L’etichetta Ocora/Radio France rende nuovamente disponibile in versione CD la storica registrazione del febbraio 1995, al Théâtre de la Ville di Parigi, di due eminenti musicisti afghani originari di Hérat, nella parte occidentale dell’Afghanistan. Come scrive nelle note il compianto John Baily, accademico, ricercatore ed esperto assoluto delle musiche di quell’area centro asiatica, si tratta di due liutisti di estrazione molto diversa: illustre suonatore proveniente da generazioni di musicisti ereditari Ustad Rahim Khushnawaz (rubâb) , musicista autodidatta diventato eccellente professionista Gada Mohammad (dutâr). La loro storia personale di strumentisti sottende la differenza sostanziale tra i due liuti, il rubâb e il dutâr, di cui il primo gode dello status di strumento nazionale afghano. È soprattutto uno strumento solista, un liuto a manico corto, dotato di un sistema di corde tripartito, costituito da tre corde melodiche, più tre che eseguono il bordone e altre quindici corde che vibrano per simpatia. Il secondo liuto, dal manico lungo e di cassa armonica piriforme, è uno strumento di creazione contemporanea, benché analogo a strumenti dallo stesso nome diffusi nell’Asia Centrale ma dotato di 14 corde (una melodica, alcune di bordone e altre di risonanza) esito di un’innovazione sviluppata intorno alla metà degli anni Sessanta del secolo scorso da Mohammad Karim Herawi – artista che lavorava per Radio Kabul – allo scopo di interpretare il repertorio eseguito con il rubâb.
Ai tempi di questa registrazione in presa diretta i due musicisti erano una coppia dalla straordinaria coesione e dal grande affiatamento, in grado di combinare magnificamente l’intonazione profonda del rubâb e la brillantezza timbrica del dutâr, sostenuti ritmicamente dal tabla da Azim Hassanpur, cugino di primo grado di Khushnawaz. Il virtuoso del rubâb era nato nel 1947 (in realtà, la data è incerta) ad Hérat, apprendendo da suo padre l’arte musicale. Di questo strumentista dallo stile meditativo e lirico, abilissimo nell’improvvisazione, e nell’uso di una tecnica particolare di tremolo sulla corda più acuta di bordone, ci siamo occupati recensendo “Afghan Rubab with Songbirds”, sublime album edito da Felmay (https://www.blogfoolk.com/2016/07/ustad-rahim-khushnawaz-afghan-rubab.html).
Si è già detto degli inizi amatoriali di Gada Muhammad, nativo di un villaggio situato in prossimità di Hérat, che ha imparò a suonare osservando altri suonatori, diventando con il passare del tempo un professionista, egli stesso un Ustad (Maestro), portatore di modalità che abbracciano sia lo stile rurale sia quello urbano. Il suo suono è intuitivo, efficace nell’accompagnare il suo partner, ma anche notevole nell’esprimersi da solista. Purtroppo, entrambi i Maestri hanno lasciato questo mondo, Rahim Khushnawaz nel 2011, Gada Mohammad nel dicembre del 2020. In tal senso, dobbiamo osservare che una nota biografica aggiuntiva, a sottolineare la loro rilevanza artistica da quel fatidico 1995 al nuovo millennio, sarebbe stata opportuna per inquadrare meglio le due importanti figure di maestri strumentisti.
Lo storico recital parigino si compone di due sezioni, la prima allinea quattro composizioni di musica locale di Hérat. Si parte con “Leili Kodam Ast Be Nok-E Bam Ast”, vecchio canto locale nel repertorio del padre di Rahim e al quale il figlio ha aggiunto un inserto strumentale. Il liuto a manico lungo è protagonista del secondo tema, “Chaharbeiti Siahmu Wa Jalali”, associato ad espressioni poetico-musicali delle aree rurali della provincia. L’influenza del linguaggio musicale d’arte iranico in voga negli anni ‘20 del Novecento ad Hérat si manifesta propriamente in “Asadullah Jân”, lamento di una madre per suo figlio, morto da fuorilegge, interpretato per solo rubâb e tabla. Infine, la coppia si ricompone per “Jâm-E Nârenji”, altra canzone locale molto nota in tutto l’Afghanistan. La seconda sezione del concerto presenta musica d’arte di Kabul, dalla marcata ascendenza indostana. Un legame di lunga durata quello con l’area indo-pakistana, però consolidatosi nel secondo Ottocento, quando musicisti indiani suonavano alla corte di Kabul, diffondendo la pratica di forme vocali e strumentali dell’India settentrionale, ma sviluppando anche generi colti locali vocali (ghazal) e strumentali (naghmeh-e kashâl). Questi ultimi sono in forma di suite organizzata in tre sezioni: shakl, una sorta di esegesi delle caratteristiche melodiche del brano in ritmo libero, âstâi, composizione principali reiterata con variazioni ritmiche, antara, brevi componimenti caratterizzati da graduali accelerazioni verso la fine del pezzo). Dunque, ascoltiamo cinque composizioni riconducibili alla struttura del raga, in cui si alternano i due solisti: “Naghmeh-e Kashâl (Raga Beiru)” e “Naghmeh-e Kashâl (Raga Bhimpalasi)” per solo rubâb e “Naghmeh-e Kashâl (Raga Yemen)” per solo dutâr. I due musicisti propongono insieme un altro brano molto diffuso nel Paese: “Naghmeh-e Kashâl (Raga Pilu)”, per concludere mirabilmente con “Tarz (Raga Asa)”, melodia associata a un ghazal, proposta in versione strumentale.
I settantasette minuti di musica sono una fulgida immersione nella ricca tradizione musicale di un Paese martoriato, la cui continuità è nuovamente sottoposta ad attacchi inauditi da parte del nuovo potere talebano insediatosi a Kabul nell’estate del 2021. In tal senso, la registrazione di Ustad Rahim Khushnawaz e Gada Mohammad offre una lezione magistrale di padronanza tecnica e di abilità espressività da serbare con cura, ma anche da diffondere nel mondo.
Ciro De Rosa
Tags:
Asia