Miro – A te sarò per sempre (Nauna Cantieri Musicali, 2020)

Chitarrista e cantautore salentino dotato di grande sensibilità artistica e dalla originale cifra stilistica, Miro al secolo Palmiro Durante, vanta un lungo ed articolato percorso artistico, speso tra gli studi di chitarra classica e le successive esperienze in ambito rock e prog-rock, fino a giungere all’approdo alla musica tradizionale salentina. Dopo aver suonato nell’Orchestra Popolare de “La Notte della Taranta” al fianco dei maestri concertatori Ambrogio Sparagna e Mauro Pagani, ha partecipato alla tournée dello spettacolo teatrale “Molto rumore per nulla” con Gigi Proietti e ha collaborato con l’Antonio Amato Ensemble come chitarrista e co-arrangiatore dei brani. Parallelamente, si è dedicato alla composizione di brani originali e pian piano ha preso forma la sua opera prima “A te sarò per sempre”, album nato dalla collaborazione con alcuni tra i migliori strumentisti della scena musicale salentina ed italiana come Mario Arcari, Valerio Daniele, Emanuele Licci e Dario Muci che con Enza Pagliara ha dato alle stampe il disco per le edizioni Nauna Cantieri Musicali. Composto da undici brani originali, scritti in dialetto salentino, ci offre uno sguardo nell’interiorità dell’autore che si racconta a cuore aperto e, tra frammenti di vita quotidiana e riflessioni intimiste, ci svela la sua visione universale dell’amore. Abbiamo intervistato Miro per ripercorrere con lui la sua formazione, le esperienze musicali e soffermarci sulla genesi del suo primo album. 

Partiamo dai tuoi primi passi di avvicinamento alla musica. Com’è nata la passione per la chitarra?
Mio padre che è venuto a mancare qualche anno fa, aveva a casa una chitarra Eko e ogni tanto mi mettevo a strimpellarla. Successivamente, ho cominciato a studiare la chitarra classica, poi sono passato all’acustica, per tornare nuovamente alla classica solo negli ultimi anni. Mi sono reso conto tardi che avrei potuto fare il musicista, ricordo che avevo ventisette o ventotto anni. Ho cominciato a suonare in un gruppo prog-rock perché, all’epoca, ascoltavo tanta musica di quel tipo e, poi, c’è stato l’incontro con la musica tradizionale salentina con l’esperienza nell’Orchestra Popolare de “La Notte della Taranta” con Ambrogio Sparagna e Mauro Pagani, e quella con l’Antonio Amato Ensemble. L’aver suonato musica di riproposta è stato anche un modo per andare avanti perché nel cassetto avevo il sogno di scrivere canzoni con parole e musica che fossero mie. Ho sempre amato molto la canzone d’autore, ma volevo cercare una mia via espressiva. Così, ho cominciato a scrivere, usando il dialetto salentino quello parlato ogni giorno, perché volevo che le mie canzoni risultassero comprensibili, senza ricercare forme espressive arcaiche. Un giorno, poi, mentre studiavo con Valerio Daniele, gli ho fatto ascoltare alcuni brani che avevo scritto e, in quel momento, è nata anche l’idea di fare un disco. 

Dal punto di vista compositivo quali sono i tuoi riferimenti?
Mi nutro di canzone d’autore italiana, ascolto in particolare Fabrizio De André, Luigi Tenco, Ivano Fossati, Pino Daniele e Paolo Conte. Da loro ho imparato a scrivere seguendo il flusso delle parole, riesco ora a staccarle anche dalla musica per far emergere a pieno il loro significato profondo. Inoltre, grazie a questi ascolti ho imparato che ognuno di loro ha trovato un proprio modo di cantare che non per forza è il bel canto da usignolo. Ho trovato, così, il mio modo di esprimermi e questo è stato importantissimo anche per prendere coraggio e cantare le mie canzoni. 

Veniamo alla tua opera prima “A te sarò per sempre” che ha avuto una lunga gestazione, ricordo di aver ascoltato alcuni demo qualche anno fa ormai…
Erano ormai parecchi anni che ci lavoravo. Ricordo quando scrissi la prima canzone e pensai che sarebbe stata l’ultima, poi invece ne sono arrivate delle altre. Ho trovato anche dei testi scritti da mio padre che sembravano dei tentativi di canzone e questo mi ha dato una ulteriore spinta. Volevo, però, lavorare su carta bianca, perché quello è stato sempre il mio sogno. Piano piano ci sono riuscito in qualche modo. 

Sei riuscito a finalizzare la registrazione del disco, grazie al supporto di Dario Muci e Enza Pagliara che ne hanno sostenuto il progetto con Nauna Cantieri Musicali…
Come detto il progetto di questo disco nasce diversi anni fa, ma per mancanza di fondi non ero riuscito a portarlo a termine e mi sono arenato. 
Un paio di anni fa, Dario e Enza mi hanno raggiunto al mare e mi hanno convinto a mettermi al lavoro per registrare il disco. Mi hanno proposto di pubblicarlo per la loro etichetta e di finanziarlo attraverso una campagna di crowdfunding. Il loro contributo è stato veramente fondamentale, hanno fatto il massimo per me, anche sacrificando il loro lavoro.

La campagna di crowdfunding è andata molto bene e ha visto anche l’arrivo del contributo dell’Unione Buddhista Italiana…
Il momento decisivo è stato durante il lockdown, avevamo avviato la campagna di raccolta fondi, e avevo messo online un brano del disco. Tramite Dario Muci e Enza Pagliara sono entrato in contatto con Elena Seishin Viviani, dirigente dell’Unione Buddhista Italiana, che dopo aver ascoltato il brano, mi ha proposto di presentare il progetto per ottenere il finanziamento. Così ho fatto e non posso che ringraziarla per avermi consentito di farmi conoscere ad un pubblico diverso e poi di ottenere questo contributo. L’U.B.I., durante il periodo della pandemia, ha fatto una grande donazione alla Sanità Pubblica, ma ha voluto aiutare anche centoventi artisti, non solo di ambito musicale, che hanno ricevuto una sovvenzione per le loro attività. Disponendo di una somma sufficiente sono riuscito a coinvolgere numerosi musicisti salentini ed anche il mio amico Mario Arcari. 

Venendo alle sessions di registrazione, come si è indirizzato il lavoro dal punto di vista degli arrangiamenti?
Al disco hanno collaborato tanti musicisti e, in particolare, mi piace citare Valerio Daniele, Emanuele Licci, Francesco Pellizzari, Rocco Nigro, Mattero Resta, Marco Bardoscia e, poi, tutti gli altri che hanno partecipato alle voci. Molti di loro vengono dalla musica tradizionale o dal jazz e si sono confrontati con un altro mondo come quello della canzone d’autore. Io sono legato a Pino Daniele come ad Ivano Fossati e anche all’uso di accordi dissonanti. È stato interessante vederli misurarsi con queste canzoni perché nel risultato finale si sente anche l’influsso della tradizione.  C’è stato un lavoro corale, come non accadeva da tempo, tutto si è svolto in armonia ed è stato molto emozionante per me. Mi sembrava di volare durante le registrazioni. È stato bellissimo poter ascoltare quelle canzoni che, solo qualche tempo prima fischiettavo in solitudine con la chitarra al mare o in casa durante l’inverno, arricchirsi man mano del contributo di tutti i musicisti. Quando camminavo non sentivo neppure i miei passi. E’ stata veramente una magia.

Al disco ha preso parte anche Mario Arcari… 
Come sanno tutti, Mario Arcari ha suonato con Fabrizio De André e Ivano Fossati e che ho avuto modo di conoscere durante la mia esperienza nell’Orchestra Popolare de “La Notte della Taranta”, durante il periodo in cui Mauro Pagani era maestro concertatore. 
Lui era un suo stretto collaboratore e in quel periodo abbiamo legato molto. Gli ho fatto ascoltare le mie canzoni ed è rimasto molto colpito dai testi, ha voluto leggere le traduzioni e capire come erano nate. Ha partecipato con grande entusiasmo, impreziosendo con il suo oboe alcuni brani.

Durante l’ascolto del disco colpisce molto il tuo approccio vocale molto evocativo. Come hai lavorato in questo senso sulla voce?
All’inizio volevo che queste canzoni le cantassero altri, perché non mi fidavo della mia voce. Ascoltando i dischi di quelli che sono i cantautori a me più cari, ho cominciato a lavorare anche sulla voce. Non ho preso lezioni di canto, ma volevo “rac-cantare” le mie canzoni e, così, ho cercato di far uscire il cuore da ognuna. Durante i concerti, le prime tre canzoni le canto sempre con voce quasi tremante e questa cosa mi piace perché esce fuori la mia emozione. Cerco di far arrivare al pubblico, le stesse sensazioni che ho provato quando ho scritto quei brani, ma anche quelle che sento nel momento in cui le canto. Tra un brano e l’altro provo sempre a stemperare la tensione con qualche battuta e questo anche per vedere se si è stabilito un contatto con il pubblico. La mia prima intenzione è non dare fastidio, poi spero che chi sta là a guardarmi per un ora o poco più si lasci prendere dalle mie canzoni, come se stesse assistendo ad un film o ad uno spettacolo teatrale. Voglio che per quell’ora il pubblico stia con me sul palco. E’ successo spesso ed è stato sempre meraviglioso. 

Sotto il profilo compositivo si nota il tuo approccio istintivo alla scrittura, elemento questo che ti consente di abbattere il limite che è rappresentato dalla maschera che un cantautore può indossare…
Dico che le mie sono “canzoni di successo” nel senso che racconto cose veramente accadute. Penso che questo sia molto più importante del successo, perché quello che conta è far emergere quello che si ha dentro. Sono canzoni venute in modo istintivo e cerco di trasmettere quelle sensazioni che possono provare tutti. Nella canzone d’autore si sta perdendo la voglia di raccontarsi profondamente, di mettersi a nudo, di far venir fuori quello che si ha dentro realmente. La cosa più bella, però, è sentire che mentre sto sul palco c’è qualcuno che le canticchia: per me è come aver venduto un milione di copie del disco.

Il primo brano che hai scritto è la title-track, “A te sarò per sempre”. E’ molto bella la storia che racchiude…
Oltre ai testi scritti da mio padre, ho trovato una lettera che mio nonno aveva scritto a mia nonna mentre faceva il militare, durante la guerra e nella quale diceva di trovarsi bene e c’era anche una foto che lo ritraeva mentre mangiava. Io, invece, ho cercato di immaginare quello che non le aveva detto per non farla preoccupare: le paure, il dramma della guerra e le sofferenze. 
Mi aveva colpito molto, infatti, come questa lettera si concludeva. Mio nonno era una persona molto severa, ma alla fine aveva lasciato una dedica molto bella: “A te sarò per sempre”. Il tono delle sue parole molto leggero e quella frase finale, lasciavano trasparire anche la paura di non tornare mai più a casa. 

Il filo conduttore del disco è l’amore in tutte le sue declinazioni…
Le mie canzoni parlano di quello che vivo e che sento e l’amore di cui canto non è solo quello relativo al rapporto di coppia, ma è inteso in una accessione più ampia, universale. Significativo in questo senso è “Ci nu capisce l’amore” in cui nel ritornello canto “ci nu capisce l’amore/nu capisce nienti”, in quel caso faccio riferimento anche a quelli che bruciano i boschi, inquinano il mare e l’ambiente. In quei versi non c’è solo della fine di un rapporto d’amore, su una donna che mi ha lasciato ed ha un altro, ma vanno letti in un senso più generale. L’amore non lo capisce solamente chi ti lascia o chi ti tradisce, ma sono in tanti a non capirlo. 

Le canzoni di “A te sarò per sempre” sono intrise anche di Salento, delle sue bellezze e del suo fascino…
Non credo che sarei riuscito a scrivere queste canzoni se fossi vissuto in un altro posto. Il brano che chiude il disco “Lu tiempu buenu” fa riferimento ai miei ricordi d’infanzia quando andavo a rubare frutti sugli alberi in campagna o quando raggiungevo il mare in bicicletta. 
Penso a tutte quelle cose che sono legate a questo territorio, ma ovviamente quando il mare descritto nelle mie canzoni potrebbe essere quello che bagna qualsiasi altro posto. 

Tra i brani più intensi del disco c’è “Il Tango di Adelina” che è stata arrangiata da Marco Bardoscia…
Ho scritto questa canzone una sera, dopo essere rientrato a casa. Mentre mi accingevo ad entrare, ho sentito due donne che parlavano tra loro. In Salento, durante l’estate c’è l’usanza per le persone anziane di mettersi sedute fuori dalla porta di casa per prendere un po’ di aria fresca durante la sera. Una delle due signore diceva all’altra che le era morto da poco il marito, aggiungendo una frase che mi ha colpito molto e che ho ripreso nel brano: “E jou stau ncora cquai/a cquai ca passa l’aria/ma aria nu nde passa”. Meraviglioso è stato il lavoro di Marco Bardoscia che ha arrangiato gli archi e quello di Redi Hasa al violoncello. 

C’è un brano del disco a cui sei legato maggiormente?
Devo dire la verità ogni tanto ne scopro qualcuno. Vado a periodi, un po’ come accadeva con i 45 giri delle hit che cambiavano nei juke box. Per lungo tempo la mia preferita è stata “La notte s’ha ccorta” che parla del momento in cui si sbaglia, è un elogio all’errore. Noi siamo male prima di commetterlo e anche dopo con il pentimento, ma mentre sbagliamo è una goduria totale. “La notte s’ha ccorta/n’ha bisti sbajare/l’ha ditta lu scuru/nu se po fare (…) ha binutu lu tiàulu/s’ha misu a critare/me manda lu jernu/nun se po fare/nui nienti nienti/poggiati alla sira”
La notte si è accorta ci ha visti sbagliare, è venuto il diavolo e noi niente appoggiati alla sera”. Così, ho voluto fotografare quel momento. Altre canzoni non riesco a cantarle per un certo periodo perché non voglio ripensare a quel momento in cui le ho scritte e a cui sono legate. Poi magari quando riesco a tornarci le riprendo e diventano le mie preferite.

La presentazione del disco è stata rimandata prima a causa della pandemia e poi questa estate per un temporale improvviso. Siete riusciti a recuperarla a settembre in teatro…
Avevamo programmato la presentazione ad agosto ma un temporale durato dieci minuti ci ha costretto ad annullare il concerto. È stata un po’ una beffa e ci sono rimasto male nel non aver potuto suonare. Abbiamo, poi recuperato la data a settembre ed è andata molto bene. Sono rimasto molto contento perché era la prima esperienza sul palco con tutto il gruppo al completo e, in alcuni brani, eravamo addirittura in otto. La risposta del pubblico è stata fantastica.

Come porterai in tour il disco?
La mia intenzione è di suonare in cinque, abbiamo trovato un nostro equilibrio perché il batterista è anche polistrumentista e suona il flauto, il bassista suona anche il mandolino, poi ci sono Rocco Nigro alla fisarmonica ed Emanuele Licci al bouzouki che fa anche i cori. Cercheremo di suonare nei teatri e abbiamo già diversi contatti qui in Salento, ma l’intenzione è di far conoscere il disco anche fuori dal nostro circuito. Ho intenzione di fare un concerto per l’Unione Buddhista Italiana, perché voglio conoscere personalmente chi ha sostenuto la realizzazione del disco. Poi per il futuro spero di fare un altro disco perché ho tanti brani nel cassetto, mi sono rimasti un buon numero di brani esclusi da questo disco. 


Miro – A te sarò per sempre (Nauna Cantieri Musicali, 2020)
Quando qualche anno fa, su sollecitazione di un editore e discografico salentino, ascoltammo per la prima volta alcune canzoni di Palmiro Durante in arte Miro, ci impressionò molto l’intenso lirismo dei testi in dialetto salentino e il suo originale approccio alla scrittura nel quale convergevano influenze diversificate, ma le cui radici erano ben piantate nella tradizione cantautorale italiana. Da allora di tempo ne è passato, e per un certo periodo ne perdemmo addirittura un po’ le tracce, salvo leggere di qualche concerto in Salento e, in particolare, a Lu Mbroia da Massimo Donno, dove ormai è di casa. Lo scorso anno, ci sorprese e ci incuriosì molto sapere dell’imminente uscita del suo album di debutto con Nauna Cantieri Musicali, l’etichetta di Dario Muci ed Enza Pagliara ed ancor più ci fece piacere saperlo accompagnato da un ampio cast di strumentisti, scelti tra i migliori della scena musicale salentina. Eccoci, così, tra le mani l’opera prima di Miro, “A te sarò per sempre”, splendida raccolta di undici brani originali, incisi con la direzione musicale di Valerio Daniele (chitarra elettrica baritona, chitarre acustiche, chitarre elettriche) e Emanuele Licci (chitarra acustica, tzouras, chitarra portoghese e voce) e la partecipazione di Mario Arcari (oboe), Francesco Pellizzari (batteria e percussioni), Marco Bardoscia (contrabbasso, basso elettrico), Rocco Nigro (fisarmonica), , Giorgio Distante (tromba), , Francesco Massaro (clarinetto contralto), Luca Barrotta (bandoneon), Marco Tuma (armonica a güiro), gli archi di Jacopo Conoci (violoncello), Roberta Mazzotta (violino), Redi Hasa (violoncello), Armando Cosimo Ciardo (viola), Paola Caloro (violino) e la partecipazione ai cori di Ninfa Giannuzzi, Dario Muci, Enza Pagliara, Antonio Castrignanò, Cristina Verardo, Massimo Donno, Alessia Tondo, Ciccio Zabini, Dario Muci e Lara Tondi. L’ascolto svela un album denso di poesia in cui musica e parole si muovono armonicamente, si intrecciano fino a diventare un tutt’uno in cui si rincorrono frammenti di vita, ricorsi d’infanzia, sguardi verso la natura che ci circonda, disegnando le traiettorie di un viaggio intorno al tema dell’amore in tutte le sue possibili declinazioni. Le canzoni di Miro sono pervase da una vitale voglia di raccontarsi a cuore aperto al suo pubblico, di mettersi a nudo, facendo trasparire le sue riflessioni più profonde. Canzone dopo canzone, la poetica di Miro avvolge e travolge, commuove e tocca l’anima. A volte la sua scrittura sembra velata di malinconia, ma non lascia mai trasparire la tristezza anche quando sembra essere dietro l’angolo. Sotto il profilo compositivo, emerge una scrittura in grado di muoversi abilmente tra inattesi passaggi armonici e sonorità differenti con le melodie solcano le rotte del Mediterraneo e approdano in Sud America per far ritorno al Salento e alla sua tradizione. Ad aprire il disco è la ballata “Fanne chianu” dedicata ad un amore ritrovato a cui si chiede di fare piano nel ritrovarsi perché le ferite non sono ancora rimarginate. La voce di Miro incontra quella di Ninfa Giannuzzi nel ritornello ed esaltata dalla elegante architettura sonora dell’arrangiamento dove spicca l’oboe di Mario Arcari che impreziosisce la linea melodica intessuta dalla chitarra e dalla fisarmonica. Se “Ci nu capisce l’amore” brilla per l’incontro con la tromba di Giorgio Distante che arricchisce l’intensità poetica delle liriche, la successiva “Furtuna Mia” è un elegante valzer caratterizzato dallo splendido arrangiamento curato da Valerio Daniele nel quale gli archi dialogano con la tromba di Distante e l’oboe di Arcari. Il vertice del disco arriva con la superba e struggente “A te sarò per sempre (Lettera dal fronte), ispirata da una lettera che il nonno scrisse alla nonna durante la Guerra e nella quale l’oboe di Mario Arcari giganteggia inserendosi nella linea melodica intessuta dalla chitarra classica di Miro, dalle chitarre di Valerio Daniele e dalla chitarra portoghese di Emanuele Licci. Si prosegue con quel gioiello di pura bellezza che è “Azzate sulu” nei cui versi ritroviamo il caldo dell’estate salentina fare da cornice alla fine di un amore, mentre si leva il desiderio di far cancellare ogni ricordo dal vento e dal mare. Lo tzouras di Emanuele Licci e la fisarmonica di Rocco Nigro guidano la melodia della riflessiva ballad “Cu l’aria” in cui Miro ci regala una delle interpretazioni più sentite di tutto il disco. Altra perla del disco è “Il tango di Adelina” con gli archi arrangiati da Marco Bardoscia e il bandoneon di Luca Barrotta ad avvolgere la voce del cantautore salentino che ci sia abbandona al ricordo di un amore ormai lontano. La sequenza con “Nu me senti cchiui” in cui Miro è protagonista in solo per chitarra e voce e l’intimista “Ogni tantu la sira” ci accompagnano verso il finale con l’ode all’errore e agli sbagli de “La notte s’ha ccorta” e i ricordi d’infanzia di “Lu tiempu buenu” proposta in un crescendo strumentale in cui si aggiunge il coro a cui è affidato il finale del brano. Insomma “A te sarò per sempre” è un disco prezioso, un’opera prima di grande pregio da ascoltare con attenzione per coglierne ogni più piccola ed imperdibile sfumatura.


Salvatore Esposito

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