Omar Sosa/Seckou Keita – Suba (bendigedig, 2021)

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Sosa e Keita rinnovano la loro collaborazione cubano-senegalese, già confluita ad inizio 2017 nel bell’album “Transparent Water” e che anche in “Suba” mette al centro il continente africano, come racconta Sosa: “Ciò che l’Africa può insegnare al mondo è la spiritualità che si nasconde dietro ogni cosa. Siamo spesso schiavi della nostra pazza e umiliante società, dove tutti hanno bisogno di avere successo. Presentiamo le nostre tradizioni, ma sempre nel rispetto e nell’ascolto dell’altro, con molta umiltà. Nessuno al commando, al comando c’è la musica”. I primi tre brani sono intensi e, al tempo stesso, musicalmente rilassati. Il piano acustico di Omar Sosa e la kora di Seckou Keita si intendono perfettamente e, nel tempo, hanno sviluppato un’amicizia umana e musicale. “Kharit” (amico, in mandinga) apre il nuovo disco, scritto e registrato nel 2020, parlando di amicizia. “In realtà – racconta Seckou Keita che l’ha scritta – ‘khar’ indica qualcosa che hai tagliato o che è stato tagliato da te e ‘kharit’ significa ‘la mia l’altra metà’, qualcosa che non puoi comparare o creare: può solo accadere in modo naturale. L’amicizia costruisce l’amore, la famiglia, il matrimonio, perfino un intero quartiere. E’ una canzone che mi è stata ispirata dai molti aspetti dell’amicizia che vedo nella mia vita e nella vita delle persone che mi sono vicine, quando le osservo in compagnia di amici”. In questo caso Omar Sosa canta anche la parte solista e fa cantare il talking drum, sostenuto con parsimonia dal piano, ma anche dalla seconda voce e dalle percussioni di Sosa. 
In chiave ritmica, il terzo amico è Gustavo Ovalles, alle percussioni lungo tutto il disco; qui suona calabash, maracas, hi-hat, cuolo e puya. Sempre legato ad un ambito intimo, anche il secondo brano, “Allah Léno”, viene dalla penna di Seckou Keita e risale al tour del 2017. La canzone trae ispirazione da un proverbio mandinga: “Chi viaggia, quando parte sa di partire, ma non può sapere quando o come tornerà”; i versi cantati da Keita mettono in luce che l’eventuale ritorno sta nella volontà divina. E’ il brano che spesso propongono come bis nei concerti, quello in cui gli accenti del son cubano offrono alla tessitura mandinga una luce diversa e familiare allo stesso tempo. Con “Korason” il gruppo diviene sestetto, con l’ingresso del melodioso violoncello di Jaques Morelenbaum e con i effetti sonori offerti da Steve Arguelles e Yohann Henry. Qui, nella seconda parte, la frase poliritmica cubana è resa esplicita, scandita dal suono secco dei legnetti (clave) che attraversano la tonica malinconica del brano, senza perdere la “speranza”, traduzione di “Suba”. Che puntualmente arriva con il ritorno al trio in “Drop of sunrise”, cuore dell’album. Racconta Keita, che la canta sia in mandinga, sia in wolof: “Sono una persona mattiniera. Mi sveglio e qualsiasi cosa abbia sognato, vedere l’alba è provare la speranza che il nuovo
giorno venga con un futuro splendente. Suba vuol anche dire domani, quello arriverà dopo diciotto mesi di pandemia”. “Gniri balma” arriva a conferma di questo spirito positivo con un cambio di ritmo che invita al ballo, prendendo a prestito proprio la parola “gniri”, danza dalla lingua e dal popolo balanta, vicini di casa di Keita in Casamance. “Balma”, in balanta, è il balafon, occasione per Keita di proporne sulla kora i ritmi e di chiamare a sostenerli i bata di Gustavo Ovalles. Ma non manca anche l’interazione con i suoni dell’ambiente, in particolare le onde del mare di “Voices on the sea” riflessione sulla condizione degli schiavi di un tempo e dei migranti di oggi cui danno corpo anche il flauto di Dramane Dembelé e le percussioni d’acqua di Arguelles. Omar Sosa sintetizza il messaggio dell’album in “pace, speranza, unità. Nel momento che stiamo vivendo, quando tutto sembra cadere a poco a poco, la forza che abbiamo in noi stessi è una connessione divina con la nostra voce interiore, con il nostro spirito, la luce e con i nostri antenati. Cerchiamo di dare speranza attraverso la musica e dire alle persone che possiamo ancora stare insieme. Ciò che l’Africa può insegnare al mondo è la spiritualità che si nasconde dietro ogni cosa”




Alessio Surian

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