Multumult – Now and Then (new sounds from an old world) (The Lollipoppe Shoppe, 2021)

Il quartetto Multumult ha basato la sua produzione musicale sull’improvvisazione e la destrutturazione, lasciando confluire in ogni brano vocazione elettronica e passione per la tradizione orale. “Now and Then (new sounds from an old world)” è il terzo album e si fonda sulla consapevolezza – sempre più marcata – che non ci sono limiti in musica: specie se si conoscono le affinità tra i diversi generi e gli infiniti orizzonti che abbracciano le musiche popolari e quelle elettroniche. Il quartetto è di base a Bucarest e questo connota il carattere continentale e, allo stesso tempo, orientaleggiante della loro scrittura. Uno sguardo alle loro “apparizioni” live ci suggerisce una predilezione per il Mediterraneo e l’oriente europeo (si sono esibiti in Grecia, Bulgaria, Turchia, Macedonia e Romania): una area vasta, multiforme, eterogenea che permea scrittura ed esecuzioni, scelta dei brani (alcuni sono tradizionali romeni), strumentazione. Ma soprattutto approccio. Sembra infatti che “Now and Then” sia un percorso, uno spostamento da un luogo all’altro, da un incontro all’altro, più che una scaletta di canzoni. Sembra che ciò che primariamente interessi il quartetto sia la creazione estemporanea, la prospettiva di un vuoto da riempire qui ed ora. Insomma, la dimensione performativa, l’interpretazione libera orientata dall’interazione dei musicisti: l’esecuzione ispirata sì a un’idea di base, a un modello, a una frase, a un brano o tema tradizionale, ma quanto più possibile spontanea, rischiosa, on the edge. L’album, che si compone di nove brani, rimanda chiaramente a questa idea, fondamentale e condivisa dai membri del gruppo. Lo dimostrano le strutture ondivaghe che ammiccano alla performance in studio, l’alternanza dei timbri che in ogni pezzo suggerisce la scelta della compresenza di elettronica live e strumenti acustici (sia “colti” che “popolari”, come whistle, violino e clarinetto), la voce profonda e inafferrabile, che spesso sconfina in melodie lunghe e vocalizzi colmi di effetti di distorsione e delay (“Când Era În Vreme Mea…”). Lo confermano le durate dei brani (tre sono appena sotto i cinque minuti, mentre gli altri vanno dai sette ai tredici) e la loro forma “graduale” e non stratificata. Vale a dire che, nella maggior parte dei casi, i brani prendono forma durante la loro esecuzione, che prevede la partenza da una matrice (come accennato), lo sviluppo graduale sia sul piano melodico che ritmico, le graduali sovrapposizioni tra strumenti e voce, il raggiungimento di una densità armonica che definiremmo come l’apice della performance, la graduale sottrazione dei suoni che confluisce nella coda. Insomma, se dovessimo descrivere con uno schema l’album, sarebbe probabilmente questo rimando alla gradazione a costituirne l’elemento principale: quello più descrittivo e comprensibile. Ci sono, però, brani che sembrano ancora più inafferrabili e che, per ragioni spesso diverse, parrebbero uscire anche da un modello così permeabile. E questo è il bello, perché si traduce in un livello di varietà che non annoia, anzi stupisce anche l’ascoltatore che prova a interpretare processo e forme, oltre che esiti. In questo caso mi riferisco a due brani in particolare, che risultano essere tra i più affascinanti: “Maneaua Din Clejani” e “Cântec În Stil Levantin”. Sono contigui e si trovano grossomodo al centro della scaletta: la loro seducente affinità risiede nell’eco di un’atmosfera zingaresca, appoggiata sui fiati legnosi e sul violino, ma puntellata, stropicciata da suoni elettronici apparentemente disturbanti ma che – a ben sentire – riescono a sembrare naturali, tanto sono coerenti e affini sul piano timbrico. Questa considerazione ci porta a concludere con un’analisi più estetica: il quartetto medita sulla mediazione dentro la dimensione del suono. E si chiede come connotare il proprio linguaggio senza appiattire le specificità degli elementi che vuole incorporare. Ce lo dimostra con “Doina Cuculi”, senza dubbio il brano più completo dell’album.  


Daniele Cestellini

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