzone di Bing Crosby e da quel momento in poi il giovane Francesco non si ferma più: conserva i brani che canta la sua mamma mentre fa le faccende in casa – e sono tutti pezzi degli anni Venti e Trenta –, conserva quelli che scopre grazie agli amici dei circoli della Fgci: lui non si iscrive da quel buon anarco-libertario che è e 
resterà tutta la vita, ma quelle frequentazioni importanti lo introducono nel mondo delle canzoni politiche, quelle di Amodei e di Michele Straniero, quelle dei Cantacronache; conserva poi le canzoni da balera, dove comincia a cimentarsi finalmente nell’esibizione pubblica. Insomma, la sua è una collezione che si presenta da subito vastissima e arricchita di giorno in giorno e di anno in anno: si tratta di una collezione popolare, politica, epica addirittura, che si muove indistintamente tra le canzonette sdolcinate degli anni Trenta e gli inni e i canti dei cantastorie medievali; per usare un termine dello stesso Guccini, si tratta di una collezione un po’ “fighetta”, e questo va inteso nel senso più alto del termine, perché si naviga, in maniera divertita, nei mari poetici e impegnati di Franco Fortini, di Giorgio Strehler, di Fiorenzo Carpi, di Sergio Liberovici, di Margot, di Ivan Della Mea, di Pietro Gori… Francesco Guccini canta tutta la vita queste canzoni, passando dalla balera all’Osteria dei Poeti fino all’Osteria delle Dame; le canta durante le “Pavanate” organizzate con gli amici (e gli amici sono tra gli altri Carlin Petrini, Roberto Vecchioni, Roberto Benigni, Paolo Conte e Guido De Maria), le canta ogni anno durante i mitici
dopo-teatro del Club Tenco, dove si inscena lo spettacolo nello spettacolo, il cabaret e l’osteria, il tabarin francese e la goliardia universitaria e dove la nuova classe intellettuale italiana, quella nata durante e dopo la guerra, si incontra, si riconosce e soprattutto sperimenta un modo diverso di fare cultura, da riprodurre poi a livello pubblico e nazionale. Ed è questa la seconda considerazione importante da tenere in conto rileggendo con occhio critico questo nuovo lavoro del cantautore modenese: se infatti egli è un grande cacciatore di canzoni, è con altrettanta forza un grande intellettuale della seconda metà del Novecento; durante la presentazione romana già citata lo ha ripetuto varie volte, ridendo, di essere stato da giovane uno snob e un fighetto. Lo ha detto col pudore di chi – venendo da un mondo antico – ancora stenta a credere che cantando canzoncine e mischiando l’osteria con Pietro Gori si possa far cultura al più alto livello (e rivoluzioni e poesia naturalmente…). È la cultura italiana della seconda metà del Novecento, che ha trasformato la canzonetta in Canzone d’Autore, l’illustrazione e la satira in una forma d’arte, così come il giornalismo di costume in una forma letteraria e, in più, ha messo tutto questo insieme: non è un caso che nel libretto del disco si parli insieme di figure come il manager Fantini, Bibi Ballandi e poi il mitico Bonvi. Il risultato è stato mostrare come l’arte, la musica, la poesia, la letteratura, la cultura nel suo insieme possano essere popolari, possano essere allegre, senza fatica, senza mettere distanza, possano essere come “La Leggera” toscana insomma; e anche come la politica possa essere interpretata in molti modi, non solo tragici. Possa essere riletta in modo epico ma anche in modo ironico… come canzoni da “intorto,” per esempio. Lo spiega Guccini: difficile immaginare “Morti di Reggio Emilia” come canzone da utilizzare per imbonire e conquistare le ragazze. Ma in un certo contesto, in un
mondo ormai lontano, in certe feste organizzate quando la zia lascia la casa libera, con la chitarra in mano, un repertorio da cacciatore di canzoni può essere proprio quello che ci vuole per sperare che una di quelle ragazze che “non la danno mai” possa fare finalmente un’eccezione; alle donne si dice che piacciano ricchi e belli; ma da sempre si sa che preferiscono i poeti. Ricapitolando: chi ascolta per la prima volta questo album di canzoni scritte da altri, deve ricordare che Guccini è un cantautore molto amato, forse il più amato, che è un cacciatore di canzoni, che è un grande intellettuale e che è un fantastico affabulatore. Lo si potrebbe ascoltare per ore: e si vede che, anche se preferisce non spostarsi dalla sua grande cucina di Pavana, lavorare gli fa bene: gli occhi brillano, la risata si fa felice. Ha ottantadue anni e mezzo e la voce lievemente affaticata, ma questo disco va ascoltato così: facendo partire il piatto a 33 giri, facendolo girare, mettendosi intorno, a telefonini spenti o in modalità aereo, immaginando il Maestro che tra un brano e l’altro ce ne racconta la storia, fa una variazione o una digressione, e ci narra magari di Enrico VIII e Anna Bolena: allora ci ritroveremo davvero di fronte a Francesco Guccini, alla sua parte più vera, più amata. Con questo disco, insomma, il cantautore modenese ci ha aperto la porta di casa, ci ha fatto accomodare in quella sua famosa cucina. E lo ha detto chiaro nella presentazione di Roma: “Canzoni da intorto” è un disco che gli somiglia molto di più dell’omaggio comunque gradito che Mauro Pagani gli ha riservato negli anni scorsi. Proprio per questa ragione alcune critiche agli arrangiamenti, seppur comprensibili, ci sembrano non corrette: il clima da balera, o i richiami storici a certi suoni che immaginiamo magari medievali, i cori intensi e suggestivi, i ritmi che simulano certe orchestrine folk sono proprio il tappeto sonoro che occorre alla sua voce matura, al suo incedere leggero, all’intenzione ironica ... e da intorto, appunto. E se così non fosse, va tenuto presente che la persona che scrive queste righe è rimasta decisamente “intortata”. A proposito: pure se doveva restare un segreto, Guccini l’ha detto: le canzoni incise sembrano essere state di più e presto uscirà un nuovo album, la seconda intortata. Non vediamo l’ora. 

Elisabetta Malantrucco

Foto di Mattia Zoppellaro

Posta un commento

Nuova Vecchia