Khalab & M’berra Ensemble – M’berra (Real World Records, 2021)

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Certi dischi vanno fatti sensibilmente o non vanno fatti proprio. Con la grande impennata della world music in occidente si moltiplicano le ramificazioni, contaminazioni e collaborazioni. La cosa non è in sé né un bene né un male, a patto che si tengano a mente le responsabilità che gravano sulle spalle di chi vuole sperimentare – per non dire giocare – con ciò che nel nome dell’arte sembra solo arte, ma che molto spesso rappresenta molto di più in situazioni in cui l’arte come concetto magari nemmeno esiste. La musica, che siamo abituati a definire e giudicare secondo canoni legati alla nostra esperienza, in molte culture è il veicolo e il simbolo di storia, spiritualità, lotta e altro ancora. Non che non lo sia anche nell’esperienza mia e tua, sia chiaro, ma è circoscritta ad una nostra esperienza, e quindi difficile e pericolosa da trasferire ad atre. Quest’approssimazione risulta sempre più spesso in progetti non solo raffazzonati e di bassa qualità, ma anche portati avanti con un orientalismo inconscio che rasenta l’appropriazione culturale, calpestando ciò con sui si gioca in virtù di un’egoistica ricerca. E se devo essere sincero, sempre più spesso in questa trappola di approssimazione e appropriazione ci cadono i produttori. Una posizione vecchia e stracarica di juvenoia, me ne rendo conto. Una posizione che sono anche aperto a mettere in discussione, perché nasce dalla mia tutto sommato limitata, in quanto personale, conoscenza di ciò che gira nella scena. Fatto sta che negli ultimi anni ho sentito tanti dischi di elettronica che toccano ciò che non devono toccare, decontestualizzano ciò che non va decontestualizzato, o addirittura rubano. 
Niente di ciò che ho scritto si applica a questo disco, che si posiziona agli antipodi del cliché descritto. Qui non solo si gioca con serietà, ma lo si fa con una curiosità che non si ferma a note e beat, ma che va al nocciolo di ciò che questi rappresentano. C’è quindi conoscenza, tanta. Non che non ce lo aspettassimo da Raffaele Costantino, in arte Khalab, che nella sua carriera da DJ ha spesso promosso musiche Africane. Le collaborazioni non mentono: Baba Sissoko, Moses Boyd e Shabaka Hutchings sono solo i nomi più rilevanti ad aver collaborato col DJ italiano. Vi chiederete piuttosto chi siano i volti di M’berra Ensemble, gruppo che debutta con questo disco. I collaboratori sono davvero tanti, ma è difficile rendere l’idea senza farvi la lista: Amano Ag Issa, Mohamed Issa Ag Oumar, Ahmadou Ag Mohamed, Tinalbaraka Walet Alhassane, Alhassane Ag Abdorahmane, Taya Walet Mohamed, Aliou Ould Mohamed, Attaher Ag Mohamed, Attaye Ag Mohamed, Elhaj Ag Mohamed, Enaderfé Ag Khamma, Hamma Ag Awaissoune, Mohamed Alwafi Ag Mohamed, Khantara Ould Mohamed, Adriano Viterbini, Tommaso Cappellato, Davide Paulis, e DJ Knuf. Una comunità di musicisti che popola il campo pofughi M’berra in Mauritania, una città effimera, un non-luogo che accoglie 50000 sfollati dal Mali, molti dei quali Tuareg. 
La musica viene registrata in loco e ripensata dopo, uno spin creativo sull’attività etnomusicologica. Il risultato è un lavoro solido ed empatico che non ha nulla da invidiare a Ian Brennan sul piano etico. Pezzi estremamente evocativi come “The Western Guys” o “Reste À L’Ombre” non possono che catturare istantaneamente con frammenti di conversazioni e vita vissuta ricollocati su un tappeto di sintetizzatori e sostenuti, rispettivamente, dal tehardent e da un beat con cassa in quattro. Abbiamo poi pezzi come “The Griot Speaks” dove la tradizione rimane quasi intoccata, e altri, come “Docu-Fiction”, dove la tradizione è la sorgente di una storia che si dirama, si complica e muta inesorabilmente come la realtà di chi la suona. Inevitabili gli occhiolini al desert blues in “Skit Guit” e “Curefew”, e ad un’elettronica più spinta che troviamo in “Moulan Shkur”. Insomma, in questo disco c’è tutto ciò che ci si può aspettare dalle premesse fatte prima, ma ci si trova anche qualcosa di più. È in parte un manifesto e in parte un documento, un emblema sonoro di una realtà che in altri formati ci passerebbe sopra la testa. M’berra ci permette di spiare la vita di una realtà particolare nella sua drammaticità, una realtà mutevole e fatta di incontri, di passati e futuri, di peso e speranza. Racconta di persone e tradizioni che nella tragedia si sono incontrate e sono finite col fare ciò che l’essere umano fa da sempre in ogni circostanza: musica. 


Edoardo Marcarini

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