La finestra è una soglia da cui si rivelano le vicende umane, i paesaggi, il trascorrere delle stagioni, se aperta è un punto di vista da cui osservare il mondo e se stessi; stare alla finestra o al balcone al sud, poi, è anche un atto di esibizione e di ostentazione, ma, soprattutto nella musica popolare la finestra è il luogo sotto il quale si cantavano le serenate.
“A ‘sta frinesta”, è il titolo per la collaborazione artistica tra i cosentini Federica Greco e Paolo Presta, che mettono a segno un bel colpo, reinterpretando motivi della tradizione orale.
All’origine del duo, attivo dal 2018, la frequentazione del Conservatorio “Stanislao Giacomantonio” di Cosenza. Voci e due strumenti, il tamburello della Greco e l’organetto diatonico di Presta, non servono altri attrezzi. Il duo si è messo in mostra in festival locali, riscuotendo successi anche in contest folk regionali e nazionali. Greco e Presta dicono che “la scelta di utilizzare la voce, l’organetto ed il tamburello ha lo scopo di indagare le potenzialità di strumenti che ritroviamo nella tradizione, ma che in questo caso assumono una valenza diversa. Un patrimonio non più funzionale a pratiche socialmente accettate, ma ad un libero e personale sentire”. Se la dichiarazione non aggiunge tanto a una pratica estetica molto diffusa nel revival folk perlomeno da quarant’anni, nei fatti essa si traduce in un’opera convincente e per niente scontata di riadattamento di canti tradizionali della loro Calabria. Una proposta artistica sviluppata a partire dai documenti e dalle registrazioni raccolti sul campo da ricercatori in diverse aree della regione (Ottavio Cavalcanti, Collettivo Dedalus, Danilo Gatto, Antonello Ricci e Roberta Tucci): “La scelta del repertorio è partita dalla volontà e curiosità di ricercare maggiori informazioni su brani ascoltati nelle loro forme originali. Importante è stato poter ascoltare una serie di registrazioni che ci ha dato la possibilità di confrontarci in maniera diretta con sonorità, approcci vocali passati e forme dialettali arcaiche. Dopo un’attenta analisi dei brani abbiamo provato ad immedesimarci in essi e farceli calzare utilizzando un bagaglio culturale personale fatto di forme, tecniche, ascolti ed esperienze musicali diverse assimilate nel tempo". Il risultato è una personalizzazione dei brani che mantiene comunque un legame profondo con la tradizione orale, connesso principalmente alla melodia eseguita e ai dialetti parlati, ma che apre le porte ad un approccio che vede gli unici due strumenti utilizzati e le voci sotto una luce volta alla sperimentazione. Strumenti tradizionali che simulano strumenti moderni (tastiere, chitarre elettriche, basso, batteria, etc.) e i relativi effetti, ma anche altri strumenti della tradizione, ad esempio nel brano “Nu jornu ammazai nu puricinu”, l’organetto è suonato con l’intento di creare l’effetto dello “zucu” (tamburo a frizione) tradizionalmente utilizzato per l’esecuzione del brano.
Una canzone di scherno, “U quarantasette”, apre l’album, che prosegue con il cantato-recitato di “U re Bifè”, filastrocca di genere fantastico-umoristico, in cui citano il rapper Dr. Dre nella sua “Still D.R.E”. Chiare le procedure dei due musicisti, i quali intervengono sui profili armonici, ritmici e melodici, cercando, tuttavia, di conservare il mood originale dei testi e dei temi trattati. Cosicché sono introdotti sprazzi jazzati e improvvisativi, vocalizzi, giri riconducibili alla struttura rock. Si continua con “Spuntunera”, un brano di area silana (il titolo fa riferimento all’angolo della casa verso cui è rivolta la serenata) che rivela un piglio danzante alternato a un fraseggio minimale che esalta le diverse sfumature canore di Greco. Dal tono fantastico iterativo di “Nu jornu ammazzai nu puricinu” si passa all’avversione verso la guerra di “Caribardi” (Garibaldi) da parte delle masse contadine del Sud. Altro motivo di sofferenza è l’emigrazione cantata in “Marituma è jutu all’America” (ben conosciuta anche come “Catarinè”). Naturalmente, la festa è uno dei momenti del canto: “E cari signori” era un canto augurale di questua, portato nelle case nel corso delle festività natalizie e di Capodanno. Greco e Presta non eludono i canti di protesta, proponendo la “Strina du judeo”, i cui testi sono attribuiti a Nicola Palumbo su commissione dell’anarchico Francesco Martillotto. “Matajola”, invece, è un canto a contrasto tra padre e figlia. Infine, la title track, posta in chiusura dell’album, è una serenata, un canto alla “cruccuddisa” balcanizzato nella ritmica, che narra dell’opposizione all’amore di due giovani da parte delle famiglie risolta con la tradizionale fuitina.
Lavoro dalla presa immediata, un debutto rivelatore.
Ciro De Rosa
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