Manutsa – Parru Cu Tia (Musica Lavica Records, 2021)

“Parru cu tia (La voce delle donne)” è il disco di debutto di Manutsa, al secolo Manuela Di Salvo e, già nel titolo, mutuato da una poesia di Ignazio Buttitta, racchiude una potente rivendicazione di resistenza artistica che si sostanzia nella appassionata narrazione dalla prospettiva della donna e in un gusto apolide negli arrangiamenti e nelle soluzioni strumentali. È emblematica, in questo, l’apertura del lavoro, affidata a “A’ Giostra (“Ed ogni jornu provanu a purtarlu a festa/li vitti spiranziarisi supra ‘na chiazza/cantannu e travagghiannu pi’ sta cittadinanza”): ad una sezione ritmica dai sapori spiccatamente mediterranei si contrappongono insolenti spruzzate di elettronica che inacidiscono l’atmosfera. Notevoli, inoltre, i pizzicati contrappunti spastici tessuti dagli archi. “Vuci” (“E sentu l’ecu/di mia ca jeccu vuci pi’ tia/e senti l’ecu/risona e ca sciuriri mi fa”) vede un utilizzo decisamente più massiccio di synth ed elettronica, qui utilizzati per costruire un denso tappeto che, complice una linea di basso tuonante, sposta il brano verso un clima quasi tempestoso. A scandire “Aria di ‘na jurnata” (“Haju circatu tra li robbi liggeri/‘stu suli di nova stagiuni”) troviamo i colori suadenti di un languido reggae, con una linea di basso vorticosa a spargere groove e gli interventi della tromba a squarciare la dinamica. Ma la vera chicca della canzone è l’intervento di un theremin, che trasporta la canzone verso nuove ed interessanti galassie sonore. La voce recitante del grande Salvo Piparo ci introduce a “Parru”, uno dei momenti più liricamente intensi dell’intero lavoro. Sopra una tesissima base melodica di elettronica si muovono, soffusi, un toccante mandolino ed una drammatica sezione archi. Il finale, scandito solamente dagli arpeggi di una chitarra classica e dai fraseggi del mandolino, mette ben in mostra la bravura interpretativa della Di Salvo. Giro di boa dell’album è il ritmo incandescente di “La to passioni”, sottolineato da un infuocato bouzouki, splendidamente incastrato con una ossessiva linea di basso e con gli ostinati del marranzano. L’accelerato che sostiene il finale è riuscita trasposizione musicale dell’animo brioso e ironico del pezzo. Su “Canciari” (“Cu st’ali facemu aceddi pi’ vulari/ li mali di sirpenti haj’a taliari/ pi la vuci, pi la cruci/ pi li servi e li patruni”), primo singolo estratto, si torna a toni più rarefatti, con una collosa elettronica che intorpidisce le trame, mossa solamente da un raffinato mandolino ed allargata da uno straziante solo di tromba. Splendido l’omaggio a Giuni Russo, con una interessante riproposizione di “Illusione”, brano che chiudeva la tracklist di “Giuni”, dell’86. L’operazione compiuta in fase di arrangiamento è quasi agli antipodi rispetto a quanto fatto finora: il vestito cucito sulla canzone è, infatti, totalmente spoglio dell’elettronica che segnava l’originale, sostituita da un elegante pattern di batteria, dai raffinati ricami di un pianoforte e dai blueseggianti fraseggi di una chitarra elettrica. Da sottolineare, anche in questo caso, la bravura interpretativa di Manuela, perfettamente a suo agio anche su toni ironicamente briosi. “Na matri” (“Sparìa lu partiri e turnari e arristati a casa tua/e via, è lu sensu di na matri ca viaggia cu’ tia/e via, nenti arti, nenti parti, ma la vita sua”) è un piccolo gioiello di disidratazione musicale: un delicato arpeggio di chitarra, che si trasforma in un valzereggiante pizzicato, le altezze scalate da un theremin e la voce dolentemente graffiata di Manutsa. Spesso, per fare le cose bene, basta pochissimo. Le deliranti trame di una pizzica scatenata attraversano febbrilmente “La Pizzica di Palermo”. La sezione ritmica, complice una linea di basso marcatissima, è rovente, e costantemente dilaniata dai fraseggi di mandolini e fisarmonica, mentre l’incastro vocale fra la voce di Manutsa e quella di Eugenio Panòrm è il definitivo salto verso il baratro indiavolato della pizzica. A chiudere il lavoro è la title track, vero e proprio manifesto ideologico dell’intero album. La poesia omonima del Maestro Buttitta, è qui mirabilmente recitata da Salvo Piparo. L’intensità del recitato è sottolineata da un nebbioso muro di elettronica, addolcito solamente dai lamenti di un malinconico mandolino e dai soffusi cori di sottofondo. Riallacciandomi all’introduzione, confermo il forte potere civilmente resistente di un album politico, nell’accezione più poetica del termine. Un album genuino, denso degli odori della Sicilia, delle sue mille anime, dei suoi mille incontri. 


Giuseppe Provenzano

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