Caetano Veloso – Meu Coco (Sony, 2021)

Da quasi dieci anni Caetano Veloso non realizzava un album di composizioni inedite. Ora “Meu coco” mette in fila dodici perle nate dalla sua penna e pensate per un disco che, per la parte produttiva, ha dovuto fare i conti con il Covid-19. L’artista ha ricordato come la pandemia abbia “ritardato il processo, mi ha quasi bloccato nei primi mesi, ma poi mi ha spinto ad utilizzare lo studio di registrazione che Paulinha (Lavigne, la moglie, ndr) ha realizzato nella nostra casa nel 2018, registrando i brani con meno pretese. La pandemia ha cambiato le cose e anche le mie canzoni non potevano essere invulnerabili ai cambiamenti”. Il brano che dà il titolo all’album canta le origini meticce, le donne brasiliane e il futuro ed è dedicato al cantante e scrittore Jorge Mautner, all’antropologo Mércio Gomes e alla memoria di Manhã de Paula, figlia dello scrittore José Agrippino e della coreografa Maria Esther Stockler. “Jorge Mautner celebra da sempre il nostro meticciamento e dice che ‘il mondo si brasilianizza o diventa nazista"; Mércio Gomes ha pubblicato nel 2019 ‘Brasil Inevitável’ che mi ha suggerito l’immagine chiave del cafuzo (chi nasce in una famiglia indigena e afrodiscendente) nelle dinamiche dei nostri meticciamenti; Manhã (mattina), bella figlia con un bel nome che è morta molto giovane”. Il nuovo lavoro è stato partorito nella casa del cantante a Salvador de Bahia, nel Morro da Paciência, quartiere di Rio Vermelho, affacciato sull’oceano Atlantico. “Meu Coco” (con un dinamico arrangiamento orchestrale di Thiago Amud) risale a circa due anni fa ed apre l’album con uno squillante richiamo percussivo, preludio al dialogo fra percussioni e voci, prima di far entrare il resto della banda attraverso un andamento a fisarmonica, zeppo di cambi di passo e colori diversi, anche orchestrali e corali, di momenti di tensione ed altri di intimità ed essenzialità strumentale; di fatto, è una summa dell’intero album: brani dal carattere forte e marcatamente narrativo, alternati ad altri più lineari ed introspettivi - come “Ciclâmen do Líbano” e “Autoacalanto” (ritratto del nipotino, per sola chitarra e voce), sempre ottimamente interpretati, a cominciare dalle chitarre di Pedro Sá. In equilibrio fra queste due polarità troviamo “Anjos Tronchos”, già presentata a settembre, con sonorità che rimandano ad “Abraçaço”, a rispolverare la capacità di Caetano d’indagare al contempo sé stesso ed i ritmi contemporanei, in un’epoca di “palhaços líderes brotaram macabros” (pagliacci al comando che generano il macabro), anche se “mas há poemas como jamais” (spuntano poesie come mai prima d’ora): “Agora a minha história é um denso algoritmo / Que vende venda a vendedores reais / Neurônios meu ganharam novo outro ritmo / E mais e mais e mais e mais e mais” (Ora la mia storia è un denso algoritmo/ Che vende ai venditori reali / I miei neuroni hanno acquisito un altro ritmo / E sempre di più e sempre di più e sempre di più). Gli arrangiamenti sono il frutto della collaborazione con Lucas Nunes (compagno di Tom Veloso nel gruppo Dônica) che interviene anche con tastiere e sintetizzatori. Per chi ama le caccie al tesoro, c’è anche un po’ di musica di Frank Zappa (stagione 1969) nascosta, ma non più di tanto, nell’arrangiamento di “Enzo Gabriel” con un testo giocato sul nome di battesimo più popolare in Brasile nel biennio 2018-2019 e che pone una domanda che riguarda tutti: che ruolo avrai nella salvezza del mondo? Caetano continua a farci pensare e a divertire sia con i testi, sia con la musica: ci sono lo spirito e le percussioni di Pretinho da Serrinha nella danzante “Sem Samba Não Dá”, impreziosita dalla fisarmonica di Mestrinho, a far incontrare la musica sertaneja con il samba. Poi c’è spazio per il fado cantato da Carminho in “Você-Você”, con il mandolino di Hamilton de Holanda là dove ti aspetteresti la chitarra portoghese, assolo compreso. La critica e la denuncia politica prende corpo con “Não Vou Deixar”, nella tensione fra il registro rap e il tono intimo di una dichiarazione d’amore. Ma anche in due brani arrangiati da due maestri: “Pardo”, acuta osservazione del razzismo nelle conversazioni quotidiane che l’arrangiamento orchestrale di Letieres Leite fa letteralmente volare, indovinando un perfetto concatenarsi di dinamiche fra la sezione fiati e le percussioni carioca di Marcelo Costa; e “Cobre”, canzone romantica, in cui il colore della pelle viene messo in relazione con uno dei luoghi topici di Salvador, Porto da Barra, quando i riflessi del sole sull’acqua del mare annunciano il tramonto, con l’arrangiamento di Jaques Morelenbaum. E poi c’è il brano che già si candida a classico, la semplicità e la narrazione epica di “GilGal’ con le percussioni di Moreno Veloso a stendere la “batida de candomblé” che sospinge le voci di Caetano e Dora Morelenbaum. 


Alessio Surian

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