Con due album (“A Capella” e “Palabras Urgentes”) , collaborazioni mirate e una serie di concerti d’eccezione, l’artista afro-peruviana ha celebrato nel migliore dei modi cinque decadi di carriera musicale e di ricerca, attraversando con rinnovata creatività il periodo in cui il Covid ha attaccato duramente il suo Perù.
È nata 77 anni fa a Lima, nel quartiere Chorillos. A scuola ha frequentato classi miste; ambienti in cui i neri venivano discriminati. A casa, invece, ha conosciuto la gioia di una famiglia con zii e zie che da Cañete venivano a far visita e a far festa, con pisco e chitarre, al ritmo di tamburi su cui la madre sapeva riprendere i canti della tradizione. Alla fine degli anni Sessanta avviene l’incontro con una cantante e compositrice che ha scritto pagine indelebili della canzone afro-peruviana: Chabuca Granda, allora quasi cinquantenne: “Abitava vicino a noi, a Lima e udivo la sua voce quando passavo davanti a casa sua: mi fermavo ad ascoltarla”. Conosciuta attraverso un’amica comune, Chabuca Granda diviene per Susana Baca un’amica e una madre musicale. “Conoscevo tutte le sue canzoni e l’aiutavo nel suo lavoro: ero la sola che potesse partecipare alle sessioni di prova”, ricorda Susana Baca che, lavorando all’università, ha avuto modo di recuperare parte del patrimonio afro-peruviano, allora pressoché sconosciuto ai più. Da queste melodie Chabuca Granda ha tratto ispirazione per intersecare ritmi afrodiscendenti e danze indigene e per comporre per Susana Baca canzoni che celebrano momenti e figure chiave della storia peruviana, come “La Herida Oscura”, dedicata a Micaela Bastida, tassello chiave nel recente concerto che Susana Baca ha dedicato al bicentenario dell’indipendenza del Perù.
Negli anni Novanta, con Bernardo Palumbo arriva la svolta commerciale: il musicista argentino fa ascoltare a David Byrne Susana Baca che interpreta senza accompagnamento “María Landó” – sulle traversie quotidiane di una schiava nelle piantagioni di canna da zucchero: seguirà un incontro a Brooklyn, l’inclusione nella raccolta “The Soul of Black Peru” prodotto da Byrne nel 1995, seguito nel 1997 dal disco a suo nome, punto di svolta di una carriera discografica che conta una ventina di album e tre premi Grammy.
Per sei mesi, nel 2011, è stata ministra della cultura all’inizio del mandato del governo presieduto da Ollanta Humala: un periodo di intenso lavoro che però si interrompe presto, mancando l’intesa con Humala. Nel tempo ha coltivato i legami con San Luis de Cañete, a 150 chilometri a sud di Lima, culla della sua famiglia (i De la Colina) e a Santa Bárbara de Cañete, con il marito, il sociologo boliviano Ricardo Pereira, ha creato l’istituto musicale Negrocontinuo, una scuola di musica che invoglia chi la visita, ed in particolare i giovani del luogo, a conoscere le radici culturali della musica e della poesia afro-peruviana e dar vita a nuovi esperimenti musicali e ad incontri con artisti invitati. Ricardo Pereira, ben prima di Byrne, creò l’etichetta Pregón quando nessuna casa discografica era ancora interessata alla musica ed ai versi di Susana Baca.
A Cañete sono stati registrati gli ultimi lavori di Susana Baca, in questa oasi verde al margine del deserto che corre lungo la costa, metafora di una musica peruviana creola, nera, un seme caduto nella sabbia capace di germogliare e crescere con modalità strabilianti. “Gli afro-peruviani sono stati spogliati della loro storia. Attraverso le ricerche abbiamo contrastato le discriminazioni, ma molti afro-peruviani si rifiutano tutt’ora di essere visti come i discendenti della schiavitù, hanno vergogna del colore della loro pelle. È fondamentale restituire alle giovani generazioni i motivi per essere fieri di sé stessi”.
La maturità con cui Susana Baca ha affrontato la sindemia legata al Covid-19 è esemplare: ha messo da parte fino al 2021 il disco “Palabras urgentes”, per metà già registrato, e si è dedicata, in quarantena, a sviluppare un progetto per sola voce – premiato con un Grammy – e due concerti che rileggono la storia, sia recente, sia centenaria del Perù.
Con due premi Grammy alle spalle, il periodo di quarantena, giunto improvvisamente a fine febbraio 2020, è stata un’occasione per “liberare lo spirito” osservando con cura quel che avviene nel mondo. Le misure che l’Europa e il Perù stavano approntando per fronteggiare il virus l’avevano costretta a rientrare in fretta in Perù, da Barcellona, rinunciando al concerto già programmato a Roma e a parte della collaborazione con musicisti italiani sul landó. E senza poter proseguire con le registrazioni del nuovo disco che la vedevano impegnata insieme ai musicisti con cui collabora abitualmente (il trio con Óscar Huaranga al contrabbasso, Samuel Vicente al piano e Fernando Urteaga alle percussioni) e un coro di giovani.
Nel piccolo studio che la sua casa ospita accanto alla cucina ha pensato di tornare alla fonte primordiale della sua esperienza musicale: la voce, registrata con due microfoni, mentre Ricardo Pereira assicurava qualche ripresa video usando due telefonini. Registrazioni intime, ad evocare volti e voci familiari: “In realtà, non mi sono sentita sola, ma in compagnia”. È stato Ricardo Pereyra a ricordarmi di avermi conosciuto quando cantavo a cappella e di quanto gli piacesse. È stata un’idea meravigliosa che mi ha permesso di esprimere la mia anima in un periodo di lutti e di dolore che colpivano amici vicini. Il canto ha portato sollievo, un momento di comunione con persone distanti che viveva la mia stessa condizione. Cantare “A Chiclayo llaman gloria”, per me è come pregare”.
L’album comincia con il classico firmato dall’argentino Fito Páez “Yo vengo a ofrecer mi corazón”, con versi che parlavano del periodo della dittatura dicendo “quien dice que todo está perdido, yo vengo a ofrecer mi corazón...” (c’è chi dice che ormai tutto è vano, io vengo ad offrire il cuore mio) e che sono stati riproposti da Susana Baca come occasione di conforto di fronte alla sindemia. Dal Messico è venuto poi l’invito a riprendere la canzone insieme a Fito Páez e René Perez dei Calle 13. E non poteva mancare un’interpretazione del repertorio di Chabuca Granda, in questo caso cantando l’amore con “Cardo o ceniza” e “Rosas y azahar”, accanto a canzoni che affrontano il tema della fede (“Canción de fe”, di Manuel Acosta Ojeda) e dell’identità nazionale (“Contigo Perú”, che è diventata a poco a poco una specie
Da "Maestra Vida" a “Cantares y decires” a “Mujeres de Arena y otras historias”
In Perù, il 21 dicembre è Kapak Inti Raymi, il giorno della nuova vita. La sera del 19 dicembre 2020, Susana Baca ha voluto dedicare a questa ricorrenza un concerto poetico e musicalmente coinvolgente ed impeccabile, “Maestra Vida”, diretto dal contrabbassista Óscar Huaranga (bajo), con Samuele Vicente al piano, Hugo Bravo e Alex Picon (percussioni), i sax di Sebastian Pinillos e Isam Raid Abu-Arkurb, e il quartetto vocale formato da Jorge Almendaris, Manuel Mejia, Alejandro Quijandria, Jonathan Mendoza, che ha curato anche le parti di chitarra.
Il concerto ha messo in evidenza vari brani scritti da Chabuca Granda, a cominciare dal classico “María Landó” (che Chabuca Granda compose a partire da una poesia di César Calvo) per seguire con “Las flore buenas de Javier”, “Me he de guardar”, “Coplas a Manuel Barrenechea” e “La herida oscura” con i due sax in evidenza nella dedica a Micaela Bastidas Pumacahua (Pampamarca, 23 de junio de 1744-Cuzco, 18 de mayo de 1781) “martire dell’indipendenza” peruviana. Ma non sono mancate anche composizioni recenti, la Nueva Canción Peruana che narra la storia peruviana: “Mujeres de arena” scritta da Amilcar Soto, omaggio alle donne di Villa El Salvador, la municipalità alle porte di Lima protagonista di forme di auto-organizzazione cui ha guardato tutta l’America Latina. E poi “Negra presuntuosa” di Andrés Soto (a tre anni dalla sua morte), il vals “Vivirás eternamente” che Alicia Maguiña, (classe 1938) ha dedicato allo scrittore José María Arguedas; “Tus manos son de viento” di Daniel “Kiri” Escobar che non manca di strappare la lacrima, e due “bandiere” del repertorio attuale di Susana Baca, "Yo vengo a ofrecer mi corazón" e “Contigo Peru”, nella forma a capella che le è valsa il Grammy più recente. Su richiesta della Croce Rossa, ha proposto anche una sentita dedica ai desaparecidos con “Hasta la raíz”, di Natalia Lafourcade, proprio in un periodo in cui i desaparecidos aumentano. Non sono mancate le anticipazioni dell’album poi uscito per la Real World nel 2021, in particolare “Sorongo”, frutto della vena poetica dell’etnomusicologo peruviano Nicomedes Santa Cruz e
dell’inventiva musicale del portoricano Catalino “Tite” Curet Alonso. Il viaggio attraverso l’America Latina è continuato con “Maestra Vida”, dall’opera che Rubén Blades produsse nel 1980 con Willie Colón, e con "Gracias a la vida", della cilena Violeta Parra, per poi omaggiare i poeti Federico García Lorca ("El lagarto está llorando") e César Vallejo ("Idilio muerto"). La magia si è ripetuta sette mesi dopo in compagnia dello scrittore Alonso Cueto con cui ha dato vita al recital “Cantares y decires” che percorre gli ultimi cento anni di musica peruviana, cominciando con Felipe Pinglo (“Horas de amor”), mettendo volentieri in risalto i contributi delle donne, per finire con tre brani emblematici: “Negra presuntuosa” (Andrés Soto), “Venadito de los montes” (Juana Luis Pereyra e Susana Baca) e “Merineras y resbalosas” (tradizionale raccolto da Alicia Maguiña).
Ad agosto 2021 questa vena permeata di narrazioni sociali ha dato corpo all’album in collaborazione con Amilcar Soto Rodriguez “Mujeres de Arena y otras historias”, con il coinvolgimento dei Solisti Veneti diretti dal maestro Giuliano Carella e con una speciale attenzione per Villa el Salvador, dove vive Noemi Soto Rodriguez, sorella del compositore e coordinatrice del collettivo Mujeres de Arena.
Susana Baca – Palabras Urgentes (Real World, 2021)
“Quando abbiamo cominciato a registrare l’album nel 2018, il Perù era attraversato da uno dei più grossi scandali legati alla corruzione mai accaduti, con il coinvolgimento massivo delle classi dirigenti, giudici compresi! Per questo ho modificato i versi del tango di Cambalache per farne una canzone di protesta con parole di speranza, che incitano all’onestà e alla trasparenza. La canto perché voglio suscitare dibattito”. Ancora una volta, la produzione artistica di Susana Baca collega il Perù meno conosciuto (Cañete) con New York, questa volta attraverso Michael League (Snarky Puppy) che opera in veste di produttore e coinvolge nell’ottava delle dieci tracce la fisarmonica di Magda Giannikou, non a caso il brano dedicato a “Juana Azurduy”, capace di condurre la guerriglia contro l’esercito della monarchia spagnola per far nascere la “mini-Republica de la Laguna”, esempio di donne combattive ed indipendenti. Questa vena femminista apre l’album narrando la “ferita profonda”, “La herida oscura”, (“una canzone che canto quasi fosse un segreto”) ode di Chabuca Granda a Micaela Bastidas, discendente di schiavi, sposa e compagna di lotta di Túpac Amaru II, simbolo delle battaglie per la giustizia e la libertà, della Grande Ribellione indigena contro gli Spagnoli nel 1780. “Entrambe sono simboli dell’indipendenza peruviana: meticce, donne, per questo solo tardivamente riconosciute come tali. Celebrando queste liberatrici dimenticate, aldilà del grido di protesta, desidero ricordare quel che dovrebbe unire il popolo peruviano: coraggio e speranza”.
L’album, splendido nell’intensità del canto e negli arrangiamenti che restituiscono con nitidezza il dialogo fra gli strumenti, è anche un’occasione per viaggiare nelle diverse sonorità peruviane e latinoamericane. Già con il secondo brano, “Negra del alma” l’incedere e le melodie andine si fanno strada come nella migliore festa popolare fra la leggerezza della marimba (Enrique Purizaga) e la potenza dei fiati (Jeff Coffin, Carolina Araoz, Aaron Abuid, Abiud Mucha, Felix Ayllon). “Questa canzone mi riporta al tempo in cui insegnavo ai bambini che vivevano in zone montagnose isolate e frequentavano scuole rurali. Sento ancora i canti di questi bambini che intonano ‘Negra del Alma’ guardando la mia pelle, nel profondo del mio cuore non smetterò mai di ascoltarli. Questi anni mi hanno fatto capire quanto la musica nasca anche dal silenzio. Ho imparato che anche se il vento sembra solo fischiare, quando si innamora riempie di gioia”. E c’è spazio anche per la danza, dal tango di “Cambalache” (Enrique Santos Discépolo) alla “Milonga De Mis Amores”, ritorno agli anni Trenta argentini e ai registri tango di Pedro Laurenz, a “Sorongo”, ponte fra le tradizioni afrodiscendenti delle Ande e i ritmi di clave di Porto Rico. Il finale è solenne e riporta i riflettori su un classico del repertorio di Susana Baca, “Vestida de Vida” che qui ospita la voce calda ed espressiva di Rodrigo Castillo per il recitativo finale chiuso magistralmente dal coro arrangiato da Daniela Ghersi.
Alessio Surian
Foto 2 e 3 di Javier Falcon
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Sud America e Caraibi