Malanova – Peppi Nnappa ‘ntè favàri (Radici Music, 2021)

Nell’arco di vent’anni di intensa attività artistica, i Malanova hanno dato vita ad un esemplare percorso di ricerca che si è mosso in direzioni e territori differenti, mirando non solo a recuperare e valorizzare la tradizione musicale siciliana, ma anche a preservare la memoria del patrimonio culturale immateriale della loro terra. In questo senso, determinante è stata la scelta di guardare alla tradizione come materia viva e vitale, non limitandosi alla sua mera riproposizione, ma piuttosto facendosi essi stessi parte di essa proiettandola verso il futuro con nuove composizioni. Dall’esordio discografico con “Non iabbu e non maravigghia” passando per “A testa o giocu” e lo splendido “Santulubbirànti”, ispirato alla tradizione dei cantastorie, hanno messo in fila una discografia di grande spessore in cui ogni disco ha preso vita sulla base di concept ben precisi, a cui si è accompagnata una ricerca sonora che li ha visti allargare costantemente il loro orizzonte abbracciando i suoni del bacino del Mediterraneo. Non fa eccezione il nuovo “Peppi Nnappa ‘ntè favàri”, concept-album dedicato alla figura di Peppe Nnappa, maschera della commedia dell’arte siciliana che qui si libera del peso del suo personaggio per diventare metafora della speranza in un cambiamento per la Sicilia in particolare e l’intera umanità in generale. A raccontarci la genesi di questo nuovo progetto discografico è Pietro Mendolia, non senza volgere prima uno sguardo al percorso sin qui compiuto dal gruppo.

Partiamo da lontanissimo. In palermitano “Malanova” non ha esattamente un’accezione benaugurante. Come mai avete scelto questo nome e come questo si ricollega al vostro approccio alla musica?
Quando, nel 2001, ebbe inizio l’avventura di questo gruppo di nuova musica etnica siciliana, la scelta del nome non si mostrò affatto semplice. Dopo aver consultato libri, vocabolari, sinossi, quaderni di scuola, scritte sui muri, bugiardini, etichette di alimenti ed altro ancora, tornavamo alle periodiche riunioni serali coi nomi più improbabili. Nelle nostre originarie intenzioni/visioni, il nome doveva sortire, in chi lo avesse udito, lo stesso effetto di un pugno allo stomaco. Ci piaceva pensare che potesse provocare turbamento/sconcerto/stupore e doveva, in qualche modo, andare controcorrente. Optammo per una parola assai in uso dalle nostre parti, che la credenza popolare vuole associata necessariamente a “cattive notizie”, “disgrazia”, “sciagura”. Tra le tanti accezioni negative del termine, ci aggrappammo all’unica positiva esistente: “espressione di meraviglia”. Forse per sfatare il luogo comune o, chissà, forse perché nella nostra fervida immaginazione questa parola ci ricordava tanto la Sicilia e le sue molteplici contraddizioni: “babba”, “sperta”, pigra, frenetica, mansueta, violenta, capace comunque, tra tante sciagure, di continuare a stupirci e farci innamorare. Così fu “Malanova”.

Qual è, secondo voi, il legame artistico-letterario fra canzone e poesia?
Abbiamo sempre creduto nella forza della canzone e nella straordinaria capacità, che essa può avere, di scardinare i cuori e formare le coscienze. Johnny Cash, Bob Dylan, Paul Simon e gli altri grandi autori, ci hanno dimostrato come può essere possibile unire l’arte della parola a quella della musica e della voce realizzando liriche che hanno rappresentato vere e proprie “bandiere” per intere generazioni e ancora continuano a esserlo. Musica e letteratura, canzone e poesia, nelle varie epoche hanno instaurato un solido rapporto e il premio Nobel assegnato nel 2016 a Bob Dylan, “per aver creato nuove espressioni poetiche nella tradizione della canzone americana”, sta lì a dimostrarlo, come anche la presenza di De Andre’ nelle antologie di poesia tout court.  Ci siamo domandati dove risiede la magia di una poesia in musica e come essa possa rivelarsi in tutta la sua eccezionale potenza. La risposta che ci siamo dati è che una canzone così può nascere solo da un sentimento vero, autentico. Bob Dylan, una volta, a Paul Zollo che lo intervistava per il suo libro “Songwriters” rispose: “Se da oggi in poi nessuno scrivesse più canzoni, il mondo non ne soffrirebbe. C’è ne già a sufficienza di canzoni da ascoltare. A meno che non spunti fuori qualcuno con un cuore puro e qualcosa da dire. Allora è tutta un’altra storia”.

La scelta di utilizzare il dialetto è stata spontanea, e quindi vi è sembrata la maniera più ovvia di scrivere, o è, in qualche modo, una scelta legata anche ad una certa volontà di resistere, e di farlo attraverso le proprie radici? 
L’esigenza di dare vita a un gruppo di musica che cantasse in dialetto nacque, principalmente, per l’urgenza che avevamo, di far conoscere ai ragazzi, ai nostri figli anche, nel modo che meglio conoscevamo, la Sicilia, così come la vedevamo con gli occhi di allora (Pasolini, che ha scritto bellissime poesie in friulano, diceva che il contadino che parla il suo dialetto è padrone di tutta la sua realtà). Volevamo (vogliamo) raccontare la nostra gente, la nostra terra, con le sue bellezze.. e le sue bruttezze… perché desideravamo che essi imparassero ad amarla, ma anche ad “odiarla”… quel tanto che bastava per spingerli a contribuire al suo cambiamento, che reputavamo (e continuiamo a reputare) necessario, per la loro stessa sopravvivenza, in Sicilia, senza rassegnarsi a un destino da migranti. Per meglio riuscirci dovevamo  utilizzare il linguaggio che noi tutti conoscevamo meglio: il dialetto, la “parlata” del luogo dove eravamo nati e cresciuti. Il 2001 fu anche l’anno nel quale si consumò l’immane tragedia delle Torri Gemelle di New York. Assistendo al loro crollo, in molti di noi crollarono certezze, speranze, sogni di un mondo migliore. Tornavamo a riunirci spesso, in quei giorni, attorno al fuoco di un camino, a discutere, parlare, elaborare, stare semplicemente assieme… Così, forse, la scelta di utilizzare il dialetto, per scrivere le nostre canzoni, fu anche figlia di un desiderio inconscio di tornare indietro nel tempo, ai tempi della nostra infanzia, a quando si stava meglio (o almeno così credevamo); era confortante, ci faceva sentire, in qualche maniera, “protetti”. 

Come si è evoluta la vostra ricerca nell’ambito della tradizione musicale siciliana dai primi demo, passando per “Non iabbu e non maravigghia” e “A testa o giocu”?
L’idea di partenza è stata di proporre musiche e canti completamente inediti, di nuova composizione, che avessero il fattor comune del dialetto dei nostri luoghi di origine e degli strumenti della tradizione popolare siciliana, da far dialogare con gli altri strumenti etnici del mondo. Questa impronta non è mutata nel tempo. Continuiamo a comporre le nostre canzoni restando fedeli all’originaria visione, cercando di raccontare storie, di fotografare quel che gira intorno. Col passare degli anni, abbiamo gettato lo sguardo oltre il nostro piccolo fazzoletto di terra, e questo ci ha dato la possibilità di comprendere che, ad ogni latitudine, le persone vivono le stesse passioni, nostalgie, amori, dolori, allegrie.. Questa maturata consapevolezza ci ha portato, naturalmente, ad allargare i confini della nostra musica, a stringere amicizie e dialogare con artisti di tutto il mondo. Possibilità, questa, che sicuramente ha conferito un più ampio respiro alle nostre canzoni. Così, assieme alla fonte di ispirazione primaria, di spiccata matrice tradizionale, abbiamo accolto influenze provenienti da altre parti del mondo e vi possiamo assicurare che, durante questo cammino all’indietro, in avanti, o scartando di lato a volte, album dopo album, ci stiamo divertendo parecchio.  

Veniamo ora al nuovo album “Peppi Nnappa ntè Favàri”. Da dove è nata la scelta di raccontare di Peppe Nappa, che è quasi un tòpos letterario della cultura siciliana?
Peppi Nnappa: è la maschera siciliana della commedia dell’arte. Il suo nome è dovuto all’unione di due differenti parole: “Peppi”, diminutivo dialettale del nome Giuseppe e “nnappa”, che significa toppa dei calzoni. Quindi letteralmente “Giuseppe toppa nei calzoni” che indica, in pratica, un “uomo da nulla”. Viene descritto come servo sciocco di un vecchio barone. E’ pigro, indolente, famelico, ghiottone, ma anche virtuoso ballerino e saltatore abilissimo. E’ quieto, sonnolento ma anche svelto, flessuoso, snodabile, come privo di una propria forma. E’ ingenuo ma anche beffardo, allegro, eterno ragazzo. Più leggevamo i tratti caratteristici di questo bizzarro personaggio e più ci rendevamo conto che la sua figura incarnava il siciliano sempliciotto, quello arrendevole, sempre obbediente, sempre a testa bassa. Così, semplicemente, abbiamo pensato di  “prenderlo in prestito”, il buon Peppi, e gli abbiamo cucito addosso la nostra storia fantastica. In definitiva, non abbiamo noi raccontato la storia di Peppi Nnappa ma abbiamo lasciato che fosse lui a raccontare la nostra.

In virtù di questa scelta narrativa, sentite di aver tracciato, ancora più che nei lavori precedenti, una vera e propria cartografia della sicilianitudine, tanto per citarvi? 
Le nostre canzoni non hanno mai avuto la pretesa di voler per forza comunicare qualcosa a qualcuno. La canzone, come un fumetto, una fotografia, un quadro, racconta una storia dal personalissimo punto di osservazione di chi scrive, scatta, dipinge. Ma quanto più l’artista, nel suo “realizzare”, si fa interprete di sentimenti universali tanto più la sua opera assume un significato. Noi abbiamo, da sempre, raccontato storie (alcune volte vere, alcune altre inventate) e abbiamo cercato un modo di raccontarle in canzone. Cosa ne è uscito fuori non sta a noi dirlo. 
Certo che a leggere quel che ha scritto in proposito il Giancarlo Berardi – creatore e autore di Ken Parker e Julia, tradotti e apprezzati in tutto il mondo,, ma anche di tanti altri personaggi indimenticabili entrati nella storia della “letteratura disegnata” – nella prefazione al disco, qualcosa di buono forse è davvero venuto.

Come si è indirizzato il vostro lavoro in fase di arrangiamento dei brani?
Il processo di composizione e di arrangiamento non segue metodologie precise. A guidare è l’istinto e la passione. L’unica regola è che non ci sono regole. 

Nel disco sono presenti vari ospiti ad impreziosire i vari brani. Quanto è stato importante il loro contributo?
Siamo sempre stati una famiglia numerosa, Malanova (in questo disco abbiamo cantato e suonato: Saba, Marcello Ulfo, Pasquale Manna, Giovanni Ragno, Nunziatina Mannino, Peppe Burrascano, Stefano Bonanno, Antonio Bonaccorso, Davide Campagna, Gemino Calà e Pietro Mendolia), ma questo progetto era troppo importante, troppo “sentito” da portare a termine in… solitudine. Avvertivamo l’esigenza di condividere il viaggio con altre belle anime, così da arricchire il racconto musicale di questa bellissima, martoriata Terra. Così oltre agli innumerevoli strumenti della tradizione popolare e non, utilizzati da Malanova, le musiche del disco si pregiano delle preziose collaborazioni di raffinati interpreti di musica classica, folk, flamenco e jazz, compagni di viaggio del gruppo: Giuseppa Genziana D’Anna, Antonio Livoti, Cosimo Carmelo Costantino, Sabrina e Simona Palazzolo, Pino Garufi, Veronica La Malfa, Giuseppe Ruggeri, Andrea Maria Spera, Ilario Dominelli. 
Inoltre, delle voci recitanti di Katia di Bella, Vera e Rosario Indelicato, Giuseppina Amato, Marco Burcheri, Clare James e Martina Mendolia. Questi straordinari amici, che non smetteremo mai di ringraziare, ci hanno donato il loro tempo, la loro preziosa arte e anche un pezzettino della loro anima…  

Ospiti speciali del disco, per una felicissima congiunzione astrale, la straordinaria cantautrice statunitense Rosanne Cash e il maestro del fumetto italiano Giancarlo Berardi?
Rosanne Cash, la cui grandiosità di artista internazionale non le ha impedito di accostarsi a Malanova, ha creduto in questo progetto musicale e ci ha voluto donare la sua voce per raccontare, assieme a noi, “Chiddu chi Manca”. Giancarlo Berardi, lo scrittore principe del fumetto italiano, ha accettato, per la nostra gioia, di comporre e recitare il testo, in dialetto genovese, che si può ascoltare in “Carusi”. I disegni dell’album, splendidi ed evocativi, sono opera del bravissimo Marco Soldi, che realizza graficamente, tra gli altri, Dylan Dog, Julia, Tex. Marco, dopo le magnifiche – lasciatecelo dire – copertine di “A Testa o Giòcu” e “Santulubbirànti” -  ha disegnato anche la copertina mozzafiato che ha dato vita al sogno di Peppi. Ormai il suo apporto è imprescindibile per noi, una forma di continuità che ci piace assai. Vogliamo ricordare anche nostri preziosissimi amici, senza i quali il disco non avrebbe mai visto la luce: Mimma Gattaino, Salvatore Mendolia, Clare James, Francesca Patti, DeSanti, Giuseppe Faranda, Greta Bartuccio, Antonio Spadaro, Angelo Bartuccio, Stefano Lamalfa, Franco Prestigiacomo, Giorgio Midiri, Gianfranco Giunta. Grazie infinite anche a Aldo Coppola Neri e Stefania Cocozza che ci hanno accompagnato ancora una volta con la loro storica etichetta RadiciMusic e a tutti i ragazzi e le ragazze che hanno partecipato alla realizzazione dei due video. Ci hanno regalato il loro entusiasmo e la 
loro divertita e partecipe disponibilità.

Quali tratti della tradizione dei cantastorie sono presenti nel disco?
Se in passato abbiamo, a volte, utilizzato il genere della ballata narrativa per trattare i “fatti”, oppure descriverli per come anticamente usavano i cantastorie (in “Santulubbirànti”, ad esempio), nelle canzoni di questo progetto abbiamo preferito creare situazioni allusive, raccontare per metafore. E’ la forma che più preferiamo, dopotutto, perché lascia sempre qualcosa di non detto, di non spiegato.

Quali sono le sostanziali identità e differenze tra “Peppi Nnappa ntè Favàri”  e i vostri album precedenti?
E’ presto detto: il dialetto e gli strumenti della musica popolare siciliana, sono sempre stati presenti, in ogni disco. Rappresentano il segno distintivo del nostro fare musica. Le differenze è possibile individuarle nei temi, di volta in volta, trattati. “Non Iàbbu e non Maravìgghia” racconta la Sicilia della nostra età dell’incanto, “A Testa o Giòcu” scherza con i luoghi comuni e le vicende della vita di paese, “Santulubbìranti” sottolinea quanta bellezza esiste qui, in questi luoghi, se solo avessimo occhi per poterla ammirare, “Peppi Nnappa ntè Favàri”, infine, affronta le bruttezze e invita al riscatto e al cambiamento. Un cambiamento – scrive Giancarlo Berardi - che solo i giovani potranno attuare, grazie alla cultura e alla forza innovativa delle loro idee. Alla nostra generazione resta il compito, con le parole e l’esempio, di 
aiutarli a trovare la strada. 

Concludendo, come saranno i concerti in cui presenterete dal vivo il disco?
Questo disco è nato in piena pandemia con le difficoltà che essa ha comportato per tutti. Non ha ancora avuto una presentazione degna di questo nome. Sognavamo di presentarlo assieme a tutti gli amici cari, a Rosanne, Wendell e Jackie dall’America, Giancarlo da Genova, Clare dall’Inghilterra, Marco, Salvatore e Francesca da Roma e a tutti gli amici musicisti e artisti che hanno partecipato attivamente a questo progetto. Speriamo quanto prima di poterci riuscire. Il concerto che immaginiamo è una grande festa di musica, di persone, di amici. Con protagonisti i giovani, quelli che alzano la testa e guardano il sole…

Salvatore Esposito e Giuseppe Provenzano



Malanova – Peppi Nnappa ‘ntè favàri (Radici Music, 2021)
A distanza di cinque anni dalla pubblicazione di “Santulubbirànti”, i Malanova tornano con Peppi “Nnappa ‘ntè favàri” e laddove il precedente era dedicato alla tradizione dei cantastorie siciliani, in questo nuovo album li ritroviamo alle prese con la commedia dell’arte, altro elemento cardine del patrimonio culturale immateriale isolano. Al centro del concept che lega i quindici brani raccolti nel disco troviamo, infatti, uno dei suoi personaggi più noti, Peppi Nnappa, le cui origini rimandano al servus currens delle commedie plautine e che incarna il sempliciotto siciliano, beffardo, furbo e pigro, ma anche in grado di insospettabili trovate. Brano dopo brano seguiamo Peppi che, nel suo girovagare, incontra i protagonisti delle storie legate ai testi, componendo un percorso che lo conduce a liberarsi dai legacci del suo personaggio per diventare metafora della speranza di un cambiamento per la Sicilia e per il mondo intero. Accolti dalla splendida copertina realizzata da Marco Soldi, noto per essere il disegnatore di fumetti come Julia, Dylan Dog e Tex, il disco è introdotto dalle note di copertina firmate da Giancarlo Berardi e da Pietro Mendolia e, all’ascolto, presenta un sound di ricco e nel contempo molto vario in cui si apprezza tutta la versatilità e l’ecletticità del large ensemble siciliano che conferma la sua vocazione di formazione a geometrie variabili. Alla formazione composta da Saba (voce e tamburello), Nunziatina Mannino (flauto traverso e flauto dolce), Davide “Dado” Campagna (djembè, darbuka, cajon, tamburi a cornice, percussioni), Pasquale Manna (fisarmonica), Marcello Ulfo (violino, chitarra), Gemino Calà Scaglitta (fràuti a paru, flauthòne, bìfare, marranzàni), Antonio Bonaccorso (basso acustico, basso fretless), Peppe Burrascano (djembè, percussioni, voce), Stefano “Bonny” Bonanno (basso acustico) e Giovanni Ragno (flauti etnici, friscalètti siciliani, clarinetto) si sono aggiunti, per l’occasione, i compagni di viaggio: Veronica La Malfa (bānsūri), Sabrina Palazzolo (arpa celtica), Simona Palazzolo (arpa celtica), Antonio Livoti (chitarra flamenco e oud), Cosimo Carmelo Costantino (sax soprano),  Giuseppe Ruggeri (tromba), Andrea Maria Spera (trombone), Ilario Dominelli (basso tuba), Giuseppa Genziana D’Anna (violoncello), Pino Garufi (contrabbasso) e le voci recitanti di Clare James,Vera Indelicato, Rosario Indelicato, Giuseppina Amato, Marco Burcheri, Katia Di Bella e Martina Mendolia. Ad impreziosire il tutto c’è la partecipazione di due ospiti d’eccezione come Rosanne Cash e Giancarlo Berardi. Aperto dalla pungente ballata “Terra di Canzùni” con i fiati in grande evidenza ad avvolgere la voce di Saba, il disco entra nel vivo con “Patrùni e sutta” che spicca per l’intreccio tra chitarre e fiati in cui si inserisce il friscalèttu e la voce di Mendolia a cui è affidato il riattratto di Peppi. Si prosegue con il ricordo di una amicizia vissuta da bambini in “L’Amìcu” e la superba “U mastru i ll’opra” nella quale ritroviamo protagonista la voce di Saba che mette alla berlina i padroni, i burattinai che decidono le sorti degli uomini. Se “Accattàtivi a luna” vede il suono aprirsi verso le melodie del mediterraneo ad accompagnare una riflessione profonda su come la Sicilia sia stata svenduta continuamente nel corso dei secoli, la successiva “Storiantìca” è una ballata introspettiva e densa di nostalgia per un lontano passato, giocata sul dialogo tra chitarra fisarmonica, chitarra e friscalèttu. La struggente “Bbona sorti” dedicata a Graziella Campagna uccisa dalla mafia a diciassette anni, ci introduce prima all’intensa “Chiddu chi manca” con la voce recitante di Rosanne Cash e poi alla trascinante “A Pedi Nterra” in cui ritroviamo la figura di Peppi Nnappa e per la quale è stato realizzato un bel videoclip. Arriva, poi, la sequenza con la meditativa “Beddu matinu”, “Centupècuri” in cui si alternano le voci di Mendolia e Saba per raccontare il duro lavoro di un pastore e “U Palòggiu” in cui un popolare gioco della tradizione siciliana diventa l’occasione per tornare sul tema del destino. Altro vertice del disco è “Carùsi di e con Giancarlo Berardi, è qui che Peppi trova il sul riscatto e si libera del peso della maschera, e suona come un invito rivolto ai giovani a prendere in mano la propria vita e a guardare con speranza verso il futuro. I canti d’amore “A Canzùna Nova” magistralmente interpretata da Mendolia, e  “All’aria” completano un disco denso di musica, storie e lirismo che rappresenta certamente il vertice della produzione dei Malanova.


Salvatore Esposito

Posta un commento

Nuova Vecchia