Stelios Petrakis Quartet feat. Vasilis Stavrakakis, Bijan Chemirani – Spondi/Σπονδή (Technotropon Artway/L’autre distribution, 2021)

Agía Triáda è fra i luoghi che permettono di esplorare tremila anni di arte cretese. Da qui prende le mosse “Spondi”: il brano, che con una certa solennità apre e dà il titolo all’album, trae ispirazione da un reperto archeologico, il vaso dei mietitori, un vaso di pietra nera creato intorno al 1500 a.C. utilizzato nelle cerimonie religiose, nelle libagioni, che è il significato di “spondi”, far fluire in maniera rituale. Nel vaso è inciso un gruppo di mietitori di ritorno dai campi mentre camminano in coppia portando sulle spalle falci e attrezzi da lavoro. Dietro di loro vengono alcuni cantanti. Davanti al gruppo, cammina una figura dai capelli lunghi. Nel complesso, la scena sembra veicolare uno spirito di gratitudine dopo aver effettuato il raccolto. Il secondo brano, “Pentozalis” mette in luce tutta la potenza e la sapienza nell’accelerare il ritmo del quartetto base che comprende Stelios Petrakis alla lira cretese (ma anche al laouto e al saz, e al violoncello cretese), Dimitris Sideris al laouto e al canto, Michalis Kontaxakis al mandolino e Nikos Lembesis che con i suoi passi di danza offre la base percussiva, uno degli elementi che accentuano la “fluidità” dell’intero lavoro. A integrare il gruppo ci sono altri quattro ospiti. Il più presente è Bijan Chemirani, il cui zarb (e poi anche daff, bendir e udu) rende ritmicamente particolarmente interessanti cinque brani, tra cui “Syrtos Ts’ Apomonis”, il primo in cui si ascolta la voce piena ed espressiva di Dimitris Sideris. Poi, la sorpresa: “Avlemonas, 1941” è un breve inserto sonoro che ci proietta indietro nel tempo, nel rombo di aerei in grado di sganciare bombe, di “occupare” il territorio cretese, come cantano i versi della seguente “Kalos andamothikame”, racconto di luna piena e di morte. La voce di Vasilis Stavrakakiscals e la cornamusa cretese (askomandoura) di Charalambos Paraskakis si incontrano in “Syrta” e pareggiano i conti: non solo con un inno alla vita, ma anche a chi sa viverla senza fretta, senza contare gli anni che passano, attento solo ai momenti che fermano lo scorrere del tempo. Poi è il pandero di Efren Lopez ad essere chiamato a scandire il ritmo danzante e d energetico in “Sto Barbareso tis avles”, dedicata all’indomito spirito di Nujood Ali e Nada al-Ahdal, capaci di opporsi giovanissime ai matrimoni forzati, diventando un punto di riferimento per chi nella società yemenita resiste a questa pratica. Ma le sorprese non sono finite: il decimo ed undicesimo brano, “Epese to Spiti” e “Rodo ts’ avgis” stendono un tappeto di corde a beneficio di due voci: prima quella narrante di Marika Minadaki che, da anziana, rievoca l’occupazione e le distruzioni provocate dai nazisti nel 1944, poi quella di Dimitris Sideris che percorre i ricordi della signora Vasiliki di Temenia in Selino: nello stesso periodo, mossi a pietà, offrivano un pasto caldo ai giovanissimi soldati tedeschi semi-congelati nelle montagne cretesi che stavano occupando. Il finale è tutto per la danza, con “Maleviziotis” che offre agli strumenti a corda un’occasione per sostenersi e rincorrersi a vicenda, ispirati dai versi di Aristidis Chairetis: "Non mi stanco quando ballo. È quando non ballo che divento stanco"


Alessio Surian

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