Guido Coraddu – Miele Amaro (WMusic Italia, 2022)

La Sardegna è un universo di suoni nel quale immergersi mentre negli occhi si ha la tutta la sua bellezza, la sua storia millenaria e la sua straordinaria tradizione, un patrimonio di cultura immateriale inestimabile che viaggia verso il futuro attraverso gli artisti a cui ha dato i natali e quanti vi hanno trovato fertile ispirazione. A cogliere l’articolata complessità dell’identità culturale sarda in un affresco che ne è compendio letterario è “Miele amaro”, pubblicato nel 1954 da Salvatore Cambosu e nel quale sono racchiusi frammenti di un mondo sconosciuto tra racconti, poesie in lingua limba e documenti. Nel medesimo filone concettuale si inserisce il lavoro compiuto, quasi settant’anni dopo, dal pianista cagliaritano Guido Coraddu, noto per la sua militanza nel quartetto Musica ex Machina, che nella sua opera prima per piano solo, ispirata nel titolo proprio a quel libro, ha raccolto tredici brani che raccontano la storia della scena jazz sarda, attraverso tre generazioni di compositori e strumentisti, diversi per background artistico ed età, un insieme di idee, suoni, avanguardie e sperimentazione che hanno contribuito in modo determinante ad alimentare quella nazionale ed internazionale. Misurarsi con un corpus di musiche così diverse è stata un impresa non da poco ma ha fruttato un lavoro non privo di fascino. Si tratta, infatti, di un vero e proprio itinerario sonoro che si dipana su due essenziali traiettorie quella interiore e riflessiva all’interno della propria anima e del proprio senso di appartenenza alla cultura della sua terra e quella dell’esigenza di ripercorrere una vicenda musicale piena di fascino nella sua mutevolezza e inafferrabile complessità. Accolti dalla copertina che riprende un’opera dell’artista sardo Costantino Nivola, lo ascoltiamo seduto al suo pianoforte mentre riscrive composizioni note e perle dimenticate, brani intensi e vibranti di una fermento creativo che non ha mai smesso di caratterizzare il tessuto artistico dell’isola sonante. Ad aprire il disco è “Another Road to Timbuktu” di Paolo Fresu, più volte riletta dallo stesso autore e che nella versione del Devil Quartet ha trovato la sua più alta cristallizzazione, e che apprezziamo qui riscritta per solo piano in una versione che mette in luce tratti e sfumature nuove. Se dal repertorio di Bebo Ferrara arriva “Toral” dal disco “Mari Pintau” del 2003 e che mette in luce il forte legame del chitarrista con la sua isola, da quello di Enzo Favata è tratta “Contami Unu Contu” da “Voyage en Sardaigne“ del 1997 nelle cui pieghe si coglie la ricerca in ambito world compiuta dal fiatista sardo. Piena di suggestioni è la sequenza tra avanguardia e free jazz in cui ascoltiamo “La Strana Storia Di Teddy Luck” del Massimo Ferra Trio, “Cannonau” del chitarrista Marino De Rosas qui esaltata nella natura sperimentale della struttura musicale e “Launeddas” da “Totem” del 1988 del Riccardo Lay Quartet. La descrittiva “Dune” della pianista Silvia Corda ci conduce nelle intersezioni tra musica contemporanea e tradizione, per giungere alla creatività lasciata libera in “Sa Bruscia” da “Perdas De Fogu” del 1975 di Marcello Melis. Sullo stesso filone si pongono anche “Pane Caiente” di Gavino Murgia e “Domus de Janas su Forru de Luxia Arrabiosa” della giovane e talentuosa Zoe Pia dal pregevole “Shardana” del 2016. Il vertice del disco arriva nel finale con la splendida versione di “Linea di fuga” del chitarrista Paolo Angeli e “Hola” da “Piano Solo” del geniale Antonello Salis che spicca per la articolata costruzione armonica. L’autografa “Pensamentos” chiude un disco da ascoltare con attenzione per cogliere l’impronta di Coraddu nel firmare le sue riletture che diventano la base di partenza per un esplorazione sonora a tutto campo attraverso i suoni della Sardegna. 


Salvatore Esposito

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