Nomfusi – The Red Stoep (Delicious Tunes, 2021)

Nomfusi si racconta nel suo nuovo album, il quarto della carriera di questo formidabile talento canoro sudafricano. Nativa della township di KwaZhakele, sobborgo di Gqeberha (l’ex Port Elizabeth) nella provincia Orientale del Capo e cresciuta in una famiglia povera con la madre single, mentre suo padre era in carcere, da piccola Nomfusi accompagnava la madre nei rituali di guarigione, gli intlombe. Sua madre, infatti, era una sangoma, un’esperta di medicina tradizionale, e fu in quelle occasioni che Nomfusi iniziò a sviluppare la sua musicalità, ballando e cantando nel corso delle sessioni. All’età di dodici anni (era il 1998) perse tragicamente la madre malata di AIDS. Fu presa in cura da una zia, anch’ella stroncata dalla stessa malattia. Eppure la cantante è stata capace di risollevarsi dalla miseria, la musica l’ha aiutata a superare quelle terribili prove ed è diventata una stella canora della musica della nazione arcobaleno. Esordio nel 2009 con “Kwazibani”, seguito da “Take Me Home” (2012) e “African Day” (2017); la cantante ha conquistato diverse nomination ai South Africam Music Awards. Uno “stoep” è una sorta di patio di una casa e qualsiasi riunione fatta lì diviene un momento di forte condivisione. Ecco che Nomfusi ci invita a raggiungerla in questo metaforico incontro comunitario in cui si parla di questioni sociali scottanti, come di temi più personali o associati alla sua origine culturale Xhosa. Con il nuovo album, pubblicato dall’etichetta tedesca Delicious Tunes, questa cantante dalla notevole estensione vocale (ha pure impersonato Miriam Makeba nel film sulla vita di Madiba Mandela, “Long Walk To Freedom”, 2014) marca in maniera più forte le sue origini, fondendo i ritmi urbani popolari con inflessioni di matrice Motown, eleganti innesti jazz e levigature pop mainstream. “The Red Stoep” è stato prodotto dal sassofonista e trombettista Steve Dyer, mentre ha goduto dell’apporto di un potente e affiatato gruppo di srumentisti: Mark Williams (chiatrra), Khola Phalatse (basso), Lungile Maduna (batteria), Sanilde Mgcina (tastiere), Nomhle Nongogo e Kenny Mtyda (backing vocals). “Burning” e “Nguwe (Love and Sunshine)”, la prima in Xhosa, la seconda cantata anche in inglese, sono vestite di pop e mostrano appieno la loro danzabilità. Il primo singolo “Iqaqa”, una canzone sulle relazioni d’amore, in cui Nomfusi canta: “Iqaqa aliziva kunuka”, ossia “la puzzola non si annusa da sola”, a dire come le persone spesso non sono in grado di riconoscere i propri difetti (qui il video ) mette insieme inflessioni jazz e afro-pop. Patinatura pop-jazz pure per “Wave of love”, tempi medi in “Ngenene”. Le chitarre zulu in stile maskandi furoreggiano, caratterizzando “Nomahamle”, una canzone sulla violenza di genere, e “Ayeza” in cui la voce vola davvero alta. Il groove di tastiere è irresistibile in “Apha kum”, mentre le chitarre trionfano di nuovo nell’incedere in levare di “Nomana”, un’altra canzone ambientata nella township: canto potente in difesa della condizione femminile (qui, nella versione live a Las Palmas a fine 2021). La maternità è al centro di “Umama” (Madre), un canzone di “public domain” come “Yesu Langa Lomphefumlo (The Hymn)”, tema corale che chiude magnificamente l’opera di un’artista di grande temperamento, che scorre che è un piacere. 


Ciro De Rosa

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