Glad Tree – Bambù (Radici Music, 2021)

Al trio torinese piace tessere fili invisibili tra le fonti di ispirazione, facendo riaffiorare tradizioni musicali amate, studiate e assorbite e proiettandoci in terre lontane reali e immaginarie. Percorrono traiettorie sghembe e visionarie di matrice acustica tra musiche del mondo, blues e prog Marcello Capra (chitarre e composizione), Lanfranco Costanza (flauti, armonica e voce, nonché autore, come già nei lavori precedenti, del dipinto riprodotto in copertina) e Massimiliano R.F. Andreo (darbouka, dholla, dof, req, bandir, mazhar, davul, cajon, handpan e tabla). Sono musicisti navigati, di formazione eterogenea, animati da pensieri flessibili, mossi dalla gioia di suonare insieme e da “passioni roventi”, come scrive Donato Zoppo nella presentazione. Narrano le cronache che la scintilla per la creazione del gruppo è stato l’incontro in un concerto di musica indiana all’incirca otto anni fa. Con una line up leggermente diversa da quella odierna (Kamod Raji si occupava delle percussioni), i Glad Tree hanno pubblicato “Onda Luminosa” nel 2015, cui ha fatto seguito, a due anni di distanza, “Ostinatoblu”, realizzato con la partecipazione di Mario Bruno alle tastiere e al corno. Al traguardo del terzo disco, “Bambù’”, pubblicato nella consueta elegante confezione dall’etichetta toscana Radici Music, i Glad Tree si autoproducono e allestiscono otto tappe, creando garbate mappe che evocano paesaggi e latitudini diversi, a iniziare dal largo respiro della title track, posta in apertura dell’opera. La notevole “Funky Sister” si para innanzi sorprendente, incedendo con tratti sincopati, ricami di flauto e sostanza percussiva: è trascinante e ironica al contempo. Si tratta dell’unico tema scritto a quattro mani da Costanza e Capra, mentre gli altri sette motivi portano la firma del solo chitarrista. Inizia malinconico sulle corde della chitarra, “Giro di boa”, poi il ritmo si fa più incalzante tra le fioriture del flauto traverso, il calore della sei corde in un bel crescendo fino alle sequenze finali dove i toni si smorzano. Avanza subito baldanzosa “Memories”, nella sua figurazione quasi a ritmo di marcia, ma la fisionomia cambia quando l’armonica inizia un dialogo inusitato con il flauto, sostenuto sempre da chitarra e percussioni: da applausi!. “Mongolian Knight”, aperta da una chitarra che inizialmente avvista l’Irlanda, progressivamente si irrobustisce con le note delle corde, attraversando spedita la spazialità della steppa richiamata nel finale dal canto armonico. Bastano pochi secondi e si aprono gli intensi squarci world di “Onda luminosa”, già incisa nel disco di debutto, con chitarra e flauto a condurre il fluire melodico verso un possibile Oriente. Il viaggio continua anelando spazi aperti, cosicché incontriamo “Prateria”, sviluppata su strutture iterate e accorti spostamenti progressivi, per giungere, infine, a “Viaggio all’isola di Tinder”, un altro tema già inciso da Capra circa trent’anni fa (intitolata “Dreaming of Tinder”, era nell’album “Fili del Tempo” registrato con Silvana Aliotta), che rinvia a un luogo metaforico sulla cui rotta ci si mette non per raggiungere una meta ma come viatico per uno scrutamento introspettivo. Ascoltando “Bambu”, il piacere è garantito. 


Ciro De Rosa

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