Monsieur Doumani – Pissourin (Glitterbeat Records, 2021)

Due lustri di storia, tre album di lunga durata e numerosi riconoscimenti internazionali per il trio originario della parte greca dell’isola di Cipro. Il loro “Angathin” è stato migliore disco per la Transglobal World Music Chart (2018), Premio della Critica Discografica Tedesca (2018), Premio della Critica al Premio Parodi (2018) e Best Group per il periodico Songlines (2019). I Monsieur Doumani si rinnovano con l’entrata del chitarrista Andys Skordis (chitarre, percussioni, loops, voce), che era già un collaboratore del gruppo, che affianca Antonis Antoniou (voce, tsouras, un via di mezzo tra un bouzouki greco e un cura turco, sintetizzatori, elettronica e stomp box) e Demetris Yiasemides (trombone e voce), accentuando la propensione elettronica, peraltro già presente in passato nella cifra sonora della band sotto forma di distorsioni e delay. Ai cori in tre brani troviamo anche l’ex membro fondatore, Angelos Ionas. L’album è descritto dallo stesso Antoniou come un concept “iniziato tra il sonno e il sogno e la veglia”. E ancora: “Sapevamo già di voler esplorare territori sonori e abbiamo passato molto tempo a sperimentare per far sì che le texture strumentali si intrecciassero in modo molto dinamico”. Così Antoniou racconta le ambientazioni surreali e psichedeliche di “Pissoúrin”, che in dialetto greco-cipriota indica la “totale oscurità”. Di certo è una notte inquieta, scossa, introspettiva e misteriosa quella affrescata dal combo, che va a incominciare con “Tiritichtas”, testo di Giorgos Vlamis (“Ascolta solo la notte che partorisce/ Alle prime luci dell'alba è in travaglio / Qualcosa fa rumore e scompare / Il vento porta con sé una voce”), in cui la voce rauca e incalzante di Antoniou si appoggia alle tastiere che accentuano il tasso drammatico, al trombone cui sono affidate le parti di basso e alla chitarra che incrocia il tsouras. A sorpresa, nel finale, si erge il canto a cappella corale che apre uno squarcio nella densità sonica strumentale. Sulle procedure compositive, Antoniou aggiunge: “Abbiamo lavorato tutti insieme agli arrangiamenti. Per una buona canzone è necessaria una melodia potente, ma senza giusta struttura e arrangiamento, è noiosa. Volevamo assicurarci che ogni canzone fosse piccante, che avesse qualcosa per entusiasmare sia noi che il pubblico. Ciò ha richiesto tempo e molta riflessione e sperimentazione”. L’elemento musicale folklorico si para come struttura base di “Poúlia” (Pleiadi): qui, le corde si muovono sinuose e la linea del trombone tesse su un incedere psichedelico e ipnotico fino all’improvvisa accelerazione. Nella notte le forme si spostano e si confondono (un parallelismo con le eclettiche movenze sonore dell’album), è difficile distinguere tra realtà e illusione, è anche il tempo dell’immaginazione: ecco apparire la danza delle creature della notte “Kalikándjari”, brano di fattura rap psych-folk mediorientale in cui si ricostituisce la coppia tra Antoniou, che firma la musica, e Marios Epaminonda, lo storico militante che mette in fila le parole, già all’opera in “Kkismetin”, il notevole album solista del frontman del trio. “Le parole scritte da Marios Epaminonda sono venute fuori da una notte in cui eravamo stati insieme a bere. Gli ho detto che solo la nostra follia ci salverà, che bisogna essere pazzi in senso buono in questa vita. Lui ne ha fatto una poesia e io ho scritto la melodia. Penso che sia la canzone più rivoluzionaria qui: un modo per dire che provocheremo il sistema rifiutando di essere normali”. Nella successiva “Koukkoufkiaos” (Gufo), il tema più lungo del disco, si celebra l’estetica della notte con Antoniou, autore sia del testo sia della musica, che immagina di essere in volo come il rapace notturno, simbolo di conoscenza e saggezza. Se la title track dà un’altra bella scossa, procedendo tra propulsione del trombone e sciabolate della chitarra elettrica in un crescendo travolgente, “Thámata” (Miracoli) ha il valore aggiunto del canto della regista, attrice e cantante greca Martha Frintzila. Dall’andamento rock-funky con sfumature chitarristiche saheliane di “Alavrostishiotis” (Fata), con al centro ancora trombone e chitarra, si passa per le sequenze folk psichedeliche di “Nychtopapparos” (Pipistrello notturno) fino alla trance rock-prog di “Astrahán” (Una Sirena). Tra le band più originali e formidabili in circolazione, il trio di Nicosia fa centro con un lavoro innovativo quanto entusiasmante: che lo definiate psych-avant-folk oppure world music – diamine! – non ve ne private! 


 Ciro De Rosa

Posta un commento

Nuova Vecchia