Melingo, Candiani Groove 2022, Centro Culturale Candiani, Mestre (Ve), 27 marzo 2022

La particolarità del teatro Candiani è quella di non offrire il palco di fronte agli spettatori, ma di disporli ai due lati della scena, su due gradinate che permettono di osservare dall’alto quel che avviene nel rettangolo sottostante. Questa scelta, nel caso di Melingo, si è rivelata quanto mai azzeccata. Perché dal vivo il musicista e compositore argentino propone un vero e proprio tour de force attraverso tango, vals, milonga “aires folklóricos”: due ore in cui non sta mai fermo, nel suo completo scuro con tanto di cappello cammina e cammina, anzi balla e danza e con i suoi passi scandisce il ritmo di una ventina di canzoni che per due ore trasportano chi ascolta nei vicoli di Buenos Aires o di Atene, in un universo notturno polifonico e sognante. Ad ancorare il suo periplo, Melingo ha disposto al centro della scena i suoi tre impeccabili compagni di viaggio, Juan Pablo Gallardo al pianoforte, Facundo Torres al bandoneon e Romain Lecuyer al contrabbasso. Lui gira intorno a loro, costantemente; macina versi e chilometri, passi di danza e gesti che ti portano dritto in un cabaret berlinese degli anni Trenta. Percorre la storia di Linyera, l’alter ego con cui convive da una decina d’anni, sorta di poeta-archeologo impegnato a ritrovare le origini del tango e della sua stessa saga famigliare, 
cominciata fra i flutti del Mediterraneo per poi approdare a Villa Ortuzar, quartiere di Buenos Aires cui ha dedicato “Ayer”.  “Ti dà fastidio questa discussione sul fatto che tu faccia o no tango?” gli avevano chiesto in occasione dell’uscita del suo ultimo album “Oasis”. “No, mi diverte – aveva risposto – A noi piace giocare al giudice e, quando non ce lo fanno fare, almeno vogliamo essere parte della giuria. E qui l'unico giudice è il tempo”. In questo percorso sembra aver incontrato due riferimenti certi: Gardel e Edmundo Rivero, in particolare la capacità di quest’ultimo di passare dal canto per le orchestre di tango alla dimensione più intima, all’accompagnamento essenziale della chitarra e al lunfardo, “el dialecto de los ladrones”. Melingo guarda ai versi di Carlos de la Pua, Evaristo Carriego e Luis Alposta, guarda al lunfardo come pietra angolare del tango, come spazio in cui il timbro della voce diventa decisivo. La chitarra, lo strumento che aveva studiato a Buenos Aires all’Accademia Nazionale di Musica Carlos López Buchardo, non è parte del suo attuale paesaggio sonoro; l’ha sostituita un piccolo baglamadaki, sei corde facilmente occultabili sotto il suo ampio cappotto nero, 
tracce di melodia e rebetiko accanto a quelle che, all’occorrenza porge col clarinetto, il kazoo, il fischio, personali omaggi alla “Santa Milonga” che ci consegna come cornice generale del suo girovagare, a tratti sottolineata percussivamente col tacco delle scarpe, a volte solo accennata simulando il suono del rullante della batteria con l’impatto lieve delle suole sul palco. Il repertorio fa volentieri appello al dialogo col “coro”, all’interazione con le voci dei tre compagni di viaggio e spazia lungo tutto l’arco dei suoi ultimi quindici anni, da quel “Maldito Tango” che traghettava gli anni rock contemporaneamente nel passato e nel futuro, come testimoniano i suoi ultimi tre dischi, una trilogia che, è vero, sa di tango, ma ancor di più di migrazioni, di capacità di accoglienza e di ripartenza, proprio come recita “Anda”, gioco di specchi con “Volver”, interpretata letteralmente volando sul palco: “Desplegando bien las alas / El canto del viento / Se hecho a volar / Fueron miles de hijos / Y ya vendrán / Muchos más / De todo los palacios / Yo te ofrezco este lugar / Un refugio una guarida / Para volver a empezar / Si querés regresar” (Spiegando bene le ali / Il canto del vento / Si mise a volare / Se ne andarono migliaia di figli / E ne verranno / Molti di più / Di tutti i palazzi / Ti offro questo posto / Un rifugio una tana / per tornare a cominciare / Se vuoi tornare). 


Alessio Surian

Foto e video di Alessio Surian

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