Suonno d’Ajere, Piccolo Bellini, Napoli, 22 dicembre 2021

“Ce simme arricreati” con il recital dei Suonno d’Ajere, che hanno presentato a Napoli il nuovo release del fortunato esordio “Suspiro”, ri-pubblicato da Italian World Beat e distribuito sul mercato interno e internazionale in una nuova veste grafica, con uno scatto del fotografo partenopeo Mario Spada in copertina. La nuova edizione contiene due bonus track: l’inedito “A rezza”, firmato da Alessio Bonomo e Ferruccio Spinetti, e un altro classico partenopeo, “‘E ccerase”, lirica di Salvatore Di Giacomo su musica di Vincenzo Valente. Dopo il successo agli showcase pistoiesi di Musiconnect Italy, Irene Scarpato (voce), Marcello Smigliante Gentile (mandolino e mandoloncello) e Gian Marco Libeccio (chitarra classica) hanno portato sul raccolto palcoscenico del Piccolo Bellini il loro set che attinge a differenti stili canori, repertori e consuetudini artistiche, con una strumentazione che richiama gli assetti strumentali della posteggia del primo Novecento, mediata da un’attitudine più classica che sa viaggiare con estro dentro la melodia, coniugando virtuosismo ed espressività. 
Quella dei Suonno d’Ajere è una disposizione al canzoniere d’arte napoletano che è stata definita neo-retrò, ma che si sviluppa come ricerca raffinata, studio ragionato su fonti e repertori, creazione di un equilibrio sottile che si sottrae ai richiami world in voga negli ultimi decenni (ché poi, a dirla tutta, la canzone classica napoletana è un ibrido in cui il mondo musicale “altro” è entrato da sempre). Su tutto si erge la presenza vocale di Irene Scarpato, cresciuta in autorevolezza in questi anni, che si alimenta al fuoco scenico delle regine canore partenopee del passato, ma non disdegna riferimenti a modelli canori d’oltreoceano. La vocalist ci mette pathos, ma è attenta a non eccedere quando è alle prese con le canzoni accorate e “appassiunate”. E poi, naturalmente, ci sono le corde dei due strumentisti che rendono facili i passaggi difficili, che dialogano, si appoggiano l’uno all’altro, si muovono in controtempo e non difettano di vena ironica. Il trio non poteva iniziare meglio la serata che con “Carmè m’alluntano per mmo”, per infilare poi, una di seguito all’altra, le sfrontatezze della magnifica serenata tardo ottocentesca “Scétate”, con i plettri
che ora favoriscono l’armonia ora si fanno incalzanti, e due canzoni coeve del primo Novecento, “Ammore che gira” e “Mmiez ‘o ggrano”; tre brani tutti contenuti nell’album d’esordio. A sfogliare il canzoniere contribuiscono gli ospiti del quartetto d’archi Ondanueve, che entrano in scena allargando prospettive timbriche e armoniche in “A Cartulina ‘e Napule” e “Mare ‘e Mergellina”, composte nei primi due decenni del secolo scorso, per poi assecondare la sola Scarpato in “Suspiro”, motivo scritto da Smigliante Gentile, e in “Nun è Carmela mia”. L’ostinato del mandolino apre l’inedito “‘A rezza”, la chitarra raddoppia l’accompagnamento al canto soffuso di Scarpato, poi entra la guest star, il contrabbassista Ferruccio Spinetti, che sostiene la voce limpida, dando profondità alla sequenza strumentale (della canzone è stato realizzato anche un videoclip). Dal cilindro delle squisitezze i Suonno D’Ajere estraggono “Na voce, na chitarra e ‘o ppoco e luna”, dal repertorio seducente della Napoli (e Ischia) by night di Enzo Calise, un altro innovatore della forma canzone (sia linguistica che musicale) del secondo Novecento, da
non dimenticare. Quindi, allineano un trittico di gustosa leggerezza: la baldanzosa ironia napo-latinoamericana de “Il calippese” (ossia “‘O calipso napulitano”), la verve macchiettistica de “’A Casciaforte” e infine, ripescata da una Piedigrotta del 1950, la frizzante e ammiccante “’A Canzone d’o Roccocò” (di Antonio Viscione “Vian” su versi di Vincenzo De Crescenzo, gli stessi autori del successo internazionale “Luna Rossa”).Lo strumentale “Tarantella Siciliana” mette di nuovo insieme le corde e gli archi di Ondanueve. Segue “Bonanema ‘e ll’ammore” – siamo di nuovo nella metà degli anni ’50 – , dove si canta l’amore che non c’è più e in cui le corde si aprono ad echi sonori d’oltreoceano. Si prosegue con “Tarantella Segreta” e con l’ironica vividezza stradaiola vivianea di “O’ guappo nnamurato”, il bis che chiude una serata vincente e molto applaudita per il trio che sta imponendo con attenta leggerezza e sapienza acustica lo spirito, il portamento classico napoletano, mettendo gli uni accanto agli altri classici e canzoni nate all’ombra del Vesuvio, a torto, meno diffuse. 


Ciro De Rosa

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