Music Meeting, Park Brakkenstein, Nijmegen (NL), 4-6 giugno 2022

Dopo due edizioni forzatamente online, uno dei più longevi festival di musiche del mondo torna al suo formato abituale, quattro palchi e una pioggia di concerti distribuiti in tre giornate, tutti all’aperto nella cornice del parco Brakkestein. Unico rischio: il maltempo, quello che ha reso tutto più difficile nella seconda e terza giornata, pur senza scoraggiare organizzatori e pubblico che hanno vissuto insieme una festa con molti momenti memorabili. A contribuire al bel clima generale hanno pensato le decine di musicisti cubani che hanno risposto alla chiamata della direttrice artistica, la trombettista Maite Hontele: quest’anno ha voluto Cuba (“Upside Down”) come tema principale del festival e i risultati sono stati emozionanti e di ottimo livello. Ad aprire con musicalità e creatività e i tre giorni, come fece oltre trent’anni fa con un’altra big band, è stato il pianista e compositore Michiel Braam con il suo personale alfabeto latino, “El XYZ de Son Bent Braam”, un’escursione attraverso il vocabolario spagnolo dalla B di bienestar alla Z di zafio, passeggiando e
danzando con mambo, rumba, son, danzón e boogaloo in compagnia di dodici musicisti, sette fiati (fra cui non poteva mancare il sax soprano di Efraïm Trujillo, così come quello tenore del compagno di sempre, Frank Nielander), tre percussionisti (Danny Rombout, Martin Gort e André Groen) e il basso elettrico di Aty de Windt. Quest’ultimi due accompagnano Braam anche nel trio Nos Otrobanda dedicato alla musica e ai balli delle Antille, il lato “tranquillo” del vulcanico pianista. Il pianoforte acustico è stato protagonista di un’idea ben riuscita: un incontro di ping pong a quattro che ha coinvolto un “dream team” cubano con Ramón Valle, Rolando Luna, Marialy Pacheco, Andy Garcia (in sostituzione di Ivan ‘Melón’ Lewis, spiaggiato dai mezzi di trasporto). Al centro della conversazione a quattro il Music Meeting ha offerto due piani a coda su cui i pianisti si sono alternati in solitaria, in duo e, soprattutto, in quattro, alternando sentimenti visibili di piacere, sorpresa, nell’ascolto e nell’interazioni col flusso di idee, citazioni di brani, creazione di nuovi
orizzonti. A creare un’autentica magia ha pensato Ramón Valle che, nel mezzo del concerto, si è cimentato, buon ultimo, nel ruolo di solista, dopo che i tre compagni di viaggio, da solisti, avevano “incendiato” la tastiera, soprattutto nella parte destra, dei toni acuti. Ramón Valle ha saputo creare un commovente contrappunto, impastando a lungo un vortice ancorato ai toni gravi che ha poi generato una lirica rilettura di Halleluia (di Leonard Cohen). Rolando Luna (che ha da poco pubblicato in solitaria il doppio album “Rolando’s Faces”) è stato protagonista anche di un memorabile concerto di jazz afrocubano col super-sestetto El Comité, insieme Gastón Joya al contrabbasso, Yaroldy Abreu alle percussioni, Rodney Barreto alla batteria e due fiati superlativi, Irving Acao al sax tenore e Carlos Sarduy alla tromba e al flicorno. La rumba legata alla Santeria cubana è salita due volte sul palco con uno dei gruppi più rappresentativi, Osain del Monte, guidati dal percussionista Adonis Panter Calderón e dal cantante Rubén Bulnes con una sezione
percussiva che comprende Adonis Panter Fernández, Maykel Falcon, Ramon Tamayo Martinez, Luis Raydel Díaz Garrido, Israel Barrero Artires, Cristopher Yoel Portilla Valdez, José Falcon Aguiar, attivo anche con la sezione vocale insieme a David Abreu Romero, Damaris Driggs Rodríguez, Jorge Enrique Salazar Madrigal. A completare il gruppo è la coppia di ballerini Juan Carlos Ruiz Valdez e Yenisey Peraza Segundo che hanno fatto danzare il pubblico con l’orisha Xango, sotto l’occhio benevolo di due statue di legno, quelle di Osain, divinità della Madre Terra, e di Eleggua, la divinità che apre e chiude i cammini. Autentico mattatore del festival si è dimostrato il bassista e cantante Alain Pérez: prima in duo (basso e piano elettrico) con Andy Garcia con cui mostra un’intesa telepatica; poi a guidare la “descarga” (jam) cubana con ventidue musicisti trasformandola in una grande festa arricchita da assoli funambolici; infine, come direttore de la Orquesta, la formazione di dodici talenti con cui canta un repertorio ricco di cambi di passo che spazia dal son alla timba, lasciando il basso elettrico e il contrabbasso a Mauro Moisés Cabrejas,
con i fratelli Andy e Yandy García al piano e alla batteria, Roberto Medina del Castillo alla chitarra e tre sezioni – fiati, percussioni, voci – di enorme agilità, precisione e potenza. Sempre in omaggio a Cuba, Maite Hontele ha chiamato come presentatrice e per alcune narrazioni a carattere storico-politico la tastierista Eliane Correa e ha dato carta bianca a Brenda Navarrete che ha potuto così interagire con la sua voce e i suoi tamburi bata con i diversi gruppi presenti. Le voci femminili sono state protagoniste anche di altri concerti memorabili, innanzitutto in chiave africana: con l’etiope Selamnesh Zéméné con i Badume’s Band (forti del recente “Yaho Bele /Say Yeah” che strizza l’occhio alla Swinging Addis di cinquant’anni fa); dentro l’afrofuturismo malinké di Djely Tapa che ha duettato anche con Hawa Kassé Mady Diabaté, al termine del bel concerto del Trio Da Kali, insieme al balafon di Fodé Lassana Diabaté e allo ngoni e alla voce di Mamadou Kouyaté; e ancora nell’incontro fra l’elettronica dei belgi Ångströmers e le voci e le percussioni del gruppo haitiano
Chouk Bwa. Ancora, con due giovani voci iberiche: Rita Payés con riletture di bossa, fado, bolero, eseguite insieme alla madre Elisabeth Roma alla chitarra, a Horacio Fumero al contrabbasso e Juan Berbín alla batteria; e Raquel Kurpershoek in un trio di matrice flamenca che esegue con sensibilità le sue composizioni, con versi sia in spagnolo, sia in portoghese. Dall’Europa orientale sono venute tre formazioni in splendida forma: Ivo Papasov ha tirato fuori dal suo clarinetto un irresistibile repertorio di musiche svatbarska, ottime per i matrimoni, per intenderci quelle che spopolano nell’annuale festival di Stambolovo. A dar corpo a ritmi e melodie ha chiamato accanto a sé la voce di Maria Karafizieva alla voce, il kaval di Nenko Tsachev, la fisarmonica di Nesho Neshev, ma anche la chitarra elettrica e le tastiere di Ateshkan Yuseinov e Mitko Denev e la batteria di Salif Ali. A competere con loro per virtuosismo e voglia di far festa è giunta dalla Macedonia settentrionale la Džambo Aguševi Orchestra con “Brasses for the Masses”. A carattere
più intimo sono stati i due concerti di Damir Imamović che ora si accompagna con una chitarra di sua invenzione che chiama (genericamente) “tambur”, accordata come una chitarra, ma con una cassa profonda e in tutto simile a quella di un saz che gli consente dinamiche sonore accurate sia nei toni gravi, dove incontra il contrabbasso di Žiga Golob, sia in quelli acuti, arricchiti dalle melodie al kamanche di Derya Türkan. All’insegna dell’incontro fra latitudini diverse è anche il duo che vede insieme dal 2008 la percussionista brasiliana Simone Sou e Oleg Fateev, virtuoso moldavo del bayan, due origini geografiche apparentemente lontane che trovano nel duo complementarità inedite e sempre indovinate ai reciproci registri creativi, anche grazie all’ampia paletta di colori e accenti percussivi di cui è capace Simone Sou. Ancora più ampia è la distanza che separa l’Orang Orang Drum Theatre della Malesia dal trio di liberi improvvisatori con base tedesca composto da Angelika Niescier al sax, John-Dennis Renken alla tromba e all’elettronica, 
e Matthias Akeo Nowak al contrabbasso. La loro collaborazione è nata un paio d’anni fa e ha finalmente potuto esprimere il suo ampio potenziale al festival di Moers e di Nijmegen: un potenziale che fra percussioni malesi, cinesi e gong di diverse dimensioni si mostra molto promettente, soprattutto nell’interazione fra parti scritte e improvvisate, sia a livello musicale, sia di coreografie danzanti in cui sono maestri e maestre Chew Soon Heng, Tai Chun Wai, Low Wai Kei, Leow Sze Yee, Lim Jian Ru e Eng Cheah Her. Il Music Meeting ha anche offerto il proprio palco al coperto (Ziro) per due “premiere”: il gruppo Boundless Forces che soffia un messaggio di speranza e cooperazione sulle sorti del pianeta cui ha dato vita Ramón Valle con le voci ben diverse e ben amalgamate di Melanin Kris (spoken word), Berenice van Leer nel registro funky, Caroline Cartens (in quello operistico), insieme a Tineke Postma al sax, Jota Papadopoulou alle tastiere, Adinda Meertins al contrabbasso e il motore propulasore costituito dalle percussioni di Nils Fischer e dalla batteria di Rodney Barreto. E ancora la collaborazione fra il trio berlinese Tolyqyn e la sezione fiati K.O. Brass, un’intuizione di Maite Hontele
che ha generato una sintonia che ha permesso non solo arrangiamenti con un ensemble allargato di brani già esistenti, ma anche nuove composizioni e la riscrittura di pezzi già incisi. Protagonista è la voce di Roland Satterwhite e la sua abilità nell’inventare linee di basso poliritmiche sulla viola, sempre ben sostenuto dalla batteria di Rafat Muhammad e dalla “secca” chitarra elettrica e dalla voce di Tal Arditi che, in questa formazione, incontrano un quartetto di fiati che spazia dal filicorno al cimbasso e al susafon con Romain Bly, Robert-Jan Looysen, Kobi Arditi e Patrick Votrian. Per chi ama la dimensione acustica, il festival ha offerto anche lo spazio più raccolto del palco Mystik, nel vicino orto botanico, con protagonisti molto diversi, da Adam Ben Ezra a Sabir Sultan Khan (figlio del maestroi Padma Bhushan Ustad Sultan Khan) che ha offerto un meditativo saggio dei diversi timbri e rapporti con i raga di cui è capace il suo sarangi, insieme alle tabla di Heiko Dijker. Notevole è stata anche l’attività di registrazione e di interviste da parte degli organizzatori, in particolare al palco All Ears che promette una serie di video nel sito e nei canali social del Music Meeting nei prossimi mesi. 


Alessio Surian

Foto e video di Alessio Surian

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