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Chitarre in levare, wah-wah, ampi tappeti di archi e l’immancabile vena psych che anima tanta produzione di Glitterbeat Records fanno grossi occhiolini all’adorata Googoosh, l’indiscutibile diva della musica pop iraniana, e più in generale al soundscape disco dei club Mediorientali dell’epoca. L’aggiunta di arpeggiator e sintesi moderna (superbamente distribuita su tutto il disco) ci ricordano che questi stili sono una grande ispirazione, ma che la band non è ferma al passato. Ottimi esempi di questa sintesi sono “Mimiram”, “Gandomi” e “Tanha”, scritta nella giornata in cui i musicisti Iraniani sarebbero dovuti arrivare ad Istanbul. “Azizam” rimane ancorata in stilemi passati ma ha un passo più spedito, in parte grazie al riff di chitarra che apre la canzone e si ripresenta a più riprese nel pezzo. Altri brani incorporano invece più elementi della musica disco-funk, resa moderna e in linea con la produzione world e pop mediorientale degli ultimi anni. Pezzi come “Bishtar Behand” e “Junoonyani” e “Doone Doone” sono sorretti dai sintetizzatori e da ritmi più serrati, dietro cui fanno capolino molte altre delle influenze sopracitate.
Il brano che più colpisce lo fa però per caso, perché assume un enorme significato
simbolico date le circostanze politiche in cui viene rilasciato, ma non scritto. Il disco si conclude con una registrazione acustica della title track suonata dalle sole donne del gruppo, israeliane e iraniane insieme. Registrato in un’unica take alla fine delle sessioni di registrazioni in quello studio di Istanbul, il brano voleva forse salutare le ospiti e rimarcare una sorellanza internazionale. L’omicidio di Mahsa Amini per mano di agenti della gasht-e ershaad (la polizia religiosa iraniana) il 16 Settembre scorso ha scatenato rivolte e dimostrazioni in tutto il paese. Video di tagli di capelli, veli bruciati e dimostrazioni pubbliche hanno inondato il web mostrando la giovane resistenza iraniana che combatte il regime Islamico in nome della libertà e della parità di genere. È davvero difficile non romanticizzare questo brano al femminile alla luce di questi eventi, ma d’altra parte ci si piò sentire giustificati a farlo. Temi femministi sono ricorrenti nella produzione artistica di Liraz, così come il suo rivolgersi agli iraniani e in particolare alle iraniane nelle sue canzoni, a cantarle per loro. L’omicidio di Mahsa Amini è d’altronde la goccia che ha fatto
traboccare un enorme vaso che si riempie dal 1979. Da allora, le donne non possono cantare se non in un coro e i fautori di queste limitazioni sono gli stessi che impediscono a molte famiglie di ebrei iraniani (ed esuli iraniani in generale) di riabbracciare i propri cari o collaborare internazionalmente. Sentire la voce di Liraz che rompe in pianto nell’ultimo ritornello e le musiciste abbracciarsi a pezzo concluso spezza il cuore in questo contesto. E anche se non fa lo stesso effetto, la versione originale porta con sé la tremenda forza di un collettivo che sogna un futuro migliore, e tatuato nella descrizione del video è ‘Zan Zendeghi Azadi’.
Edoardo Marcarini
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