Grup Yorum, finché la musica resiste: a Lecce l’ultima data del tour italiano della formazione turca che si batte per i diritti umani
Il loro apparire sul palco è già, di per sé, un manifesto: “divisa” da combattenti, fazzoletto rosso al collo, fiero e solenne contegno. «Vi portiamo i saluti dei nostri compagni – esordiscono al microfono - Helin, Ibrahim, Mustafa, che hanno combattuto per la resistenza in Turchia. Vogliamo ricordare loro e tutti coloro che hanno dato la vita per la nostra lotta».
Sabato 2 ottobre, siamo al Teatro Paisiello di Lecce, la “bomboniera della città” come i leccesi chiamano questo piccolo gioiello di architettura rococò. Riaperto dopo due anni per poter completare i lavori di adeguamento degli impianti, il teatro inaugura la sua nuova stagione con un appuntamento di grande rilevanza non soltanto artistica, nel quale la musica incontra i diritti umani. Sul palco del Paisiello salgono, infatti, i musicisti di Grup Yorum, la formazione turca impegnata in una tenace battaglia contro la repressione nel Paese governato da Erdogan, che arrivano a Lecce grazie all’impegno di una Rete solidale - promotrice del tour passato anche da Roma, Sinnai e Bari - e all’apertura dell’Amministrazione comunale.
Fondato nel 1985 da quattro studenti universitari a seguito delle prime mobilitazioni contro la carcerazione dei prigionieri politici, ispirato dalla musica di protesta degli Inti-Illimani, come il gruppo cileno anche Grup Yorum lega la sua storia alla dissidenza antifascista e antimperialista, e per questo i suoi membri negli anni vengono arrestati, il loro centro culturale a Istanbul molte volte perquisito e chiuso, e viene impedito loro di tenere concerti in Turchia, in quella che non è semplicemente una battaglia tra un Governo e una band musicale, ma tra un Governo e una forza politica dal basso di cui Grup Yorum è solo una delle espressioni più visibili (si pensi alle centinaia di migliaia di presenze ai loro concerti).
Quelli che vediamo sul palco del Paisiello sono gli ultimi membri della formazione che, proprio come in un movimento politico, costantemente rinnova i suoi componenti pur mantenendo invariato il nome del gruppo, sostituendo di volta in volta i musicisti in esilio o arrestati. O, come Mustafa Koçak (quarant’anni), Helin Bölek e Ibrahim Gökçek (entrambi di 28 anni), lasciatisi morire nel 2020 a seguito di un lunghissimo sciopero della fame. “In Turchia c’è una band che non muore mai” recitava un bel titolo del “manifesto” di qualche settimana fa, sintetizzando efficacemente lo spirito di Grup Yorum.
Per cercare di comprendere che cosa possa spingere persone come Mustafa, Helin e Ibrahim ad abbandonarsi all’orrenda fine di un “digiuno della morte”, i musicisti arrivati a Lecce portano la loro testimonianza sulle condizioni in cui sono segregati, in spregio ai diritti umani e, spesso, anche in contraddizione con le stesse leggi del Paese, i prigionieri politici nelle carceri turche. Un Paese che ad oggi, lo ricordiamo, è ancora formalmente candidato ad aderire all’Unione europea. «Grup Yorum è un gruppo di musica rivoluzionaria, consideriamo la nostra attività come una missione» avevano detto nel corso della conferenza stampa di presentazione, e lo ribadiscono ora dal palco prima di imbracciare basso, daf, batteria, chitarra.
Si capisce che la cronaca di un concerto come questo non potrà fermarsi allo stile - che pure ha un suo significato precipuo, nell’abbinamento del folk turco al rock “rivoluzionario” - o al valore dell’esecuzione. Passerà piuttosto dai contenuti intrecciati alle note, tradotti al pubblico quando, dopo alcuni pezzi, i due portavoce della band tornano a prendere la parola e a parlare di liberazione, di fascismo e antifascismo, di America e di anti-imperialismo, di processi per terrorismo e di avvocati messi in prigione, di torture irripetibili e di compagni morti per la libertà che loro chiamano “martiri”.
A vederli dai nostri palchetti, vestiti di tutto punto per la riapertura del nostro bel teatro, prima della consueta passeggiata del sabato sera, sembrano – loro, o noi? - venuti fuori da un altro mondo.
Dal Tacco d’Italia, ultima propaggine a Sud Est dello Stivale, la Turchia non è poi così distante. Oltre il Canale d’Otranto l’Albania e la Grecia, poi ancora un altro pezzo di mare. Molti Paesi d’Europa sono decisamente più lontani. Eppure queste parole riecheggiano nella sala come da un altro spazio e da un altro tempo, come se davanti a noi ci ritrovassimo piuttosto i giovani protagonisti di “Garage Olimpo” – il film di Marco Bechis sui desaparecidos argentini - e non dei ragazzi nati e vissuti nel continente europeo negli anni 2000.
E come sembrano lontani anche Genova, il movimento no-global, il Genoa social forum che quest'anno ha compiuto i suoi vent'anni. Ma questi ragazzi ci ricordano che l'impegno non è ovunque lettera morta, e soprattutto che vi è ancora nel mondo la necessità di quell’impegno.
«Abbiamo combattuto per iracheni, palestinesi e tutti i popoli oppressi, ora è il momento di cantare la nostra resistenza» avevano detto i musicisti nell'incontro di presentazione. E al Paisiello cantano in turco e in italiano “Bella ciao”, accompagnati dal Coro degli Arditi salentino, “Hasta siempre comandante Che Guevara”, pezzi noti del loro repertorio come “Defol Amerika” e canti tradizionali di resistenza.
Sembra di essere tornati indietro di decenni, quando alle Feste dell’Unità il mix di rock, cantautorato e riproposta popolare aveva un preciso valore politico. Indietro, o avanti? «Il nostro obiettivo ora è costituire un fronte internazionalista con artisti di tutto il mondo» dicono loro dal palco.
L’impressione, persino tra il pubblico della serata, non di certo digiuno di partecipazione politica, è di essere seduti difronte a un enorme specchio che dalla scena centrale inquadra un malcelato senso di colpa: noi europei, così adagiati, così salottieri, così televisivi, così socialmente disgregati, così “instagrammabili”. Quello di Grup Yorum è, in questo senso, più che un tour, è un atto di testimonianza: che torna a dirci attraverso le note, le parole e i corpi che quegli ideali, anche se flebili, non sono morti. Ancora no, finché la musica resiste.
Giorgia Salicandro
Foto e video di Giorgia Salicandro
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