“Vai e cerca nei cortili dei poveri, canta per loro la tua canzone, canta della miseria, il ritornello triste del bisogno, le stanze sporche e scure che sono regno di morte, canta i bambini spolpati e storpi, nutriti da seni inariditi, bambini appassiti prima ancora di fiorire, tu canta i tuoi versi, li hai scritti per loro e il canto diventerà un coro”
Der Singer Fun Nojt
Mordechaj Gebirtig, nato Mordecai Bertig a Cracovia il 4 aprile 1877 dove è stato assassinato il 4 giugno 1942, se fosse stato americano avrebbe ora un posto a fianco di Woody Guthrie e Leadbelly, ma visse in uno dei più cupi periodi storici che conobbe la sua Polonia. Molti in Europa, Stati Uniti o Israele hanno interpretato e continuano a farlo, le sue canzoni in yiddish che, fortunatamente per noi, sono sopravvissute, incollate alla storia della vita di quest’uomo fatta di semplicità e amore. Una serie di dischi-tributo, appassionati e colmi di rispetto, sono stati realizzati da Manfred Lemm, ma non vanno dimenticati quelli di Daniel Kempin, della norvegese Bente Kahan oppure giunti d’oltreoceano per opera di Sidor Belarsky, Heather Klein, Benjy Fox-Rosen. Perfino un musicista free come Anthony Coleman ha registrato il proprio omaggio notturno a Mordechaj, per pianoforte solo, alla Kupa Synagogue di Cracovia (Shmutsige Magnaten, 2006, Radical Jewish Culture, per la Tzadik di John Zorn). Forse si tratta dell’unico CD strumentale, interamente consacrato ad un compositore musicalmente analfabeta. Lo yiddish rappresenta già di per sé una lingua che incorpora le numerose migrazioni, un miscuglio ingarbugliato di tedesco, ebraico, francese, inglese, slavo, olandese, rumeno, latino. Il tutto legato misteriosamente insieme. Mordechai fu un'autentica e commovente “forza del bene”, un uomo assai attento alle vivide figure delle genti che condividevano con lui povertà, disperazione, miseria e speranze. Fu un trovatore, un bardo, un autore di canzoni quando questo non valeva quasi niente, quanti cantautori dei tempi moderni vorrebbero avere un po’ del suo talento. Eppure, dalle parole di tutte le sue canzoni non traspare odio o vendetta, piuttosto rimpianto, nostalgia, solidarietà, amicizia, amore per la natura, la famiglia, i bambini. Sempre in difesa della donna, la figura sociale più oppressa dalla sua società. Sensibile alle questioni sociali del proprio tempo, socialista e membro del Partito Socialdemocratico di Galizia, molte delle sue canzoni venivano regolarmente pubblicate sul Der sotsyal demokrat, l'organo ufficiale di stampa in lingua yiddish. Ha vissuto durante la Prima Guerra Mondiale, la fine dell’allora Impero austro-ungarico e della sua mescolanza di più culture, soffocato e dissanguato dai nazionalismi che avrebbero attraversato poi l’intero secolo a venire. Fu quella l’ultima occasione di respirare una miscela di voci, lingue, canti, quel che si respirerà invece nei decenni successivi, a causa della follia nazista, è perfettamente descritto nei versi delle poesie e delle canzoni di Gebirtig.
Hitler era arrivato al potere tre anni prima della pubblicazione del volume che raccoglieva le canzoni di Mordechaj e altri tre anni dopo le truppe tedesche avrebbero invaso la Polonia, annientando i brandelli del mondo che lui cantava con candore. Viveva da pover’uomo nella convinzione di essere semplicemente uno tra i tanti, poi venne un giorno in cui gli dissero che così non era, lui non era come gli altri, la sua religione lo rendeva inaccettabile, uno di quelli da internare ed eliminare. Fu abbattuto per strada da una pallottola, all’inizio di giugno del 1942, durante il “Giovedì di sangue”, mentre era incolonnato con gli altri dal ghetto verso la stazione, dove li attendeva un treno diretto al campo di sterminio di Belzec, mentre tutt’attorno le SS ammassavano ebrei sui furgoni. Le urla feroci dei soldati erano accompagnate da colpi di pistola in aria ma tutti quelli che erano troppo malati o deboli per stare in piedi, come Mordechaj, venivano soppressi sul posto. Non gli venne sparato a causa della sua poesia ma semplicemente perché troppo lento per stare al passo degli altri deportati, l’ideologia nazista lo aveva già annientato, privandolo di una qualunque identità. Per la burocrazia dello sterminio, non era più neanche un falegname, un socialista, un autore di canzoni, un individuo qualsiasi ma semplicemente una piccola "parte di quella moltitudine" da sterminare. All’epoca veniva redatto dalle autorità naziste un agghiacciante e sadico attestato che dichiarava l’“utilità” di ogni singola persona. Questo veniva consegnato periodicamente e rappresentava il prolungamento del periodo di vita del soggetto che lo riceveva. E quando nel ghetto di Kazimierz il mobiliere Mordechaj Gebirtig vide che non gli veniva più recapitato, intuì immediatamente cosa sarebbe successo a breve. Capì che la profezia dei “venti malvagi” contenuti nella sua canzone Es Brent stava per avverarsi. Il Grande Fuoco si sarebbe abbattuto sull’intero mondo ebraico e solo il sangue l’avrebbe spento. Il grande affresco sonoro dello chansonnier Gebirtig è la poesia del riso e delle lacrime, della povertà fino alla miseria, della pena e del dolore, della penuria e dell’assenza.
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