Uno Maggio Taranto, Parco delle Mura Greche, Taranto, 1 maggio 2022

Uno Maggio Taranto, dialetti e ritmi dal mondo per rivendicare salute e lavoro Al Parco delle mura greche le ultime note erano risuonate nel 2019. Poi, come anche altrove, la pandemia ha impedito di ritrovarsi sotto il grande palco in cui musica e vertenze si fanno spazio senza soluzione di continuità. Ma a Taranto, più che altrove, anche in questi ultimi due anni le questioni di cui la musica si è fatta portavoce nel giorno della Festa dei lavoratori hanno continuato ad incalzare e affastellarsi sulle vite dei cittadini, cresciuti all’ombra dell’impianto siderurgico più grande d’Europa. Tornare al concerto dell’Uno Maggio Taranto libero e pensante significa, quindi, anche e soprattutto riaprire i cassetti dimenticati delle statistiche sull’inquinamento e sulla salute pubblica, che in poche città come questa sono un tutt’uno con le vertenze legate al lavoro. Lo ribadisce chiaramente lo striscione che campeggia sul palco: «Dal 1965 cambiano gli attori ma restano i tumori»
ll concertone di Taranto nasce nel 2013 su iniziativa del Comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti, un gruppo di operai e attivisti costituitosi nel 2012 - dopo il sequestro degli impianti dell'area a caldo dell'ex Ilva - per chiedere la drastica riduzione delle fonti inquinanti, in aperto contrasto con le associazioni sindacali. A queste specifiche istanze finisce per legarsi anche la line-up degli artisti, scelta dai tre direttori artistici Diodato, Michele Riondino e Roy Paci, i primi due tarantini, l’ultimo cittadino “adottivo”. Artisti che si esibiscono senza compenso per un festival senza sponsor, auto finanziato. La musica che si suona mescola scena indipendente e pop, cantautorato, proposte di ispirazione folk e world, reggae, rap, lingua italiana, inglese, dialetti, in un variegato alternarsi sul palco da Ermal Meta, che duetta a sorpresa con Giuliano Sangiorgi, a Gianni Morandi, dai Calibro 35 a The Zen Circus, da Gaia a Ditonellapiaga, agli applauditissimi 99 Posse che dedicano ai tarantini “Curre curre guagliò”, il manifesto di ogni protesta.
Diversi sono gli artisti legati a Taranto, a cominciare da don Ciccio con il progetto African Party, che per l’occasione rinnova la lunga collaborazione con Mama Marjas, voce della black music italiana. Sono appena le 16 quando salgono sul palco con la crew di musicisti e danzatrici, ma il progetto - fondato nel 2014 con l’idea di creare una “festa dell’accoglienza”, tributo al nuovo volto multietnico della città - non manca di scatenare un effetto da dancefloor facendo ballare il pubblico al ritmo dell’afrobeat. «La fusion tra popoli è forse l’unico modo che ha il mondo per salvarsi – ha detto Mama Marjas appena scesa dal palco – questo non è un periodo semplice, la gente ha dimenticato la fratellanza, il concetto di stare insieme. Ma come dice don Ciccio, i confini servono solo ai politici, non sono una cosa reale, la terra è di tutti, di chi la vive, di chi la abita, le culture si intersecano e si mischiano. Questo progetto nasceva per raccontare un altro volto di Taranto, che è una città bellissima, purtroppo calpestata da tante
cose, ma che potrebbe vivere solo di turismo se solo volesse. È bello potare portare all’Italia un’immagine di Taranto non solo legata all’Ilva ma alla musica e ai suoi tanti colori». Tra gli artisti del territorio anche Terraròss, “suonatori e menestrelli della Bassa Murgia” come amano definirsi, band che interseca ispirazione tradizionale, sonorità folk e world, spettacolo di varietà. Cilindro da mago in testa, portano sul palco la mezcla di suoni e ritmi che attraversa Taranto dal Nord e dal Sud della Puglia, accennando “Bella ciao” per poi tornare decisamente a tarantelle e pizziche, circondati da danzatrici immancabilmente vestite con abiti bianchi e fazzoletto rosso in vita. Le note della world music più sperimentale e contaminata arrivano con Med free Orchestra, l’ensemble multiculturale nata nel quartiere Testaccio di Roma, che sul palco di Taranto torna a incontrare la tromba di Fabrizio Bossso e la voce di Chiara Galiazzo. Dialetto e storie di popolo nelle performance di Fancesco Forni e Erica Mou, che portano a Taranto i loro progetti nati a teatro. 
Rock e dialetto napoletano per Francesco Forni, dal concept album “Una sceneggiata”, nato per lo spettacolo “Spacciatore” con la regia di Pierpaolo Sepe, il primo lavoro in cui il cantautore e compositore si cimenta con la lingua delle origini. Per la prima volta alla “prova del fuoco” da autrice dialettale anche Erica Mou, che suona a Taranto “Neinde”, pezzo ricco d’intensità scritto nel dialetto della sua Bisceglie, nato per lo spettacolo “Un’ultima cosa” di e con Concita de Gregorio, e confluito nel nuovo album “Nature”. Salutiamo il concerto a tarda sera, attraversando a ritroso il Parco delle mura greche e facendoci largo tra la folla e le essenze arboree piantate di recente, recintate per l’occasione, quegli alberi che, avevano promesso gli organizzatori rispondendo a chi avanzava velate critiche di incoerenza sulla questione ambientale, «difenderemo con i nostri corpi». Lasciamo alle nostre spalle 25mila spettatori, mentre sui social rimbalzano le dirette streaming seguite da un totale di circa 100mila persone. Lasciamo Taranto, l’eco dell’antica storia spartana che sembra esalare il grande prato del Parco archeologico, la commovente linea dell’orizzonte tracciata dalle navi intorno al porto, le linee signorili dei palazzi settecenteschi, le lenzuola stese ad asciugare ai balconi dei quartieri popolari che tanto ricordano l’altro grande centro della Magna Grecia, Napoli. E infine ci lasciamo alle spalle l’immenso impianto siderurgico che continua a campeggiare a pochi passi dalla città. 


Giorgia Salicandro
Foto di Aurelio Castellaneta per gentile concessione

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