Festival de Fès des Musiques Sacrées du Monde, Fès (Marocco), 9- 12 giugno 2022

 

Il festival, inoltre, si svolge “Sotto l’alto patronato di sua Maestà il Re Mohammed VI” e difatti, la serata di apertura è stata presenziata dalla principessa Lalla Hasnaa, sorella del Re Mohammed VI. Potete immaginare la quantità di attenzioni mediatiche sul campo, l’eleganza della platea, la compostezza delle guardie reali strette nelle loro divise e armate di sciabole che costeggiavano in fila ordinata le mura monumentali di Bab Al Makina. L’atmosfera generale, resa ancora più affascinante dai colori caldi del tramonto, creava in noi spettatori occidentali un effetto di piacevole straniamento, misto a sensazioni e suggestioni tipiche di un certo “esotismo” tardo-romantico. La messa in scena dell’evento, progettata dal precedente direttore del festival Alain Weber, mirava a condurre gli spettatori in un viaggio musicale, visuale e spirituale, attraverso i luoghi sacri più rappresentativi delle cinque grandi religioni del mondo testimoni di grandi movimenti storico artistici, di migrazioni, di conquiste e rivoluzioni filosofiche: da Fès a Gerusalemme, dall’India all’Europa, rappresentate dal Taj Mahal e dalla cattedrale di Notre-Dame, atterrando infine a Casablanca, nell’antica moschea Hassan II. 
Sul palco si sono alternate nove compagnie provenienti da Italia, Francia, Israele, India, Senegal, Tibet e, naturalmente, Marocco. Canti ebraici, eseguiti dalla voce sublime di Francoise Altan, si alternavano a poesie sufi per raccontare la storia giudaico-andalusa del Marocco. Sulla porta, una danza verticale abbagliava gli spettatori durante un’esecuzione di musica da camera nordeuropea. La cultura buddista, rappresentata dal liuto tibetano e dalle lodi poetiche di Milarepa, entrava in dialogo con il guembrì, strumento tradizionale gnawa suonato da Haziz Herradi. E, infine, l “Qawwali” delle Roonani Sisters, arrivate dall’India del Nord, che si esibivano in canti, musiche e danze sufi per la prima volta fuori dal proprio continente. L’idea del viaggio veniva rafforzata dai tecnicismi, un’esplosione di proiezioni video, piroette geometriche, immagini e suoni che ben aderivano alle mura secolari e maestose di Bab Al Makina e contribuivano a un effetto di totale immersione e spettacolarizzazione. Durante le giornate successive abbiamo potuto assistere ai concerti pomeridiani nel vasto giardino di Jnan Sbil, risalente al XVIII secolo. 
Qui, all’ombra degli aranci e degli eucalipti, sotto la quale il pubblico cercava riparo dalla calura delle cinque del pomeriggio, si è esibito l’Ensemble Al Zawya: canti spirituali del Sultanato dell’Oman. Appena prima della performance, il canto del muezzin ha iniziato a risuonare dal minareto, echeggiando in tutta la medina e nel parco e creando un’atmosfera molto suggestiva e intimista. Sul palco, il maestro di cerimonia ha poi cominciato a intonare una preghiera di pace e gratitudine verso Allah. Ad accompagnarlo, le percussioni tradizionali come i duff e i darbouka, il ney (il flauto mediorientale) e l’oud (il liuto arabo) e, naturalmente, le altre voci maschili. Un coro ripetitivo e circolare che rendeva l’atmosfera estremamente evocativa, un bagno di sonorità e spiritualità nel quale è facile perdersi e soddisfare quel bisogno catartico di redenzione dalle sofferenze, dal “logorio della vita moderna”. Il terzo e ultimo luogo del festival, il palazzo Dar Adyel costruito all’inizio del XVIII secolo e oggi sede del conservatorio di musica tradizionale. Spazio perfetto per ascoltare, seduti sui grandi tappeti colorati, la voce autentica e struggente di Senny Camara. 
Musicista senegalese, si accompagna con la kora, tradizionalmente suonata dagli uomini, o con la chitarra elettrica. Giovane artista molto affermata in Senegal e in Francia, propone un repertorio che spazia da canti tradizionali, che lei stessa definisce “di guarigione”, a musiche più contemporanee. Da qualche anno fa, infatti, parte di O’Sisters un collettivo femminile che riunisce artisti di tutto il mondo creato dal DJ francese Missill. Sempre tra le bellissime decorazioni delle mura di Dar Adyel, scopriamo l’ensemble di Saniye Ismail con “Onikki Maquam”, canti raffinati e gioiosi, di tradizione iugura dell’Asia Centrale fortemente influenzata dalla religione islamica. In conclusione, è doveroso segnalare il concerto di Ibrahim Maalouf e la Haidouti Orkestar, banda di ottoni composta da musicisti di tutto il mondo. Con loro, sul palco si alternavano inoltre l’Orchestra di Fès e i cantori di Meknes. “Un ponte tra le culture”, sottotitolo del grande evento di chiusura. Una celebrazione del sacro che si ritrova in tutta la sua dimensione gioiosa e di festa. E che si inscrive perfettamente nella tradizione arabo-andalusa e mediterranea che Bruno Messina ha fortemente voluto per questa edizione del Festival di Fés.


Layla Dari

Foto di Omar Chennafi ©

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