Gruppo veneto nato dall’esperienza dei Disincanto, i Maestral hanno recentemente dato alle stampe “Marghesarà”, il loro primo album di inediti, nel quale hanno raccolto dieci brani scritti in veneto, una scelta questa ben precisa e certamente coraggiosa e che comporta, per un ascoltatore di differente provenienza geografica, l’esigenza di alzare l’attenzione verso le atmosfere che l’artista di turno vuole raccontare. Così come, dall’altro lato, è decisamente impegnativo lo sforzo artistico da fare per superare il gap linguistico e rendersi, in qualche modo, universali. In questo senso, Sergio Renier e compagni (ovvero Walter Lucherini a fisarmonica e bandoneon, Riccardo De Zorzi a basso e chitarre e Uccio Rizzo alla batteria) hanno centrato perfettamente l’obiettivo, realizzando un disco magnetico che cattura sin dal primo ascolto. Ad aprire l’album è “Carneval”, scandita da un languido arpeggio di chitarra. L’ingresso del bandoneon, che poggia su una sezione ritmica dai toni rarefatti, trasporta l’atmosfera su colori quasi dolenti, in perfetto accordo col testo, interessante spaccato, a tratti decadente, di una terra fortemente contraddittoria. A proposito del testo, il contraltare semantico su cui è giocato il ritornello (“Dammi un bacio per dimenticare tutto quello che mi fa male, dammi un bacio pieno di musica, pioggia e fango, che è carnevale”) risulta quanto mai programmatico per comprendere fin da subito i temi del lavoro.
“Par ti”, primo singolo estratto, si snoda, invece, lungo le malinconiche trame di una chitarra elettrica suonata con lo slide, che poggia su un delicato tappeto di organo.
Ad accompagnare “Gastu mai pensà”, omaggio alla grandezza di Lino Toffolo, troviamo i timbri cupi di una fisarmonica, con lo sfondo asfissiante degli arpeggi di una ruvida chitarra elettrica che si accorda alla perfezione con la natura collosa e polverosa della canzone.
La title- track, sicuramente uno dei momenti più alti dell’album, è impreziosita dalla voce di Gualtiero Bertelli, vero e proprio pezzo di storia del folk veneto. “Marghesarà” (“Sarà che non vogliono far niente per paura di cambiare, sarà che la regata è lunga e nessuno vuol vogare, sarà che anche il Leone si è rotto i coglioni di aspettare”) cammina lungo un paludoso incastro fra chitarra acustica e bandoneon, mentre una acquosa linea di basso ed un pattern di batteria viscoso sostengono la sezione ritmica. Geniale il gioco di parole del titolo, che declina letteralmente Marghera (vale a dire “Mare che c’era”) nel suo futuro, “Marghesarà”, appunto, cioè “Mare che ci sarà”, piccolo gioiellino di inventiva poetica che si va a piazzare all’interno di un testo ruvido, che mette in luco in modo dolentemente appassionato tutte le antinomie, soprattutto gestionali e strutturali, del territorio veneto.
Giro di boa del disco è “Frontiera” (“Tutti stretti su questo battello, che solo a guardarlo fa paura. Hanno il coraggio o l’incoscienza di scappare via dalla tortura”), che, anche in questo caso, mette in primissimo piano un interessante intreccio di chitarre, con gli arpeggi dell’acustica contrappuntati dai fraseggi dell’elettrica. In sottofondo, il tappeto sonoro creato da fisarmonica ed elettronica regala al pezzo un’andatura instabile e liquida.
“Na luna” è sostenuta dallo strumming di una elegante chitarra acustica, su cui guizzano i fraseggi dell’elettrica, mentre le note di un’ariosa fisarmonica allargano l’atmosfera.
Altro passaggio splendido è “Venexia” (“Milioni di turisti e cosa ci resta? Lo spirito dei grandi che qui si sono ispirati, gli stemmi, i colombi e i banchi del mercato, le statue, le pietre e forse la libertà”), commovente omaggio alla Dominante, raccontata con immaginifico lirismo. In questo caso, a reggere le trame della canzone ci pensa un pianoforte, che si mescola dolcemente con una chitarra elettrica e con la base melodica ricamata dalla fisarmonica.
“De sta città”, rilettura di un brano di Gualtiero Bertelli, vede ospite la voce di Sandra Mangini, attrice e cantante a sua volta. A segnare l’incedere del brano ci pensa una ondivaga fisarmonica, su cui poggia un cupo arpeggio di chitarra acustica, mentre il crescendo di sottofondo dell’elettronica sposta il clima verso colori staticamente rarefatti.
Penultimo momento di questo viaggio in Veneto è “Pensiero per Giorgio” (“Andiamo dove il rumore dell’acqua e del motore sono silenzio. Via da questa gente persa. A rincorrere traguardi che non vediamo. A inseguire sogni che non abbiamo”), un intenso recitato (dedicato a Giorgio Brunelli) trascinato dallo sciabordio delle acque.
A chiudere il disco è “Canzone per Giorgio”, composizione strumentale che si snoda seguendo le spazzole di una batteria asfissiante nel suo essere cadenzata. Gli squarci sghembi della sezione fiati, composta da sax e tromba, regalano al brano un consistente carico di umidità, ben sottolineata anche dai contrappunti e dalle aperture del bandoneon.
Concludendo, siamo stati all’ascolto di un disco che prende a piene mani elementi di musica della tradizione, rinnovandoli attraverso l’utilizzo dell’elettronica e qualche incursione acid. Come se non bastasse, mette in campo un approccio letterario spiccatamente cantautorale e, ancora meglio, da cantastorie. I Maestral sono riusciti nell’impresa, tutt’altro che semplice, di raccontare la loro terra universalizzandone le vicende, mescolando molto bene toni ruvidi da “j’accuse” a vere e proprie dichiarazioni d’amore per il Veneto.
In tre parole, hanno fatto centro.
Giuseppe Provenzano
Tags:
Veneto