Luigi Spagnol, libri, arte, musica e libertà individuale

Eredità imprenditoriale familiare e attività artistica
Nato a Milano, nel 1961, figlio dell’editore Mario Spagnol e della scrittrice Elena Vaccari, terminati gli studi a Parigi (“Bachelor of Fine Arts”, alla “Parsons School of Design”), nel 1986, iniziò a lavorare alla “Longanesi”. Nel giro di pochi anni, passò alla guida della Salani, via via assumendo incarichi direttivo-dirigenziali sempre più onerosi, all’interno dei marchi facenti parte dell’articolato “GeMS” (Gruppo editoriale Mauri Spagnol) del quale, a partire dal 2005, divenne Vicepresidente. Sin da giovane, si era dedicato alla pittura e alla musica. Suonava il piano, cantava nel coro, dipingeva in libertà. Rispetto a quest’ultima attività, ricordiamo la mostra “The Last Paintings 2018-2020”, realizzata nel capoluogo lombardo (10-19 giugno 2021), ove è stata esposta una selezione di ventiquattro quadri, dipinti negli ultimi due anni di vita. Curatore della Mostra è stato Demetrio Paparoni, il quale ha avuto modo di seguire il percorso artistico di Luigi Spagnol sin dai primi anni Novanta.  Nel capitolo titolato “Il sapore del rame” è riportata un’estesa conversazione tra i due sodali, che è una riedizione di quanto pubblicato, nel 2000, nell’opera di David Carrier “La pittura di paesaggio di Luigi Spagnol”.  Tra le correnti artistiche predilette da Spagnol, l’Espressionismo e la Nuova oggettività; tra i pittori, Beckmann, Matisse, El Greco, Scully, Munch (e diversi altri).  Fino all’ultimo, si era dedicato alla pittura con rinnovato vigore, come deducibile dalle sue parole: «Sto dipingendo moltissimo. Forse è da quando ero studente che non lo facevo con tanta continuità. Ho preso il nuovo studio, a cinque minuti da casa, uno spazio immenso e molto bello (con le luci artificiali funziona benissimo). Ci vengo tutti i giorni, mi ha proprio cambiato la vita…».  
Nella conversazione riportata nel libro, traspare l’amore di Spagnol per i paesaggi e la natura nonché la ricerca verso una modalità rappresentativa di antica saggezza: «Vorrei dipingere con la stessa necessità e la naturalezza (che non significa facilità o assenza di sforzo, tutt’altro) con cui un contadino recinge e ara il proprio campo o, per dirla con un monaco zen, con cui un ragno tesse la propria tela…».  Rispetto al gusto di dipingere, evidenziava: «La vera ragione che spinge a chiudermi in uno studio ogni volta che posso è che mi piace quello che penso quando dipingo. I miei pensieri prendono strade che non prendono durante altre attività, e non sempre questi pensieri riguardano la pittura (…)». Nella conversazione citata, gli aspetti prettamente tecnici e artistici, in diversi passaggi, si intersecano con gli interessi musicali: «Nonostante consideri la musica uno degli elementi più importanti della mia vita, ne ascolto pochissima. Non mi piace la musica di sottofondo, ma non ho molto tempo per ascoltarla senza far altro. A volte, l’ascolto quando dipingo, ma non spesso. Per anni da ragazzo, ho pensato che la mia professione sarebbe stata musicale (…)». Rispetto alla capacità evocativa della pittura astratta, sono state poste in rilievo alcune differenze tra il linguaggio pittorico e quello musicale, dando risalto ai compositori che, nel ciclo dei paesaggi, Spagnol, aveva maggiormente ascoltato durante la lavorazione. Primo fra tutti, J.S. Bach. A seguire, gli ultimi quartetti di Beethoven e le musiche di Jan Garbareck con l’Hilliard Ensemble. Passato e presente convivono senza soluzione di continuità. Sin da giovane, aveva nutrito una forte passione per la musica classica secondo un approccio definito “quasi sacrale”. Apprezzava in particolare Schumann, Brahms, Berg, Janacek, Barber, Verdi e Wagner; decisamente meno le musiche di “consumo”, come la musica pop, spesso caratterizzata da strutture codificate anche per quanto riguarda la durata dei brani, lo sviluppo armonico, la timbrica e la ritmica ripetitiva. In un altro passaggio della conversazione, l’Autore si è soffermato su Giuseppe Verdi (verosimilmente ai suoi tempi l’uomo più ricco d’Italia) e sul melodramma, quale «forma d’arte popolare, che arrivava anche alle fasce più umili della società… credo che il melodramma tocchi corde dell’anima a cui nessun’altra arte arriva, proprio perché non ha paura di essere estremo, truce, esplicito, persino volgare. L’opera trova un equilibrio miracoloso tra volgarità e raffinatezza, un equilibrio per me impagabile, e Verdi, da questo punto di vista, ne è la massima espressione. Penso che Verdi sia un esempio di come un artista che di fatto era di consumo, una specie di Spielberg dei suoi tempi, non si sia mai accontentato solo di piacere al suo pubblico, pur avendone grande rispetto (…)». Interessanti sono, inoltre, le osservazioni relative allo sforzo richiesto nell’ascolto di musiche impegnative (come ad esempio quelle di Wagner) e la constatazione di come un compositore come Verdi avesse saputo indirizzare la propria opera oltre l’aspetto puramente commerciale, in quanto « se si fosse accontentato del successo che otteneva tra il suo pubblico, sarebbe rimasto un artista minore; ma era il suo senso dell’arte a essere superiore ed è questo che ne ha fatto un artista maggiore (…)»

La musica come ricerca interiore
Leggendo i contributi di Luigi Spagnol è spesso riscontrabile la ricerca del “senso” delle cose: nella quotidianità, nel lavoro, nel piacere e, più in generale, nella vita. Il capitolo finale del libro è interamente dedicato alla musica, ed è un estratto del saggio (incompiuto e inedito) titolato “Nel senso della musica (2018)”. Nell’estratto (che consta di una trentina di pagine), è possibile confermare la predilezione dell’editore milanese per la musica classica, nei suoi diversi aspetti e contenuti espressivi. In particolare, ha voluto mettere a confronto alcuni elementi costitutivi della cosiddetta musica descrittiva, utilizzata con successo da compositori quali Debussy, Beethoven, Musorgskij, Messiaen, Vivaldi. Nello specifico, si è soffermato sulla “Primavera” delle “Quattro stagioni”, analizzando i passaggi salienti nel rapporto testo e musica strumentale, via via evidenziando i suoni e i rumori da descrivere (canto degli augei, zeffiretti, fonti, lampi, tuoni …). Al “segmento G” del testo è dedicato un intero movimento della composizione, sul quale riteniamo utile soffermarci brevemente, in quanto, per dirla con l’Autore «Vivaldi fa ricorso a un altro dei mezzi evocativi più potenti a disposizione di un musicista, cioè quello di “altra musica”, già presente nel mondo. La zampogna, strumento della stessa famiglia della cornamusa, possiede un timbro caratteristico che non può essere imitato dall’orchestra d’archi a disposizione di Vivaldi. Ma ha anche delle peculiarità melodiche e armoniche, altrettanto caratteristiche e che dipendono dalla sua struttura». Dopo aver illustrato sommariamente alcune caratteristiche dello strumento popolare, ha potuto chiarire come Vivaldi, per dare rilievo alla festa pastorale, non abbia cercato imitare «il timbro, ma l’andamento musicale della zampogna: doppie melodie di note contigue per il violino solista, lunghe note tenute per gli strumenti più gravi dell’orchestra. Un’orchestra che imita la zampogna, strumento che per sua natura imita l’orchestra». Spagnol ha scritto anche di ulteriori riferimenti alla musica descrittiva, accennando a strumenti musicali antichi e a composizioni tratte dal repertorio di Claude Debussy, Richard Strauss e Charles Ives.
La seconda parte del contributo è stata dedicata a “La musica assoluta”. Che cosa succede quando nella musica non ci sono parole né titoli? Che cosa, quando non vi è nessun intento descrittivo? Citando un ciclo di conferenze tenute da Leonard Bernstein, nel 1958, risuona la domanda “ What does music mean”? Nel tortuoso percorso tra composizione, esecuzione e ascolto è possibile risalire ai significati originari ai quali il compositore si è ispirato? La risposta, naturalmente non può essere univoca. Riportando esempi tratti da Vivaldi, Beethoven e citazioni di uno scritto di Mendelssohn nonché dello storico Massimo Mila, Spagnol giunge a scrivere che «la parola è un segno per indicare la realtà interiore, la musica è la realtà interiore… il compito della musica non è di trasmettere immagini, e un’ulteriore prova sta proprio nel fatto che tanti compositori hanno sentito il bisogno di aggiungere un testo o un titolo alla loro musica quando volevano trasmettere un’immagine e non un’altra». Le osservazioni su come la musica comunichi si aprono a rilievi di tipo psicologico, per comprendere come i suoni possano agire sul corpo e sull’animo umano, come riescano a muovere le emozioni così profondamente senza dover ricorrere alle parole o agli scritti.  Suggerisce l’Autore (lungi dal prospettare soluzioni definitive) che «la musica funziona per analogie, rimandi, metafore … poiché la musica è fatta di note tanto quanto il linguaggio parlato è fatto di vocali e consonanti, da sole non significano niente, insieme ad altre assumono significato. La grande differenza è che il significato della musica non è certamente univoco … la musica non è mai interpretabile in senso stretto (come avviene nel linguaggio parlato)». L’acme del suo ragionamento porta ad affermare che “la musica è vita”. «La musica parla della nostra vita, di noi. Lo fa in maniera estremamente complessa, per questo è tanto difficile dire di che cosa parla, non perché è poco precisa. Non poter dire di che cosa parla la musica è un difetto della lingua, non della musica… La musica, in quanto arte della memoria, crea anche in questo modo continue associazioni tra i suoni di cui è composta e una realtà esteriore che, a prima vista, non sembra particolarmente generosa di spunti sonori.  Questo secondo me contribuisce a spiegare, come sia possibile che l’arte più astratta che esiste riesca a smuovere sentimenti tanto profondi». Vi sono numerosi rimandi attraverso i quali la musica si serve per «muovere gli affetti, rimandi che sono facili da sentire anche da chi non sa molto di musica».   

Leggere può creare indipendenza
Nei diversi capitoli di “Davanti alla bellezza”, gli argomenti trattati sono numerosi e abbiamo trovato interessanti anche quelli relativi ai numeri dell’editoria e al ruolo che un imprenditore del settore può avere all’interno della società, mantenendo un filo diretto con i lettori.  Di certo, Luigi Spagnol sapeva valorizzare e promuovere «il lavoro individuale e solitario degli scrittori … in grado di sorprendere e di cambiare il mondo», come ebbe modo di dimostrare con alcuni successi che vendettero milioni di copie, basandosi sull’istinto e il gusto personali, ma tenendo conto del contesto globale del mercato.  
Rispetto alla promozione dei libri, abbiamo apprezzato le tenere parole riservate a chi vive il proprio rapporto con la lettura durante l’infanzia: «Se un bambino non ha voglia di leggere le ragioni sono due: o non è arrivato il suo tempo o gli abbiamo dato il libro sbagliato per lui. Non abbiamo trovato il libro che gli piace. Quindi occorre in primo luogo il rispetto per il bambino e per l’intelligenza del bambino».  Altrettanta delicatezza abbiamo riscontrato nelle parole dedicate alle donne, al ruolo di emarginazione che hanno dovuto storicamente subire un po’ in tutti i settori della conoscenza, compreso il mondo dell’editoria e delle arti, gestito arbitrariamente da un “potere” maschile.  Ritornando all’ambito musicale, Spagnol ha voluto dare risalto alla figura di Clara Wieck, pianista virtuosa e compositrice, la quale nulla aveva da invidiare a tanti compositori ed esecutori della sua epoca. Di lei ha espressamente scritto nel capitolo “Maschilismo e letteratura, cosa ci perdiamo noi uomini?” Con tale interrogativo, ci congediamo invitando il lettore all’approfondimento di un editore poliedrico, il quale aveva ben compreso l’importanza dell’arte e della musica ai fini della ricerca interiore, dell’elevazione spirituale e dell’ indipendenza culturale. I numerosi spunti tematici proposti da Luigi Spagnol in “Correre davanti alla bellezza” riteniamo siano da tenere presenti, soprattutto in un mondo che, in prospettiva, sembra destinato ad essere governato e gestito in modo asfittico e codificato, secondo logica sincronica, algoritmica e digitale. Una logica che, da più parti, viene vista con timore, poiché se non verranno messe in atto adeguate contromisure si rischierà, nel giro di pochi decenni, di comprimere progressivamente l’humanitas che per millenni ha reso viva la civiltà in ogni parte della terra. In ultima analisi, il libro di Spagnol può essere letto come un lungo inno, teso a riscoprire i valori e il senso della vita durante il breve percorso terreno, al quale l’arte, la musica e la conoscenza sopravviveranno, all’insegna della libertà espressiva individuale e secondo modalità che verranno scelte per promuovere in modo adeguato la cultura nelle diverse comunità del mondo, tenendo presente anche la domanda insita nel titolo del libro: nella società contemporanea, come intendiamo (e intenderemo) correre davanti alla bellezza?

Paolo Mercurio

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