Orquestra Afrosinfônica – Orin: a língua dos anjos (BaianaSystem/Máquina de Louco, 2021)

Ventitré membri, diciannove strumentisti e un coro di quattro voci femminili (Tâmara Pessoa, Djara Mahim, Dinha Dórea, Raquel Monteiro): il progetto avviato nel 2009 da Ubiratan Marques sui repertori africani e afrodiscendenti ha sempre potuto contare su un ampio ventaglio sonoro. Nell’Orquestra Afrosinfônica la sezione ritmica (Lucas de Gal, Marcelo Tribal, Nem Cardoso, Jason Wild) diventa la casa comune per le sezioni di fiati e ottoni, così come per il coro, vere e proprie orchestre che, dirette da Marques, diventano un unico corpo musicale. È con Banda Reflexu’s e con Gerônimo che Ubiratan ha mosso i primi passi sui palchi musicali della Bahia negli anni Ottanta dove si era formato anche in composizione e direzione nella Escola de Música dell’Universidade Federal, per poi emigrare São Paulo negli anni Novanta: “Lì, ho lavorato molto come arrangiatore per l’Orquestra Jazz Sinfônica, con un occhio di riguardo per la cultura brasiliana. Cominciai a pensare a dar vita ad un progetto simile a Salvador, centrato sull’universo della musica afro-brasiliana”, racconta Marques. A Salvador, nel 2007, Marques fondò insieme a Gilberto Santiago il Núcleo Moderno de Música, una scuola con sede nel popolare quartiere centrale Pelourinho: “Fino al 2012 abbiamo offerto corsi a musicisti, spesso impegnati con grandi artistas, insegnando il linguaggio dell’arrangiamento e dell’armonia nella musica brasiliana a circa cinquecento studenti. In modo naturale, qui è nato il progetto dell’Afrosinfônica e qui si sono svolte le prime prove. La nascita dell’ Orquestra è avvenuta in modo collettivo. L’idea è spuntata nella mia testa, ma era importante che i musicisti si coinvolgessero, dicessero ‘facciamo’, cercassero semplicemente di realizzare musica per provare a trovare qualcosa che è arrivato dopo cinque anni di lavoro”. A febbbraio 2015, nel Sesc Pelourinho, venne presentato il primo album dell’Orquestra Afrosinfônica “Branco”.  “L’idea dell’Afrosinfônica nasce dalla mia esperienza con la musica sinfonica colta, ma a partire da uno sguardo preciso, cioè far quello che anche Beethoven faceva: musica della propria terra”. Questa volontà si è tradotta in un fecondo dialogo con le musiche trasmesse oralmente, quelle legate al congo, al maracatu, ai bloco afro, e a tante altre. “Facendo le debite proporzioni, avendo sempre come inspirazione il lavoro compiuto con “O Trenzinho do Caipira” dal Maestro Heitor Villa-Lobos, che vede l’incontro fra la musica colta e quella caipira”. Le dieci composizioni di “Branco” univano la dimensione ancestrale dei ritmi e delle percussioni dei terreiro afro-brasiliani con la grammatica delle orchestra europee. Tre brani vedevano come coautore Mateus Aleluia che ha continuato a collaborare con dell’Orquestra Afrosinfônica ed è coautore di sei delle dodici composizioni del secondo album, “Orin” (“canzone in lingua yoruba") candidato ai Grammy 2021 al miglior album di musica “de raízes” (premio che è andato a Ivete Sangalo). All’album partecipano lo stesso Mateus Aleluia in tre canzoni (“Onde estão as borboletas?”, “Meu caminhar” e la conclusiva “Canto de Verônica”), Baiana System, Gerônimo, Lazzo Matumbi, e Aquim Sacramento com marimba, vibrafono e xilofono. È il piano acustico di Ubiratan Marques ad aprire l’iniziale “Orin” prima che il canto intrecciato ai fiati percorra il pantheon yoruba celebrandone i protagonisti - Obatalá, Xangô, Ogum, Oyá, Nanã, Yemanjá, Oxumare, Obaluayê, Oxum – e facendo al contempo crescere i pieni corali e orchestrali. Al padre, José Marques, Ubiratan dedica il secondo brano, “Orixá”, aperto dalle percussioni e dai fiati, ora solenni, ora a punteggiare il canto che intreccia lingua yoruba e portoghese a interrogare il ciclo dela vita “Negli occhi del mattino/ti ho visto qui/angelo di luce”. Il terzo brano, “Mameto Kalunga”, è il primo ad affidarsi al portoghese e a voci anche maschili, quelle di Gerônimo Santana e Lazzo Matumbi, interpreti delle sofferenze terrene e della capacità di protezione di Yemanjá e delle onde del mare. Mateus Aleluia entra in gioco con un recitativo in “Onde estão as borboletas?”, uno dei brani più vicini all’estetica jazz del gruppo Fort Apache guidato dai Fratelli González e altrettanto capace di cambi di passo ritmico-armonici che sanno imprimere al brano emozionanti crescendo e poi aprire un’oasi di preghiera: quella interpretata dal cantante angolano Dodo Miranda che raggiunge l’Orquestra nel quinto brano, “Nabeleli Yo”, quando la língua del canto diventa il lingala della regione africana dei Grandi Laghi. A Nzambi ya Mpungu si esprimono i dolori dell’anima e si chiede l’intervento divino per le difficoltà della vita, i disastri e le epidemie che sfuggono al volere degli umani. Ma c’è spazio anche per la festa che arriva puntuale con “Maracatu do Congo” con le diverse parti dell’Orquestra a rincorrersi nell’invito alla danza e le voci maschili e femminili a scambiarsi le parti nel gioco della chiamata e della risposta. Lo sciabordio delle onde del mare chiama ad unirsi ai musicisti il basso di Seko Bass, il mandolino di Roberto Barreto e la voce luminosa di Russo Passapusso (Baiana System) in “Água”, così come profondamente legata alle acque è “Meu caminhar”, brano che fa parte della Colonna Sonora del documentario “MOKAMBO: Nguzu Malunda Bantu”, sul ruolo della cultura bantu nell’evoluzione identitaria dei brasiliani, ispirato, in particolare, al Terreiro Mokambo, del culto Congo/Angola, guidato da Taata Anselmo Santos Minatojy, con uno spazio museale - Memorial Kisimbiê – Águas do Saber – riconosciuto ufficialmente come patrimonio culturale dal 2016. Anche “Espiritual” fa riferimento ad un documentario, questa volta si tratta di “Hereros”, girato nell’Angola meridionale da Sérgio Guerra: sono le voci registrate lì da Guerra ad aprire il brano, cucite dalle note che distilla il vibrafono di Aquim Sacramento cui, con discrezione, si aggiunge l’ Orquestra. Nel conclusivo “Canto de Veronica” è di nuovo il vibrafono a fare da contrapunto alle voci femminili che dialogano con quella di Mateus Aleluia, sospinte dalle percussioni e dai fiati, a sincretizzare latino, portoghese, spiritualità yoruba: “confondo la vita com la morte/gli Dei non vivono questa esperienza/non muoiono/Mi domando/Vivono?/Io mi rinnovo perché invecchio/Sono um seme che pianta/il piacere portato dal dolore”




Alessio Surian

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