Souad Massi – Sequana (Backing Track/Wrasse, 2022)

Il brano di apertura di “Sequana”, “Dessine Moi Un Pays”, rivela, fin dai primi versi in arabo, una voce che “vive” le parole che canta, in questo caso ispirate dall'esperienza dell’esilio.  A sollecitare questa canzone a Souad Massi, una vita fra Algeri e la Francia, sono le recenti vicende afghane, come ha raccontato ad “Arab News”: “Quelle persone che si aggrappano agli aerei che lasciano Kabul quando tornano i talebani. È per loro che ho scritto questa canzone. Ma anche perché non posso sottoscrivere i discorsi che stanno sviluppando paura e che possono solo creare un Paese in cui le persone saranno discriminate per il fatto di avere un colore della pelle diverso dal bianco”. Ne è nata una canzone capace di indagare il presente e i nostri rapporti con gli altri, così come di infondere speranza rivolgendosi strofa dopo strofa ad una persona che sa essere ribelle, artista, capace di lottare per la libertà, erede dei partigiani della guerra d'indipendenza, consapevole che deve ancora lottare. A questa persona chiede di disegnarle un quadro finora mai disegnato, un quadro di gioia e di pace, un’idea di futuro “cantata” dal lirico flauto di Naïssam Jalal come avviene anche nel finale dell’album con “L’Espoir”, arrangiamento bossa di uno dei due brani composti da Michel Françoise. L’altro è “L’etoile”, altra canzone in francese arrangiata con sonorità acustiche e sospinta da energici ritmi, fra quelle utilizzate per lanciare l’album, a coniugare nei testi l’attenzione per il prossimo, ma anche la capacità di trarre ispirazione dall’universo e di sperare in un futuro migliore. I dialoghi musicali coinvolgono anche Piers Faccini che suona e canta in arabo e in inglese in “Mirage”, con un chiaro messaggio: “prisoner no more” che trasmette tutta l’energia di una raggiunta sinergia “nomade” fra i due cantanti, palpabile anche dal vivo.  Entrambi, infatti, sanno stare in felice disequilibrio fra sonorità acustiche ed elettriche e Souad Massi ha trovato, per questo album, una felice intesa con un produttore e chitarrista elettrico come Justin Adams, attento soprattutto a rispettare quanti più gradi di libertà possibili dal lato di chi compone e interpreta i brani. E così la paletta dei colori musicali può estendersi in ampiezza fino a recuperare l’anima rockettara e più scura che rimanda ai trascorsi giovanili con gli Atakor e qui si esprime in brani come “Twam”, caratterizzati da pennate secche e cassa dritta; un bel contrasto con gli andamenti country di brani della seconda parte del disco come “Chta” e la canzone che da il nome all’album, quella “Sequana” a ricordarci in arabo le criticità dell’adolescenza, rivolgendosi ad una divinità mitologica a guardia della Senna e delle proprietà curative delle sue acque: “Avevo comprato una statuetta. Facendo qualche ricerca, ho scoperto che si trattava di una copia di una statua di Sequana, la dea della guarigione! Un tempo la gente confidava i propri desideri alla Senna per curarsi e sentirsi confortata. Spesso sono andata sulle rive della Senna quando non mi sentivo bene... Nella canzone parlo del malessere dei giovani che non si aspettano più nulla. Cerco di mostrare loro che devono godere delle cose positive della vita. Quando qualcuno vi offre una rosa, non guardate le spine, ma i petali che hanno un buon profumo. Guardate l'arte e il futuro, quando è promettente. E la natura”. Poi, per ultima, arriva la ballata forse più sentita, cantata anche in spagnolo, “Victor”; sottotitolo: il suono della mano, ricordo sentito di Victor Jara, torturato e ucciso dal regime quasi cinquant’anni fa: “Era un artista che non aveva paura di morire per liberare il suo popolo e per la libertà di espressione. Volevo farlo conoscere ai giovani. È vivo nel mio cuore.”  


Alessio Surian

Posta un commento

Nuova Vecchia