Folkest, Premio Alberto Cesa, Spilimbergo (Pn), 1-4 luglio 2022

Folkest è un grande evento con una storia lunga e felice alle spalle; questa edizione (dal 16 giugno al 6 luglio) è stata come sempre ricchissima, ma questa volta – era evidente, si respirava nell’aria – c’era una necessità di vera ripartenza, che si è espressa in un moltiplicarsi di eventi musicali e iniziative culturali. Come sempre il culmine è stato raggiunto a Spilimbergo nei giorni del Premio Alberto Cesa (1-4 luglio) ed è di questi intensi momenti che si vuole provare a raccontare, partendo proprio da quelli che hanno visto muoversi tra i palchi moltissimi artisti. Alla Torre Orientale i sei partecipanti al Premio si sono avvicendati in tre serate, fino alla finale di lunedì 4 nel grande palco di Piazza Duomo (interrotta da una improvvida pioggia che ha però portato cinque minuti di refrigerio in questa estate torrida e sfiancante) e conclusa nel piccolo ma provvidenziale cinema adiacente, adibito ad ufficio e camerino per gli artisti. La serata è stata presentata per il secondo anno da Martina Vocci e Duccio Pasqua e doveva concludersi con un set di Massimo Priviero, che però è stato impedito proprio da questo inaspettato temporale estivo, 
non abbastanza importante e duraturo da aiutare l’agricoltura e rinfrescare a lungo l’aria, ma sufficiente a togliere ai presenti la possibilità di godersi la performance del rocker veneto. Come già detto però, quest’anno il Premio Alberto Cesa è stato assegnato e consegnato dal sindaco di Spilimbergo, perché la giuria non si è fermata. Al terzo posto il gruppo toscano Serpe d’oro, al secondo il valdostano-piemontese Duo Pondel e infine i vincitori: gli eclettici - per sonorità e “territori musicali,” come felicemente ha detto Ottavio Nieddu, anima e colonna portante del gemellato Premio Parodi - Tupa Ruja. È stato molto rassicurante e bello vedere comunque quest’anno tutti i gruppi affiatati tra di loro, sentirli cantare insieme nelle enoteche e per le strade; è stato importante soprattutto vederli partecipare con interesse e atteggiamento costruttivo alle varie iniziative collaterali del Festival (va segnalato perché è quello che era mancato quasi totalmente nella passata edizione), soprattutto ai “Folk Clinics,” organizzati dall’autore e musicista Maurizio Bettelli e dal violinista e scrittore di canzoni Michele Gazich. I Folk Clinics sono stati davvero passaggi essenziali e felici di questa edizione e l’augurio è che abbiano sempre più spazio e più tempo. 
Questi momenti, che servono soprattutto a favorire la formazione professionale degli artisti da varie angolazioni, sono stati idealmente divisi in tre sezioni. La prima, detta “Musica per musicisti”, è stata dedicata agli approfondimenti musicali: un susseguirsi di seminari di organetto (Alessandro d’Alessandro), chitarra (Franco Morone, Loula B e Gavino Loche) e ancora un incontro sul Canto epico-lirico e la polivocalità in Piemonte (Vincenzo Chacho Marchelli, Beatrice Pignolo e Rinaldo Doro) davvero molto partecipato. Un momento molto coinvolgente è stato poi l’incontro dedicato alle chitarre di Wandrè, il geniale liutaio, imprenditore e artista, che ha rivoluzionato le tecniche di costruzione delle chitarre - grazie anche all’utilizzo di nuovi materiali - e che ha realizzato un modello di lavoro industriale moderno e vicino alla classe operaia. L’incontro, seguitissimo, è stato pensato e realizzato da Marco Ballestri. La seconda sezione dei Folk Clinics è stata una “Cassetta degli attrezzi”, ovvero una serie di incontri utili a fornire strumenti tecnici essenziali per chi vuol fare il musicista, a partire dalla tutela del diritto d’autore, seguita da Note Legali, per culminare nell’incontro con Luigi Gigio Rancilio, caporedattore del quotidiano Avvenire ed esperto di Social. 
La terza sezione dei Folk Clinics, “Parole per musica”, si è concentrata sulla scrittura dei testi delle canzoni e sul rapporto tra Poesia e Canzone. “In Taberna” (ovvero in una fresca e spaziosa cantina nei pressi della Torre Orientale), Bettelli, Gazich e il giornalista e storico della canzone Felice Liperi hanno tenuto prima una lezione intensa e partecipata, soprattutto - ma non solo – da parte dei protagonisti del Premio Alberto Cesa e poi un laboratorio condiviso, che sarebbe stato bello fosse durato molto più a lungo. L’augurio è che questo esperimento diventi strutturale e strutturato e preveda molti giorni in più fino a trasformarsi in un vero e proprio seminario-laboratorio non solo nei giorni di Spilimbergo. Come non bastasse, non sono mancate altre attività collaterali, soprattutto presentazioni di libri e dischi. Da segnalare in modo particolare “La trilogia Alpina”, saggi ladini pubblicati dall’Istitut Cultural Ladin di Vigo di Fassa a cura di Cesare Poppi (presentato da Daniele Ermacora) e “Pasolini e la musica, la musica e Pasolini. Correspondances” (Diastema), di Claudia Calabrese, che ha dialogato con Elisabetta Malantrucco, Marco Salvadori (che ha interpretato un passaggio di un canto scritto da Pasolini e Pina Kalc) e da Michele Gazich (che ha proposto la prima sonata per violino solo in sol minore di Bach, amatissima dal poeta). Non poteva certo mancare Pier Paolo a Spilimbergo, nell’anno del centenario della nascita, ovvero nel suo Friuli, il luogo dove in lui hanno preso corpo e senso il verso e i suoni. E proprio Michele Gazich - accompagnato da Giovanna Famulari al violoncello e Marco Lamberti alla chitarra - sul palco di Piazza Garibaldi ha reso omaggio al poeta (e ai poeti), con un concerto pieno di forza e intenzione liriche. 
Anche Maurizio Bettelli ha voluto accompagnarlo con l’armonica a bocca in “Come Giona”. È stato questo uno dei momenti musicali più intensi di questi giorni d’estate a Folkest. Ma non l’unico. Da menzionare di certo tra gli altri gli inossidabili e travolgenti Fanfara Station – ormai imprescindibili in ogni festival folk e world, Matteo Leone, vincitore del Premio Andrea Parodi 2021, così come i romanissimi Muro del canto. E da ricordare anche ovviamente il tradizionale Guitar International Rendez-Vous. Ma la parte finale di questo racconto non può che essere dedicato a una Dea, a una scheggia di stella poggiata sulla Terra; lei è Judy Collins, una regina che porta gli anni decisamente meglio di quella d’Inghilterra; giunta a Spilimbergo per suonare e cantare e ricevere il Premio Folkest – Una vita per la musica, ha incantato tutti per grazia e forza, per spirito e coraggio, per schiettezza e simpatia; ha mostrato tutto questo già al mattino, durante la conferenza stampa/aperitivo, condotta dagli instancabili Gazich e Bettelli. Il suo concerto è stato pura magia e la sua grazia ha raggiunto tutta la platea di Piazza Duomo, che l’ascoltava rapita mentre raccontava di “Chelsea Morning” - canzone che ha ispirato i fan Bill e Hillary Clinton nel dare il nome alla figlia - e l’accompagnava con rispetto e gioia mentre intonava, tra le tante, “Tambourine Man”, “Take me Home Country Road”, “Suzanne” e una intensa “Amazing Grace”. Non possiamo nascondere a noi stessi che sono anni e tempi difficili, perché ci muoviamo tra crisi internazionali, rischi nucleari, inflazione alle stelle, riscaldamento globale e politica nazionale e mondiale disperanti, tra popoli di serie a che hanno diritto giustamente alla solidarietà come gli Ucraini e altri di serie cadetta che possono essere abbandonati al loro destino per ragioni di Real Politik come ingiustamente i Curdi… insomma: è dura, difficile, faticosa, a tratti oscena. Ma si riparte da questi luoghi e da questi suoni con una certezza assoluta: comunque vada e sia, la musica c’è. Magari qualcuno la vuole reprimere, mistificare, relegare “in taberna”, ma la musica c’è. Evviva quindi tutti gli operatori culturali che ogni momento spingono e si stancano, e si arrabbiano, e gioiscono e ci credono ancora. Alla musica, all’arte, alla bellezza. Grazie davvero. 


Elisabetta Malantrucco

Foto 1 e 2 di Maurizio Bettelli, 3, 4 e 5 di Elisabetta Malantrucco

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