Germano Bonaveri – Faol (Visage Music, 2022)

Cartina tornasole dei tempi famelici e deliranti che attraversiamo “Faol” il nuovo album di Germano Bonaveri arriva a quasi un anno di distanza da “Il bardo e il Re dei gatti” e ci accoglie con le trame elettroniche di “Blu” (“Oltre ogni limite, non è pazzia/ Devo solo immaginarmi libero/ visualizzare l’idea/ e vedrai: io volerò”), in cui una drum-machine dritta fa da sostegno ritmico ad un reticolato di pianoforte e synth dal sapore battiatiano, che accompagna un cantato spruzzato di vocoder. Con “Atto secondo, scena ottava” (“Cantare e sognare senza paura/ aver l’occhio e la voce sicura/ Mettere il feltro, se mi va, di traverso/ e battermi, o fare un verso”) si torna su sonorità più classiche, con uno splendido incastro tra le tessiture dell’arpa ed i ricami della sezione archi, mentre una linea di basso sinuosa anima, dietro le quinte, la dinamica del pezzo, in quella che è una purissima rivendicazione di resistenza artistica. Sono sempre le trame eleganti dell’arpa che, unite agli arpeggi di una languida chitarra, colorano di toni soffusi e quasi malinconici “Ostinato” (“Ho scelto di lottare/ per ciò che mi appartiene/ e che nessuno può portarmi via:/ il bisogno/ che ho/ di sentirmi/ libero”), vero e proprio seguito “morale” della traccia precedente. La title- track (“Sul più alto dei suoi rami/ il mio spirito dimora:/ guardo transitare le stagioni/ ululando come allora”) si snoda attraverso il cupo incedere di un pattern ritmico buio, con una tetra linea di basso ad innervosire l’atmosfera, in un crescendo narrativo asfissiante, sottolineato dalle tensioni create da sintetizzatori e percussioni. Ritmi forsennati ed ancestrali pennellano “La torre di Babele” (“Quando si udì lo schianto/ la grande madre distese il velo/ poi, come per incanto/ scorgemmo le aquile alzarsi in volo”), brano sorretto dalle linee di un bouzouki, contrappuntate dalle incursioni della sezione archi, che fanno da sfondo allo splendido- ed angosciante- incastro vocale. Splendido, nel decennale della morte, l’omaggio a Tonino Guerra, con “Il respiro di Tonino” (“La bellezza vincerà/- lo so che vincerà-/ la bellezza vincerà/ ed il mio mandorlo lo sa”) che si snoda lungo i delicati ricami di un pianoforte, aperti dai tappeti della sezione archi e dai toccanti contrappunti di un’arpa. Anche “Ecate” (“Ecate Trivia celebro/ amabile, celeste/ e terrestre e marina/ dal manto color croco/ sepolcrale/ boccheggiante come l’anima dei morti”) è accompagnata dai raffinatissimi arpeggi di pianoforte, con gli interventi di un flauto, a regalare colore, capaci di rendere palpabile materia sonora un testo meravigliosamente evocativo. “Cosa porterai” (“Non portare l’obbedienza/ che là nessuno vuol comandare/ nessuno striscia o chiede clemenza, /come sei stato costretto a fare”), probabilmente uno dei passaggi migliori dell’intero album, gioca sull’intreccio fra gli arpeggi del pianoforte e gli abissi della seziona archi, con i vibrati di un flauto a sparigliare le carte di una canzone dal sapore fossatiano, anche nel timbro vocale di Germano. Sono sempre i vibrati di un flauto ad accoglierci su “Gli angeli” (“Ed il lupo non è ostile, segue le sue regole:/ il pericolo peggiore/ son tutte quelle pecore/ intorno a te”), il cui accompagnamento è scandito da un pianoforte acquoso. Su “Il sabba” (“Troverai un luogo dove fede e scienza/ vengono adorate dalla maggioranza/ Tengono il potere pochi sacerdoti/ e gli altri ad obbedire come degli idioti”) troviamo atmosfere più soffuse e misteriose, con un pattern ritmico sabbioso a sostenere una scansione metrica incessante, mentre il tappeto di archi, flauti e sintetizzatori tesse, sullo sfondo, trame oscure e disturbanti. A chiudere il disco ci pensa “Il disco fa click” (“Cenerentola fa l’influencer/ e fa milioni con gli eyeliners/ Barbablù è il suo promoter/ e gestisce un beauty center”), delicato omaggi, sorretto dal pianoforte, o al mondo delle Fiabe Sonore, qui intrecciato con più di una punta di caustica malinconia. È nel suo raccontare, senza mezze misure o sconti di sorta, cosa siamo diventati (o, più probabilmente, cosa siamo sempre stati) che Bonaveri si conferma cantautore dalla classe cristallina, voce necessaria che ci ricorda l’importanza di certa canzone orgogliosamente resistente e militante. 


Giuseppe Provenzano

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