Tre nuovi libri sul male della tarantola

Roberto Lupo, Tarantismo senza tarantati, Musicaos Editore 2022, pp. 113, euro 15,00/Donato Verardi, Camilla Cavicchi, Alessandro Arcangeli, Il grande danzatore. Il tarantismo e il potere del ballo nella prima Età moderna, Kurumuny 2022, pp. 94, euro 13,00/Armida Costa, Barbara Costa, La tarantella. Storia aneddoti e curiosità del ballo popolare più famoso del mondo, Kurumuny 2022, pp. 112, euro 13,00

Nonostante il fenomeno del tarantismo negli ultimi anni sia stato oggetto di una miriade di studi e  un profluvio di pubblicazioni di vario genere (e di molto varia qualità), l’interesse per questo “dispositivo culturale” continua a rimanere alto e non accenna a placarsi quella che Clara Gallini chiamava l’“affabulazione” capace di suscitare. A testimoniarlo tre recenti uscite librarie che, nell’ambito di un comune obiettivo – una riflessione critica sulla sterminata letteratura storica sull’argomento –, ne approfondiscono alcuni tratti, secondo prospettive interessanti e per certi aspetti originali. Il primo testo su cui intendo soffermarmi è Tarantismo senza tarantati (Musicaos edizioni 2022) nel quale Roberto Lupo – medico di professione – propone una sintetica rassegna delle interpretazioni scientifiche e psichiatriche del fenomeno, inserendosi a suo modo nella lunga tradizione dei trattati sul tarantismo scritti proprio per mano di medici. Particolarmente significative appaiono le pagine in cui l’autore evidenzia come il rapporto con il “male della tarantola” abbia da sempre interrogato lo statuto stesso della disciplina medica, e più di recente quella psichiatrica e psicoanalitica. Nella parte finale del saggio l’autore osserva come oggi l’antico rito sia scomparso nelle maniere replicate in centinaia di anni, restando però vivo nelle forme di un vasto e complesso movimento culturale, con evidenti risvolti sul piano delle politiche dello spettacolo del vivo e del turismo. Un “tarantismo senza tarantati” su cui ritorna Eugenio Imbriani, antropologo dell’Università del Salento, nella introduzione, sottolineando come negli ultimi tempi il fenomeno “sia entrato nelle dinamiche del consumo culturale e tra i saperi diffusi, similmente a quanto è accaduto nei secoli scorsi”, con la differenza che oggi “questo processo è guidato dalle politiche culturali che promuovono i territori nell’ottica di una offerta rivolta particolarmente all’esterno, ai visitatori, ai turisti, attraverso rappresentazioni che hanno finalità attrattive ed esotizzanti”. Dinamiche non intrinsecamente negative ma che “purtroppo spesso si fondano su un uso spregiudicato dei saperi locali, della pietà popolare, della cultura popolare in generale, investendo in narrazioni semplificate e in forme spettacolarizzate degli eventi”.
La seconda segnalazione riguarda una raccolta di saggi da poco uscita per la “piccola biblioteca sul Tarantismo” di Kurumuny, “Il grande danzatore. Il tarantismo e il potere del ballo nella prima età moderna”, che comprende tre testi, uno inedito e due già noti (ma poco accessibili), sul ruolo che la terapia coreutica e musicale ricopre in alcune storiche interpretazioni del fenomeno. Nel primo, Donato Verardi – con Il grande danzatore. Il tarantismo e i poteri della musica e del ballo, a mio avviso il contributo più significativo, anche perché inedito – si sofferma su un passo del De Vita di Marsilio Ficino con un’analisi densa e puntuale che mette bene in evidenza come il grande filosofo della Firenze rinascimentale interpreti il fenomeno nell’ambito delle proprie teorie sulle connessioni fra ordine cosmico e teoria musicale, arrivando anche a individuare la lira quale strumento elettivo per la cura. La scena di iatromusica nella Phonurgia Nova di Athanasius Kircher, a firma di Camilla Cavicchi, è invece dedicata a una delle prime immagini associate al tarantismo, contenuta nell’opera del 1673 del celebre gesuita, che come è noto per primo trascrisse le musiche “terapeutiche”. La scena riportata dal Kircher rappresenta tre “tarantati che ballano” e un musicista, in una campagna brulla circondata da edifici dell’epoca e alberi da cui pendono grossi ragni. Il suonatore imbraccia uno strumento identificato come un “protoviolino”, tipicamente cinquecentesco; una ragazza gli balla affianco mentre più distanti due tarantati danzano imbracciando delle spade, secondo una consuetudine terapeutica ampiamente attestata nella letteratura storica sull’argomento, come molto di recente ha confermato la preziosa testimonianza rintracciata da Alessandro Di Muro e risalente ai primi decenni del XI secolo – quindi precedente alle fonti più antiche specificamente riferite al tarantismo – in Garioponto, eccelso esponente della scuola medica salernitana. Infine, Alessandro Arcangeli, in “La danza tra la malattia e la cura: il medico e la tarantella” prende in esame le trattazioni intorno al tarantismo in alcuni autori della “prima età moderna” – periodo questo di larga diffusione di “epidemie coreutiche” e di “convulsioni provocate dal morso di animali velenosi o rabbiosi –, inscrivendo il fenomeno in una discussione sulla “capacità di musica e danza di influenzare efficacemente la salute umana”.
Per concludere, l’ultima pubblicazione riguarda solo parzialmente il tarantismo. Si tratta della riedizione – sempre per la collana dedicata delle edizioni Kurumuny – del libro di Armida Costa e Barbara Costa “La tarantella. Storie, aneddoti e curiosità del ballo popolare più famoso del mondo,” inizialmente pubblicato nel 1999 da Newton Compton. L’agile volume affronta il tema, non certo facile da districare, delle origini e della diffusione della “tarantella”, con alcuni meriti (ad esempio l’attenzione all’inserimento del mitico ballo in una sorta di proto industria turistico culturale già nella Napoli del ’700 e un ricco apparato iconografico) ma a mio avviso qualche significativo limite, a partire dal fatto che nell’analisi delle fonti descrittive sui balli dell’epoca non viene affatto preso in considerazione il nodo problematico del rapporto fra “tarantella” e “ballo sul tamburo/tammurriata”, che frequentemente nelle descrizioni colte arrivano a coincidere, per cui forme coreutiche tra loro distinte cadevano invece indistintamente sotto il nome universalmente più noto (come continuano a fare anche le autrici). Con queste riserve, a cui aggiungerei la bibliografia ferma alla prima edizione ormai datata, può essere una gradevole introduzione all’argomento.

Vincenzo Santoro

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