È sorprendente che media, accademie e fiere delle musiche del mondo non riconoscano Felmay tra le label più importanti del settore, sebbene la storica etichetta monferrina continui con occhio attento a pubblicare materiali di grande qualità. Prendete questo trio di strumentisti e studiosi prestigiosi, Derya Türkan (classe 1973, Istanbul kemençe), Murat Salim Tokaç (classe 1969, tanbur e ney) e Cenk Güray (classe 1973, divan sazı, cura, tanbura e abdal sazı). Si tratta di artisti che suonano alcuni tra gli strumenti della civiltà musicale anatolica, musicisti già all’opera in diverse produzioni discografiche (in trio, in ensemble e solisti), sempre inserite nel catalogo “orientale” della casa discografica piemontese. Il titolo “Danze Anatoliche” e il sottotitolo dell’album, che recita “Turkish Musical traditions. Remembering the past, dreaming of the future...”, sono espliciti: Türkan, Tokaç e Güray propongono un’esplorazione dei repertori coreutici anatolici, sviluppati attraverso rielaborazioni, variazioni, inusitati incastri timbrici e improvvisazioni, integrando queste espressioni folkloriche con il sistema del makam in quelli che i tre artisti, come raccontano nelle dense e istruttive note di presentazione, definiscono “sogni melodici”. Dunque, si è di fronte a un viaggio nel passato, a volte anche molto antico, consegnato al presente con approccio che coniuga virtuosismo ed espressività, presentando un programma di elaborazioni che attingono tanto alle procedure della musica d’arte quanto a quelle folkloriche. Le venti tracce costituiscono una variegata mappatura sonora dell’Anatolia, a iniziare dai tempi medi di un sirto (il ballo di gruppo diffuso in Grecia e nelle città di Istanbul e Smirne prima degli sconvolgimenti dei primi decenni del XX secolo) dell’isola egea di Tenedos (“Tenedio”), cui segue un notevole taksim per liuto a manico lungo dal suono ricco (“Tanbur Taksim on Acem Aşiran Makam”). I preludi improvvisativi al tanbur e alle diverse forme di saz che si susseguono costituiscono atti performativi contrassegnati da forte grado di libertà per Tocaç e Güray, che ne sono i principali protagonisti. Il terzo brano della tracklist è uno zeybek, “Su Izmir’in Daglarında”, nel modo Acemasiran, scritto dal compositore Tahsin Karakus (1892-1959), direttore d’orchestra e cantante di “vecchia scuola”, che lavorò anche per Radio Ankara tra il 1938 e il 1945. Lo zeybek, profondamente legato alla storia della cultura popolare del mondo ottomano ma che forse ci conduce molto più indietro nel tempo, fa la parte del leone nell’album, presentato nelle diverse combinazioni di misure metriche, più lente e più veloci, anche a seconda del genere dei danzatori, raccolte in differenti aree della regione. Tra gli episodi più significativi, ci piace citare “Izmir Bergama Kocaarap Zeybegi”, diffuso nei territori settentrionali egei, suonato in solo da Derya Türkan alla viella ad arco, “Limni Zeybeği”, proveniente dall’isola di Lemnos, eseguito su una struttura ritmica di 2+2+2+3 nel makam Nikriz da un organico allargato (kemençe, ney divan sazi, cura e tanbura), “Oduncular Dagdan Odun Indirir”, canzone in forma di zeybek dell’Anatolia occidentale e “Muğla Milas Yağmur Yağdi Zeybeği”, brano dall’incedere lento, la cui fonte è il virtuoso di kaba zurna Dusrun Girgin. Quest’ultima rielaborazione esemplifica la qualità dell’interazione offerta dal trio, come pure accade con “Manisa Soma Üç Parmak Zeybegi”, motivo danzante tradizionalmente eseguito al clarinetto, che viene dedicato alla memoria dei 301 minatori che persero la vita nel 2014 nell’incidente nella miniera di carbone di Soma, che definire “tragico” serve solo a nascondere le terribili condizioni di lavoro degli operai morti in larga parte per asfissia. Tra le altre danze proposte, troviamo “San ta Marmara Tis Polis” una melodia di Istanbul che accompagnava la danza karşilama, molto diffusa nel Novecento in Anatolia e ancora comune oggi nell’isola di Lesbo. Altra chicca del disco la presenza dell’halay, il ballo eseguito spalla a spalla dai danzatori (“Su Daglar Ulu Daglar” e “Ayın Ortasında Bir Sarı Yıldız”). Il DEM Trio propone un lavoro che non intende lanciare un revival delle danze, piuttosto si configura come ricerca di tre eccellenti strumentisti e compositori che, attingendo alla vastità della civiltà musicale anatolica, spaziano nelle geografie e nelle forme, esponendo con perizia e maestria materiali di sicuro fascino.
Ciro De Rosa
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