Fabio Macagnino – Sangu (Sveva Edizioni, 2022)

È un disco coriaceo, spigoloso ed osseo, questo "Sangu", lavoro che, a distanza di pochi mesi dalla raccolta di singoli "Pomodori Calabresi", segna il ritorno di Fabio Macagnino, cantautore ed attore calabro-tedesco, che, fra queste colonne, avevamo lasciato alle prese con "Candalia". Prodotto ed arrangiato da Mujura, già al fianco di Eugenio Bennato, il disco si apre con i nervi ritmici di "Eu non perdunu", inaciditi dai riff metallici del bouzouki e dagli ostinati forsennati degli archi. Anche "Cani lordu" segue trame simili, con un pattern ritmico secco, allungato da un basso elastico, ed i fraseggi della ciaramella a piazzarsi come tarlo nelle orecchie. A far da contraltare alle nevrosi dei primi due pezzi, troviamo "Fortuna", brano dal sapore antico, accompagnato dagli arpeggi intensi di una chitarra classica, e da timidi fraseggi elettrici, cantato- splendidamente- insieme a Simona Totaro. "Tarantella locca" ritorna a trame più serrate, con un marranzano psichedelico e degli archi asfissianti a segnare l'incedere ritmico, ed i riff della battente a coprire di sabbia. Anche "Figurati tu", giro di boa del disco, si colora dei toni polverosi della chitarra battente e del bouzouki, con un basso plumbeo, squarciato dalle ciaramelle, a completare l'opera. Il timbro argentino di una chitarra battente ci porta dentro "Ndri ndra", caustica invettiva contro la 'ndrangheta e, ancora di più, contro l'immagine inquinata che arriva della Calabria. Qui, a sparigliare le carte di trame ritmiche tempestose, ci pensano i fraseggi cuciti da mandolino, ciaramella ed organetto, e dal loro rincorrersi furibondo. "Janestra ma fici" arriva per distendere nuovamente le atmosfere del disco, snodandosi lungo sinuosi arpeggi di chitarra acustica e morbide svisature di mandolino, ben accompagnate da una linea di basso accogliente. "Catarinè" è, invece, un blues arido ed acido, con le incursioni di un violino e di un organetto a contrappuntare. Penultima traccia è "Gnignaru", pezzo dal forte afflato tradizionale, con un tripudio di chitarre a segnare la ritmica, ed i tappeti di ciaramella ad aprire dinamica ed atmosfera. A chiudere l'album ci pensa "Si fussi amuri", che, nei suoi stilemi fortemente cantautorali- è
accompagnato praticamente solo da chitarra e voce, con un paio di interventi di bouzouki e chitarra elettrica, ed un outro recitato, affidato a Daniel Cundari- fa da perfetta quadratura del cerchio, stemperando un disco dalle tinte forsennate. È un gran lavoro, quello fatto da Macagnino: un disco a cui non manca davvero nulla, né sotto il profilo musicale- riuscire ad alternare così sapientemente movimenti nevrotici e passaggi distesi non era facile- né sotto quello narrativo, con un uso "sporco" del dialetto che, soprattutto se cantato dalla voce graffiata di Fabio, risulta centrato ed interessante. Insomma, un ritorno piacevolissimo. 


Giuseppe Provenzano

Posta un commento

Nuova Vecchia