Nejiko Suwa, violinista tra passione musicale, guerra e potere mediatico-politico

Il violino come anima musicale
In una precedente Vision, abbiamo dato rilievo al rapporto natura-tecnica. I “legni” possiedono una speciale vibrazione che i musicisti sentono quando suonano. I concertisti instaurano un singolare dialogo con il proprio strumento e consacrano la propria esistenza alla Musica. Nejiko Suwa nei suoi diari e nelle interviste lo evidenziò in vario modo.  Ad esempio, nel novembre del 1945, ormai a guerra conclusa, reclusa nel Bedford Spring Resort, insieme a numerosi altri prigionieri giapponesi, la violinista annotava: «In questa nuova vita che mi attende, sei il solo che potrà sostenermi. Oh, mio violino, eccoci adesso legati uno all’altra. Tu ed io finiremo i nostri giorni insieme. Soli, ma insieme»
Direttamente dal generale americano Douglas MacArthur (1880-1964), nel 1951, la musicista ricevette l’invito per partecipare come solista a un concerto per la pace, durante il quale sarebbero stati presenti numerosi rappresentanti del mondo della musica, dello spettacolo e della cultura. Il generale era un appassionato di Beethoven, lo apprezzava anche «per il suo modo di creare musica politica». Nejiko, di contro, non apprezzava la mania di voler egemonizzare e politicizzare l’arte a proprio uso e consumo. Nel breve dialogo con il generale, ebbe modo di manifestare dissenso. Di rilievo, una sua intervista (13 settembre 1951) rilasciata prima del concerto menzionato, che l’autore ha rinvenuto negli archivi del “Los Angeles Times”: «Sono prima di tutto una violinista. Vengo per suonare, e la musica veicola sentimenti universali, tra cui l’aspirazione alla non violenza e alla pace … non mi piace parlare della guerra, quella è il passato. La musica si adatta meglio allo spirito dei tempi, è il movimento, è la vita. Suonando, ogni nota ne crea un’altra, e tra loro si uniscono fino a formare una melodia interiore collettiva»
Di lì a poco, nel 1952, scoppieranno nuove ostilità tra Unione Sovietica e America. In quello stesso anno, Nejiko venne invitata a suonare in un carcere americano per i prigionieri di guerra giapponesi, ritenuti colpevoli, a vario titolo, di crimini contro la pace. Tra questi, Hiroshi Oshima, ambasciatore del Giappone in Germania, che aveva conosciuto durante la permanenza a Berlino. Per i carcerati, suonò il “Concerto n. 3” di Mozart. Alla fine dell’esecuzione, tutti restarono in silenzio, non un applauso o un solo cenno di ringraziamento. La musicista rimase turbata, fino a quando il direttore del carcere si avvicinò, per spiegarle l’obbligo dei detenuti di mantenere il silenzio. 
Il silenzio caratterizzerà anche gli anni successivi della vita di Nejiko. A trentacinque anni, nel suo diario, scrisse: «I miei anni più felici sono stati quelli che ho passato in Europa. Vorrei gridare la felicità che ho provato in quel periodo in cui slancio vitale e musicale erano intimamente legati…E ora che il mondo è in pace, ora che la gioia di vivere e la spensieratezza accendono il futuro, io sono triste, con tutta me stessa, molto più di quanto non lo sia mai stata».  
Negli anni della guerra, la violinista, in Europa, aveva vissuto intensamente. Certo, aveva visto con i propri occhi gli orrori dei conflitti, le distruzioni, le paure e le afflizioni umane, ma aveva potuto suonare con prestigiose orchestre, collaborando con direttori di rango come Hans Knappertsbusch e Wilhelm Furtwängler il quale, durante il processo post bellico, venne difeso dal violinista Yehudi Menhuin e da alcuni musicisti ebrei, evidenziando i meriti artistici. 
Nejiko era stata acclamata, protetta e stimata. Aveva avuto successo e girato il mondo, ma non senza tormenti interiori, alcuni dei quali legati a quel violino donatole da Goebbels, nel 1943. Un dono che, da subito, suscitò polemiche e risentimenti e, intorno al quale, sinora, non è stato possibile sciogliere alcuni inquietanti enigmi. 
Come ben sintetizzato da Carla Shapreau, in un articolo del New York Times (21.9.2012), «… le origini del violino stesso rimangono un mistero. Era una proprietà confiscata, uno delle migliaia di strumenti musicali saccheggiati dai nazisti, o altrimenti ottenuto sotto costrizione dai perseguitati durante l’era nazista? Quando la signora Suwa e il suo violino sono tornati in Giappone, sono seguiti i sussurri. Hanno seguito lo strumento per quasi 70 anni».  Nel romanzo scritto da Iacono, viene a più riprese evidenziato il tormento della violinista giapponese, intrecciando gli eventi della sua vita con quelli di Herbert Gerigk, musicologo, noto per aver scritto (in collaborazione con Theopil Stengel) il “Lexicon der Juden in Musik”. Divenne attivo collaboratore di Alfred Rosenberg e fu a capo della sezione musicale del partito nazista, inoltre, ebbe un ruolo di rilievo nella “ERR”, unità attiva nella confisca dei beni di valore degli ebrei, compresi gli strumenti musicali.      

Una musicista sensibile e misteriosa
Nejiko era una musicista sensibile. Sentiva l’anima dello strumento ricevuto in regalo, il quale però non suonava come lei avrebbe voluto. Per comprendere i motivi e per dissipare i dubbi, chiese aiuto e consiglio alla zia Anna e al maestro Kamensky il quale, dopo aver dato i propri suggerimenti, la indirizzò da un esperto liutaio parigino. Quest’ultimo, dopo attenta analisi, si convinse che lo strumento non era uno Stradivari ma un Guarneri. Per la musicista giapponese, l’assillo e il turbamento provenivano anche dal non riuscire a individuare l’originale possessore del violino, colui che per anni lo aveva suonato, dando vita espressiva alle fibre del legno. Solo nel dopoguerra, Nejiko apprese da Herbert Gerigk che il suo non era uno strumento confiscato a un musicista ebreo, ma acquistato da un rivenditore alsaziano, ignorando quale fosse il proprietario originario.   
Nel “plot” romanzesco, non manca l’intreccio amoroso, avvenuto con Oga Koshiro, consigliere speciale dell’ambasciatore Oshima, da lui incaricato, nel 1944, a Berlino, per vigilare sulla musicista, a seguito di un periodo di demotivazione artistica. Con lui intrattenne una raffinata relazione culturale, che si concretizzò sentimentalmente quando i due divennero prigionieri degli americani e condotti nel citato Bedford Spring Resort. In seguito, Oga ritornò dalla moglie ma, nel 1967, riallacciò i contatti con Nejiko. I due decisero di vivere insieme, prima a Parigi, poi a Colonia.  
Nei capitoli conclusivi del romanzo, rispetto alla protagonista, l’autore propone una riflessione che lascia spazio interpretativo al lettore: «Chi è Nejiko Suwa? Una celebre violinista la cui vita romanzesca ha sposato la storia, ma soprattutto una donna che mi sfugge, che ci sfugge, con le sue ombre, i suoi enigmi, i suoi segreti…».  
Nel 1983, il suo ultimo concerto, in una Tokyo completamente trasformata rispetto ai tempi dell’infanzia. In questa città, la violinista è deceduta nel 2012, lasciando il suo strumento in eredità a un nipote. Più volte interpellato, non ha mai permesso agli esperti di fare rilievi, per verificare se effettivamente si trattasse di uno Stradivari, di un Guarneri o di uno strumento di pregio realizzato da un altro liutaio. Al momento, rimane insoluto pure l’enigma relativo al suo originario possessore che, nel romanzo, viene ipotizzato potesse essere Lazare Braun, al quale vennero confiscati il violino e i beni, il 20 agosto del 1941, a Parigi.  

La musica oltre la guerra
Nejiko Suwa rimane poco nota ai non addetti ai lavori, tuttavia nel “web” sono ascoltabili alcune sue incisioni giovanili. Senz’altro il romanzo di Iacono contribuirà a ridare luce alla sua carriera artistica. Riteniamo che il suo racconto basato su eventi storici verrà apprezzato da chi si occupa di musica a vario titolo, ma anche da coloro che hanno imparato dalla storia a riconoscere i meccanismi consolidati usati dai cinici oligarchi, dei quali è ricco il corso dell’umanità. Di sovente, sono individui senza scrupolo, i quali ambiscono al potere (finanziario, politico, culturale e mediatico), impiegando i mezzi più subdoli basati sulla paura, per restringere artatamente le libertà e per meglio avere il dominio sulle masse popolari, addomesticandole e strumentalizzandole.  Naturalmente, per tutti costoro l’arte e la musica, di sovente, non sono altro che un diversivo: sono forme espressive da controllare e utilizzare secondo funzionale consumo. Il romanzo di Iacono, oltre alla narrazione degli eventi e le considerazioni generali (spesso espresse dalla voce narrante di un trombettista parigino ingaggiato come investigatore), invita a riflettere e a porsi indirettamente delle domande sull’uso societario delle arti e dello spettacolo, al quale sono sottesi precisi meccanismi di gestione, divulgazione, controllo e manipolazione. Come figli di un mondo sempre più controllato e interconnesso, abbiamo il compito di tenere gli occhi aperti e di non illuderci che, sconfitti alcuni totalitarismi del Novecento, la pace riesca a regnare sovrana. Riteniamo sia utile ricordare il monito ben espresso da Gandhi e, successivamente, rilanciato da Einstein, negli anni Cinquanta del secolo scorso: «O l’umanità distruggerà gli armamenti o gli armamenti distruggeranno l’umanità». L’umanità è a rischio e, oggi più che in passato, sarebbe importante farla prevalere sopra gli interessi economici e militari. Nel mondo sono disseminate quantità enormi di testate atomiche, che possiedono potenziale distruttivo. Nuovi imperialisti sono tra noi e gli eventi della contemporaneità, in vario modo, lo stanno tristemente a testimoniare. 
Ma torniamo, con humanitas, ai nostri violini d’autore, per i quali (per lo più) imprenditori e collezionisti sono disposti a spendere cifre straordinarie. Proprio in questi giorni, a un’asta tenutasi a New York, uno Stradivari è stato venduto per quasi quindici milioni di euro. Si tratta di uno strumento realizzato nel 1714. Al momento, risulta sconosciuta l’identità del nuovo proprietario. Certo, se il violino donato da Goebbels a Nejiko Suwa fosse uno Stradivari, il nipote avrebbe in mano un significativo capitale finanziario, ma idealmente inferiore, in termini umani e artistici, a quello lasciatogli dalla zia, che, come narrato nel romanzo, con lo strumento dialogava e lo teneva sempre stretto a sé. Lo difese strenuamente e rischiò persino la vita, pur di salvarlo dai bombardamenti: «Sei il solo che potrà sostenermi – annotava nel 1945. Oh, mio violino, eccoci adesso legati uno all’altra. Tu ed io finiremo i nostri giorni insieme. Soli, ma insieme». Una testimonianza d’amore che abbiamo voluto rimarcare e che, per alcuni, potrà sembrare incomprensibile, ma non per coloro che hanno scelto di consacrare la propria esistenza alla Musica e al ruolo benefico che può avere sull’umanità, favorendo la pace e il dialogo costruttivo tra i popoli.      

Paolo Mercurio  

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