Quest’ album è stato registrato a Murcia nel 20220 dalle mani sapienti di Costantino López, musicista e ingegnere del suono, propulsore del progetto discografico “Primavera en el Atlas Colección”, consistente in “una serie limitata di dischi di diversi artisti, creati in modo tale da garantire soprattutto la riconciliazione dell’ascoltatore con la musica nel suo stato più puro e naturale”, facendo luce “sull’arte dei musicisti da un’angolazione vicina e forse anche personale enfatizzando l’interazione dal vivo tra i musicisti e la sensazione reale di suonare insieme nello stesso spazio”. Pubblicato dall’etichetta belga Seyir Muzik, diretta da Tristan Driessens, “Atlas” vede protagonisti il celebrato polistrumentista valenciano Efrén López (‘ūd, lavta, chitarra fretless, oğuri saz, rabab, tanpura) e l’altrettanto ispirato strumentista tessalonicese Christos Barbas (ney e lavta), due musicisti possessori di un linguaggio musicale affine, i quali da quasi due decenni navigano insieme a bordo di svariati progetti, tra i quali la grande impresa didattica di respiro mediterraneo che è Labyrinth. In “Atlas”, la coppia presenta nove composizioni concepite a partire dal sistema modale del maqām, proponendo un “seyir” (un viaggio melodico) che, attraversato il Mediterraneo orientale, tocca il Vicino Oriente e si spinge oltre. Il suono è raccolto, intimo ma al contempo aperto per la natura improvvisativa che è essenza di queste forme musicali.
Prendete la libertà del motivo iniziale, in origine scritto da Christos per il progetto “Eternal Tides” della cantante di musica indostana Hania Mariam Luthufi, destinato a sensibilizzare la coscienza ambientale sullo stato degli oceani e sulla sostenibilità sociale ed ecologica. Nel brano Efrén improvvisa sulla melodia del flauto, utilizzando due liuti, uno turco e uno irakeno, che sono accordati – spiega – “in modo che le corde aperte di entrambi insieme creino accordi e scale che servono come base per l’accompagnamento”, generando un colore molto particolare (ecco qui una versione live al Teatre Auditori Cardedeu al Labyrinth Catalunya Festival).
Sulle corde del lavta, si viaggia verso Creta con “La nau” (di Barbas), in cui l’incedere danzante stilizza la tradizione sonora ritmica isolana. È il flauto ney ad esporre la melodia di “Ben volgra, s’esser poges”, composizione del trovatore Guiraut de Tholoza (1245-1265), su cui López ricama imbracciando il saz ideato dal gran maestro turco Erkan Oğur. Diversamente, sono due i “liuti di Costantinopoli” con cui è sviluppato “Hoquetus”, superlativo pezzo di López, ispirato all’omonima forma musicale medievale. Dalla penna di Barbas provengono sia i successivi undici e passa minuti di “Jasmin”, basata sulle strutture modali della musica classica ottomana, sia “Perasma”, un pezzo già registrato più di dieci anni fa con il gruppo Yeden
che riprende una forma ritmica iraniana (in vivace ritmo di 6/8) con un inusitato accostamento tra rabab e ney. Ritroviamo gli stessi strumenti in “Kürdi Peşrev”, con cui siamo trasportati alla corte ottomana del XVII secolo dove era attivo il compositore greco Tanburi Angeli. In questo episodio il duo sfodera il meglio delle proprie abilità, mettendo a frutto il riverbero naturale prodotto dalle corde simpatiche del liuto afghano, mentre i profili melodici si incrociano, si allontanano e si ritrovano. L’ascolto prosegue con due composizioni di López, la prima, “Sadaf”, appartiene al mondo musicale pashtun: è un tema ispirato alla danza cerimoniale Attan. La seconda composizione “Atlas”, traccia conclusiva del disco, vede giustapposte le idee musicali della coppia che si produce in un’altra serie di articolate procedure improvvisative.
López e Barbas hanno realizzato un album che irretisce per la combinazione di tecnica, ispirazione, passione e gusto per l’erranza.
Ciro De Rosa
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