Premio Andrea Parodi, XIV edizione, 12-13 novembre 2021, Selargius (CA)

Se, infatti, l’enfasi su lingue e dialetti è ancora fondante, considerato che gli artisti sono presentati con l’idioma in cui cantano il brano in concorso e per la loro appartenenza
locale/regionale, d’altra parte il contest è diventato uno scenario dove sempre più spesso si raccontano attraversamenti sonori e migrazioni, dove ci si interroga sul senso stesso del suonare world music e si prede atto di creazioni che sono veicolo di nuove identità culturali. Prendete i due gruppi ospiti delle due serate: Fanfara Station e Still Life, rispettivamente vincitori assoluti delle due passate edizioni del 2019ne 2020. I primi sono testimonianza delle estetiche migratorie contemporanee, di flussi ciclici di suoni e culture musicali e, pure, di spaesamento, i secondi, pur nella loro eccessiva oscillazione negli intenti sonori (un’accorta produzione artistica gioverebbe), rappresentano la proposta di giovani generazioni che, saltando gli steccati, elaborano a partire da studi, suggestioni e incontri che caratterizzano Il turbinio delle metropoli mediterranee. In una certa misura il Parodi ha levigato gli eccessi di localismo e va sempre più configurandosi come un piccolo osservatorio sulle musiche del mondo, nel senso più ampio (ma mettendo sempre al centro la forma canzone), a cui concorrono artisti già di chiara fama o giovani musicisti, dove studiosi e operatori culturali si scambiano esperienze, partecipando a eventi che fanno da cassa di risonanza per la fertile cultura musicale isolana. Seguite da un pubblico (speriamo che nelle prossime edizioni la location possa essere di nuovo il Conservatorio cagliaritano) che segue con attenzione le proposte di elevato tenore musicale nelle
serate del Festival, da due anni ridotte a due, di cui la prima è riservata al repertorio del concorrente che presenta il suo brano in gara e una seconda composizione, mentre la seconda serata vede la proposta di una cover di una canzone di Andrea Parodi, eseguita prima del tema in concorso. E se è pur vero che la fisionomia del contest resta centrale, il Parodi (budget permettendo, perché un evento di portata internazionale deve fare i conti come le volubili politiche culturali regionali) appare sempre più un Festival oltre che una gara. Difatti, il Premio propone iniziative collaterali che mettono a confronto artisti, ricercatori, addetti ai lavori e operatori culturali. Quest’anno oltre al consueto incontro degli artisti con le tematiche legali proposte dal Nuovo IMAIE siamo entrati nel laboratorio di suoni creato da Mauro Palmas e Francesco Medda, i quali hanno presentato “Meigama”, incontro tra timbri acustici ed elettronica, sollecitati dalle domande del direttore editoriale di questa testata, Salvatore Esposito. Marco Lutzu ha raccontato come si fa una ricerca pluridisciplinare, indagando la storia, il “viaggio”, la diffusione e gli slittamenti di significato di un canto, “Deus ti salvet Maria”, entrato nell’apparato identitario sardo. Alessio Arena, già Premio della Critica 2020, ha presentato il suo romanzo “Ninna nanna delle mosche”, storia di amore tra l’Italia e il Cile ai primi del Novecento, che l’artista napoletano ha accompagnato con note che fanno incontrare sulle corde
della chitarra il napoletano, lo spagnolo e i ritmi del paese andino. All’interno della serata finale, altro evento significativo l’intervento della violinista cagliaritana Anna Tifu, strumentista classica, tra le più apprezzate a livello internazionale, un’artista italo-rumena (un'altra identità plurale) che ha ricevuto il Premio Albo d’oro, assegnato a personalità contribuiscono a promuovere la Sardegna nel mondo. Ad accompagnarla, il pianista Romeo Scaccia. Nella loro breve performance i due hanno anche eseguito una originale versione “No potho reposare”, altro canto identitario sardo, omaggio ad Andrea Parodi. Pur se mossi da formazione musicale ed idee musicali molto differenti, gli otto finalisti di questa quattordicesima edizione rappresentano proprio quest’idea di viaggio, di incroci e di confluenze. Innestano matrice pop e richiami mediorientali sui modi della tradizione campana i Terrasonora, alla seconda presenza al Parodi. La loro “Lassame sta”, preludio a un nuovo album in studio, ha raccolto il consenso della giuria internazionale. La band acerrana, che ha eseguito anche una bella versione di “De Bentu”, tratta dal repertorio di Parodi, ha condiviso la menzione dei giurati esteri ex-aequo con il trio siciliano Siké (due voci e chitarra), autori di “Angelina”, le cui raffinatezze vocali di impronta indie folk, pop & jazz hanno colpito non pochi addetti ai lavori. Seconda apparizione al Parodi anche per il chitarrista e cantante britannico Elliott Morris, artista
accreditato nel circuito folk, che sprizza simpatia, ha una voce che può ricordare Seth Lakeman, ma, soprattutto, è un talento nell’uso della chitarra, sulla quale impiega accordature aperte, string tapping ed effetti percussivi. Però la sua “Trouble” non è proprio il pezzo che ti aspetti in un contest world music. Morris, in ogni modo, coglie nel segno con la sua versione inglese di “Frore in su nie” di Parodi. Di certo, ci piacerebbe ascoltarlo coadiuvato dalla band che ha suonato nel suo “The Way Is Clear” (2019). A proposito della migliore interpretazione dell’artista di Porto Torres, il riconoscimento l’ha meritato Francesco Forni, interprete di “Inghirios”, mentre la sua canzone in concorso, “Pure si fosse”, si fa apprezzare per il piglio energico che mutua dal sound Americana, benché sia da porre sulla scia di esperienze conterranee come quelle de La Maschera e Foja. Procedendo nella sfilata dei finalisti, colpisce l’esplorazione timbrica (canto, tamburo a cornice, berimbau, chitarre, flauti) dei tarantini Yarákä, che con le invocazioni di “Maletìmbe”, convivenza di dialetto, ritmi locali e ritualità afrobrasiliana, mostrano che il progetto può svilupparsi in maniera originale. Diversamente, sorprende che la band ascrivibile alla world music per eccellenza, gli apolidi Ayom, freschi di esibizione al WOMEX di Porto, non sia riuscita a smuovere passionalmente le giurie con la loro irresistibile “Ayom Manifesto”, in cui la vocalist Jabu Morales canta della sua libertà di donna che 
chiede di essere accettata per quello che è. Una canzone che racchiude perfettamente il senso di questo progetto fusion, nato dal fortunato incontro tra la stessa Morales – cantante e percussionista fedele al Candomblé e ai ritmi afrobrasiliani – e il fisarmonicista italiano Alberto Becucci. Il sestetto professa un rimescolamento danzante di linguaggi diasporici lusofoni, producendo il paradigma di storiche stratificazioni multiculturali. Senz’altro Gli Ayom si rifaranno a dicembre quando suoneranno come migliore band dell’anno alla Cerimonia degli Award di “Songlines”, il più importante periodico del settore. La sovrapposizione di mondi è stata offerta anche da Sorah Rionda, compositrice, polistrumentista e voce da soprano, Premio della Critica (e pure Premio Bianca d’Aponte International), cubana con ascendenze marocchine e di residenza veneta, dal composito background musicale, accompagnandosi alla chitarra, ha dato prova di bello stile e di un suono ricercato con “Peces de silencio”, motivo nel quale traspaiono le tante sfaccettature del sua cifra sonora, dai colori della trova al folk, dal classicismo al jazz. La cantante si è esibita anche in una bella versione di “Rozaju” dal celebrato “Rosa Rezolsa”, scritto da Parodi ed Elena Ledda. Venendo all’apice della serata di sabato, Matteo Leone (con un organico che allinea chitarra, bouzouki, contrabbasso e batteria) chitarrista e cantante da Calasetta, isola di Sant’Antico, anche lui
animato da un immaginario (e non solo) migrante, come il retaggio culturale della sua terra, ha vinto il titolo assoluto con “In mézu ô mo” (In mezzo al mare) e le menzioni per migliore testo, arrangiamento e musica. Il suo tema usa la forza espressiva del dialetto tabarkino (quel magnifico idioma dal suono morbido che su un massiccio strato linguistico genovese antico innesta sfumature franco-piemontesi e impronte lessicali tunisine), facendo confluire blues, ammantando l’arrangiamento di reminiscenze deandreane del periodo “Creuza de Mä” e umori subsahariani, dando forza ancora una volta alla consapevolezza di linguaggi e di identità in continua trasformazione e non arroccata in nefasti isolamenti. Il Parodi è allargamento del pensiero musicale, valorizzazione della world music declinata in svariati modi, s’intende, pur avendo come chiave di volta la canzone: perché e dopotutto continuava ad essere dominante nel linguaggio musicale di derivazione pop di Andrea. Il prestigio del Premio sta proprio in questo suo profilo culturale che ci invita – e qui riprendo il pensiero di Iain Chambers – a metterci all’ascolto di “storie di chi parte e di chi resta”. Il Parodi potrebbe diventare definitivamente un luogo istigatore, un crocevia dove convergono e si misurano artisti in transito, i cui suoni sono emblema di resistenza (anche al mainstream) e di molteplicità, capaci anche di interrogarci e di scardinare astoriche unicità, proprio come è per l’identità musicale espressa dalla cultura di mare di Matteo Leone, il musicista che la giuria ha premiato in questa XIV edizione. 


Ciro De Rosa
Foto e video di Salvatore Esposito

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