Annkrist – Enchantée (Cristal Iroise, 2022)/Jean-Claude Leroy (Coordination éditoriale), Annkrist, Livre+Album, Editions Goater 2021, pp. 244, euro 20,00

Il cofanetto triplo “Enchantée” concerne l’opera completa di una delle cantautrici più defilate, misconosciute e sottovalutate di terra francese e giunge a colmare un vuoto che considerate le sviste del mercato discografico aveva ottime probabilità di diventare definitivo. Oltretutto mai una ristampa degli originali vinili l’aveva preceduto. Figura affascinante e misteriosa, Annkrist lo è sempre stata fin dagli inizi negli anni Settanta, con un esordio-capolavoro dalle poetiche profondità autoanalitiche davvero abissali, dove solo Kirjuhel in Francia e Leonard Cohen in America avevano osato spingersi. Il seguito della sua carriera lo ha percorso su sentieri più battuti nelle sonorità ma non certo nei testi con canzoni che si sono aggirate in territori più prossimi alla poesia e alle arti pittoriche, figurative e talvolta cinematografiche. Il box è stato preceduto di un anno da un appassionato volume edito dalla casa editrice bretone Goater di Rennes e coordinato da Jean-Claude Leroy, che raggruppa i trentotto testi delle canzoni registrate all’interno dei suoi cinque dischi pubblicati tra il 1975 e il 1986, più altre ventiquattro inediti o rarità. Contiene inoltre una rassegna stampa ed una sezione fotografica d’epoca più una decina di appassionate testimonianze realizzate per l’occasione, tra cui quelle di Jean-Daniel Belfond (editore, critico musicale di “Paroles et Musique”), Jean-Luc Porquet (giornalista di “Canard Enchaine”), gli storici cantautori bretoni Gilles Servat e Gérard Ducos e alcuni amici intimi della cantautrice, tra cui il sottoscritto. Annkrist è nata a Menzel-Bourguiba, in Tunisia, da una famiglia di origine bretone che rientra a Brest quando lei ha l’età di otto anni. Compone canzoni fin dalla giovinezza ma il suo interesse maggiore va allo studio delle Belle Arti, è l’epoca dei grandi raduni musicali e politici anche in Bretagna e in maniera piuttosto occasionale e spontanea prende inizio una carriera di cantautrice che durerà dodici anni, prima del ritiro definitivo interrotto solo da qualche sporadica apparizione pubblica. L’ultima, il 13 aprile del 2002, ha avuto luogo a Vauban, nella regione della Borgogna-Franca Contea, all’interno di una edizione del festival itinerante centre-breton Dre Ar Wenojenn, diretto dal violoncellista Ronan Pellen e nel quale lei era invitata d’onore. Annkrist in Francia, le rare volte che qualcuno ne ha parlato, è stata perlopiù catalogata come “cantante folk celtica” quando invece non ha mai interpretato un brano tradizionale ma sempre e solo proprie composizioni ed unicamente in lingua francese. L’amata Bretagna, seppur presente, non è stata che lo sfondo di qualche canzone, il suo è piuttosto una specie di “blues bretone” che dipinge un mal di vivere e disagi comuni in ogni dove “una nuvola è scoppiata, una nuvola ha pianto forte...non ci sono più i battelli per il nord, Natale illumina le torri quadrate del porto… non si può in questo “bout du monde”* andare oltre l’angolo dell’onda che morde...l’assenza è una questione vuota in sé, forse lei ha preso la corda dal cielo...”. 
C’è costantemente un’angoscia nelle canzoni di Annkrist che sta sospesa su un fondale poetico romantico e nel quale la qualità roca della voce evocando elementi sensibili, fa scivolare le parole verso una forte sensualità “sono uscita dalla fabbrica con gli occhi feriti che peggiorano ulteriormente il mio poco fascino, la notte bagna la strada torbida come un canale, mi tengo in piedi senza essere in grado di fare un passo normale, che sia dritto...appare da un altro punto della notte un ragazzo che non ha vergogna di avvicinarsi...esplodo in frantumi...esco nella livida mattina, la strada dorme ancora, enorme e mostruosa come queste roccaforti addormentate nello spazio...dalle dita gocciola una acquerugiola che appiccica…”. Sono canzoni che conservano sempre una parte di enigma e una di fascino, nel loro straziante affermare una personalità alla ricerca continua dell’anima. Annkrist edifica in scrittura il suo universo emotivo in maniera confidenziale e senza nulla possedere dell’autrice sistematica. Non scrive esplicitamente canzoni d’amore, canta l’acqua, il fuoco, il vento, l’esilio, il mistero, i sortilegi che riconducono ad una forma di eternità, tutti elementi che piuttosto attorniano l’amore. Lascia intuire la bellezza di ricordi infantili, rivela il disagio delle periferie, il mare onnipresente e il vuoto delle strade di Brest: le forze che l’hanno elevata verso altre visioni “...cosa ce ne importava della Prigione 101, mi hanno messo all’angolo della strada dritta, nel buco di un bar blu lanterna, sentivo la melodia umida della musica di un bastardo, non sono guarita in Prigione 101, ci ritornerò un mattino perché hanno aperto la mia voce come si apre l’ostrica entrandomi nel cervello...”. Le liriche di Annkrist sono riflessioni dove l’immaginazione e l’osservazione si mescolano in umile e feroce armonia, sono le esitazioni e i tumulti della sua intimità, gli sforzi virulenti di comprensione contro l’indifferenza che la circonda. L’amore rimane sfuocato, sì da lasciare posto ai dubbi e alle molteplici variazioni, il suo è un invito alla bellezza e agli dèi che la portano. L’alchimia tra affettività e potenza delle parole che prendono corpo all’interno dell’acre voce di Annkrist, devono essere talvolta sembrate bizzarre a lei stessa quando afferma che le parole dell’amore non sono mai gran cosa, pietrificate dalla paura tenuta ben nascosta o quando si augura di non rivedere più al mattino l’uomo che le fa sentire i violini nella carne dei sogni. Rinnovando l’affermazione del poeta tedesco ottocentesco di origini ebraiche, Heinrich Heine: “dalle mie grandi afflizioni ricavo piccoli canti, che agitano il loro piumaggio sonoro fino a prendere il volo”. La sua Bretagna rivela simbolismi e bisogni imperiosi di spiritualità, spingendola sui cammini visionari dell’umanesimo contenuto nelle storie popolari, nelle profondità quotidiane in cui si insinua la tradizione. A ventiquattro anni, nel 1973, in pieno Rinascimento Culturale Bretone, si unì alla neonata cooperativa utopica Névénoé a Morlaix, dove incontrò giovani artisti in pieno fermento creativo quali Melaine Favennec, Gérard Delahaye, Yvon Le Men, Patrick Ewen e soprattutto la “sorella” arpista d’avanguardia Kristen Noguès. L’idea era di creare e produrre dischi in Bretagna, lontano dai circuiti commerciali parigini e di vivere un’avventura collettiva in cui ciascun musicista fosse a disposizione dell’espressione degli altri. Cosa che avvenne e generò nell’arco dei sette anni di vita del Collettivo, i più abbaglianti e visionari dischi di canzone d’autore che siano mai stati realizzati nella Regione Armoricana. Forse per celebrare Annkrist è oramai tardi ma... “meglio tardi che mai”. 


Flavio Poltronieri 

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* Così era identificata in antichità la Bretagna, ovvero l’estremo limite ovest delle terre d’Europa (letteralmente: fine del mondo). In Francia può capitare di sentirla chiamare così ancora oggi.

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