Giovanni Vacca, Memorie della canzone francese – Nascita di un genere musicale (1848-1945), LIM Libreria Musicale Italiana 2022, pp. XI+127, Euro 18,00

Non poteva essere più appropriata la citazione benjaminiana in esergo che mette in relazione Parigi e il Vesuvio, non solo per la suggestione estetica e storica, ma per la produzione scientifica stessa del musicologo Giovanni Vacca che del mondo musicale dell’entroterra napoletano si è interessato sotto il profilo antropologico, e che traccia una linea di incontro tra due città “cantanti”, Parigi e Napoli, del cui canto urbano d’arte è un attento osservatore. E poi chi come lui (e come noi), si è formato anche con il canzoniere di Fabrizio De André, non può non essere stato attratto dal repertorio degli chansonnier d’Oltralpe, al di là di tutti gli opportuni distinguo posti fin dalla prima pagina dal rigoroso studioso di musiche e culture popolari. Pubblicato nella collana Grooves della LIM, che raccoglie Studi Musicali Afro-Americani e Popular, questo volume, approfondito e scorrevole, per niente paludato, e mirato su un circoscritto arco temporale – il sottotitolo recita “Nascita di un genere musicale (1848-1945)” – rivela la cornice analitica e interpretativa interdisciplinare di Vacca, il quale indaga la costituzione e lo sviluppo della canzone francese (definita “La nebulosa delle origini” nel primo capitolo), mettendolo in relazione con la modernità capitalistica, che impone quella mutazione urbanistica e culturale che investe la “capitale del XIX secolo”, e con l’industrializzazione della musica. Si tratta di tessere una trama solida tra eventi storici e politici e processi trasformativi sul piano economico che impongono mutazioni antropologico-culturali. Con Vacca entriamo nei quartieri popolari, con le loro animatissime strade, i luoghi di convivenza sociale, le “goguettes”, le società canore amatoriali frequentate dalle classi subalterne e molto temute perché luoghi di creazione di arte militante di ispirazione socialista e anarchica (p.5); un mondo urbano animato da canti e da musiche nelle quali rintracciare più antichi segni orali e della musicalità contadina che viene demolita dalla massiccia riqualificazione urbana del prefetto Haussmann, che sarà d’esempio per altre città d’Europa (in primis, si pensi al Risanamento a Napoli). Tutto ciò in costante confronto con altri generi urbani: fatto non casuale, considerato il solco degli studi di Vacca che ha scritto sulla canzone napoletana, sul rebetiko e prima ancora sulla canzone folk inglese. Così sempre all’interno del capitolo sulla genesi della canzone si indaga sulle ballate popolari anonime e su un personaggio come Pierre-Jean de Béranger (1780-1857), personaggio fondamentale per comprendere le origini della canzone moderna, coinvolto pienamente negli sconvolgimenti tumultuosi dell’epoca. Il secondo capitolo dello studio affronta la figura di Aristide Bruant (“Dans la Rue: Aristide Bruant”), che appare in copertina in uno dei celebri ritratti di Henri de Toulouse Lautrec: anello di congiunzione, “mediatore” (p. 28) tra la canzone tra passato e presente che si esibisce nei café-chantant. Registra in un arco temporale che va dal 1905 al 1914, è artista moderno, che trasfigura romanticamente la marginalità sociale delle periferie, dei faubourgs, cantando canzoni dal profilo melodico essenziale, uniforme e senza modulazioni, con stile straniato (da cantastorie) spesso su ritmi di marcia e funzionali al canto collettivo. Se negli scritti sulla storia della chanson questo artista è trattato sbrigativamente, qui, invece, l’analisi del suo operato è puntuale sia sul piano fonico sia su quello letterario, saldata al dato storico e culturale della Francia dell’epoca. Tocca al capitolo successivo (“Rue de Lappe, le matrici musicali della canzone francese e la chanson réaliste di Fréhel, Damia e Édith Piaf”) tracciare le rotte di questa canzone “polifonica” (p. 46) attraverso il suono del bal-musette, esso stesso figlio di migrazioni dall’interno e dall’esterno dell’Esagono e di incontri e forme culturali e musicali sincretiche di ambiente urbano. Il passo successivo è discutere il formarsi di una canzone più propriamente moderna, della “canzone realista” che nasce nei primi decenni del ‘900, è “interpretata”, si alimenta di nuove caratteristiche di consumo ma anche riflette il portato del naturalismo letterario, attraversando gli sviluppi dell’intrattenimento e le trasformazioni della tecnologia con l’avvento del microfono e naturalmente del disco. Scorrono i nomi, non sempre noti in Italia, di Fréhel, Damia, Yvonne George, Yvette Guilbert fino alla grande Édith Piaf, ma anche di altre interpreti meno note, perché oscurate proprio dallo charme del “Passerotto”. Con “Frutti del Music Hall” l’autore affronta il campo dell’intrattenimento leggero di Polin e Dranem, Eloi e Gaston Ouvrard e, naturalmente, di due stelle quali Maurice Chevalier e Mistinguett. Si prosegue con “La Lezione di Gilles” (al secolo Jean Villard), capitolo denso in cui si ripercorre l’influenza dello svizzero, creatore del “teatro-canzone”, esploratore delle potenzialità del linguaggio e della forma della canzone, sottolinea Vacca (p. 93), che ne analizza in maniera approfondita il repertorio all’interno di quella che si può definire la “canzone del dissenso” e la cui poetica avvicina l’artista di Vaud al folk-singer d’Oltremanica Ewan McColl, di cui Vacca è uno dei maggiori studiosi. Con Charles Trenet (capitolo sesto: “Charles Trenet: la canzone fa Boum!”), di origine occitana, giungiamo a una personalità dirompente e innovativa e alla vera esplosione della chanson. Qui il quadro espositivo e narrativo si interrompe, ma chissà che non ci si possa attendere una successiva proposta editoriale sui grandi nomi della canzone “engagée” che da subito hanno fatto capolino nelle pagine introduttive del volume. In definitiva, all’interno di una visione d’insieme Vacca ricompone la genesi di questa grande forma artistica del mondo francofono. Il suo è un lavoro dal taglio tanto didattico quanto divulgativo che si legge con piacere, facendo respirare appieno il mondo della cultura parigina nello scorcio di oltre due secoli. Per contro, ci sarebbe piaciuto ascoltare la musica di cui si parla in questo bel viaggio musicale. Peccato, dunque, che manchi una discografia ragionata (al di là di alcune note a piè di pagina che rinviano ad ascolti disponibili nella Rete) e che non si sia predisposta una sorta di guida all’ascolto con la possibilità di usufruire di documenti sonori tramite la scansione di codici QR. 

Ciro De Rosa

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