Cettina Donato/Ninni Bruschetta – I Siciliani. Vero succo di poesia (AlfaMusic/Egea/Believe Digital, 2021)

Ci sono parole che contengono mondi interi, già solo nel modo in cui vengono pronunciate. “I siciliani”, ad esempio, è una di queste: provate a pronunciarla strascicando leggermente quel “ci” e allungando impercettibilmente la “a”. La parola avrà un nuovo colore, si animerà di una nuova vita, aprirà nuove prospettive, dentro ci sarà tutta l’essenza, tutto il succo della Sicilia (del resto i siciliani sono di poche parole, anche una sola, se serve ma ben piazzata). A proposito di succhi, siciliani e parole che raccontano interi mondi, c’è un disco, uscito qualche mese fa, nel quale è racchiuso tutto questo. Parlo de “I Siciliani. Vero succo di poesia” firmato da Cettina Donato e Ninni Bruschetta e con il quale viene reso omaggio alla figura di Antonio Caldarella, scrittore, poeta, attore e regista. Il disco, composto da otto brani e tre preludi, cristallizza pièce teatrale “Il mio nome è Caino” di Claudio Fava e portata in scena dai due artisti siciliani dei quali basta scorrere i rispettivi percorsi artistici per capire l’alta levatura di entrambi. Pianista, compositrice e direttrice d’orchestra, Cettina Donato vanta quattro album firmati come leader e una lunga serie di prestigiose collaborazioni internazionali, mentre Ninni Bruschetta è attore (era, fra l’altro, anche nel cast di “Perduto amor”, opera prima alla regia di Franco Battiato), regista e sceneggiatore tra i più affermati del panorama siciliano, e non solo, oltre ad essere stato per due volte direttore artistico dell’Ear Teatro di Messina. Ad accompagnarli in questa avventura sono gli archi della Bim Orchestra e tre eccellenti strumentisti jazz come Dario Cecchini (sassofoni), Dario Rosciglione (contrabbasso) e Mimmo Campanale (batteria). Nel sottotitolo del disco: “Vero succo di poesia” è racchiuso il senso del concept. Come nelle migliori tradizioni poetiche, infatti, c’è un rincorrersi quasi vorticoso di parole, come se la proverbiale poca facondia sicula fosse incomprensibilmente scomparsa. E poi ci sono le storie, che sono quasi come delle matrioske: c’è la storia-cornice, quella di Antonio Caldarella, con le sue parole chiamate a testimoniare per lui, e poi ci sono le storie che Antonio stesso raccontava. Storie d’amore, di morte, di Sicilia. Ad aprire l’album è proprio “I Siciliani”, con una specie di recitar cantando quasi sospettoso di Bruschetta, sostenuto dalla sezione archi e caratterizzato da una gustosa apertura melodica nel ritornello, dinamizzato dal basso. A fare da contraltare a questa prima composizione è “Le Siciliane”, interpretata da Celeste Guagliandolo il cui recitativo è accompagnato dagli eleganti fraseggi del pianoforte che sfociano in una intensa rilettura di “Si maritàu Rosa”. A seguire troviamo “Alcol” (“La storia siamo noi, un vagito, un pianto, un bacio, un panno rosso sul pianoforte chiuso, un destino aperto all’elemosina del cielo, un amore finito e un cinghiale nel bosco, di notte, che cerca una minuscola briciola di sogno”) che si snoda lungo un crescendo - non solo musicale - denso di tensione interpretativa e vitale, commovente nella sua potenza e nelle sue parole. “Preludio n.1” è un morbido ricamo di pianoforte, un momento di distensione strumentale che ci introduce ad “Amico fragile” (“Specchio della tua caduta, urlo del tuo silenzio, guardami negli occhi: sono il tuo amico fragile, di cristallo e di vetro soffiato, quello cui attraverso vedi tutto. L’hai scampata bella avendo un amico fragile come me.”) tornano tinte tendenti al noir, con una profondissima linea di contrabasso, sostenuta da un pianoforte alle ottave basse e contrappuntata dagli strappi della sezione archi e dei fiati. In questo caso, i toni del recitato cambiano, toccando colori più ritmicamente incessanti, ma non per questo meno potenti. Colori languidi, a tratti rarefatti, segnano indelebilmente “Amore segreto” (“Forse non si conosce la notte da cui si viene, c’è sempre qualcosa che sembra altro. Buio e sole parlano per noi, dicon della nostra febbre d’amore, o della calma fredda del non amore”), brano che si muove su atmosfere solitarie, quasi invernali, sottolineate dal timbro caldo di Bruschetta e da un incastro fra contrabasso e rullante spazzolato che ricorda il fruscio delle prime foglie secche sotto il vento settembrino. “Preludio n.2” è, a differenza del primo, giocato su atmosfere più giocose: i fraseggi del pianoforte guizzano briosi, costruendo un raffinato ed arioso divertissement. L’elegante strumentale di “Amuri miu”, sorretto dal pastoso rincorrersi di piano e contrabasso, apre alla coda finale, con Bruschetta che recita la splendida poesia omonima, “Amuri miu beddu, comu ‘a luna ca mi ‘ncanta, beddu comu l’acqua ca mi vagna, beddu comu ‘a terra ca fa ‘u granu. Amuri luntanu, ma vicinu, granni assai, ma macari nicu”. All’insegna dell’eleganza si apre anche “Ninna nanna” con la dolce sezione di archi, ben coadiuvata dai fraseggi del pianoforte e dai voli luminosi del sax, sorretti, a loro volta, dall’instancabile lavoro della sezione ritmica. Per “Vorrei nuotare”, impreziosita da uno struggente pianoforte, probabilmente bastano le sue stesse parole, sicuramente più incisive di tutte quelle che potremmo spenderci intorno, sono pressappoco queste: “Cosa ti chiedo? Null’altro che amare, giungere alla radice del sole, scalare l’albero della vita o calarmi nel pozzo dei desideri in un tempo di oggi e di ieri, in cui sei la luna dei cavalieri, la stella degli avventurieri, il premio agognato, la sconfitta voluta, la guerra finita, la pace assoluta, la parola ritrovata, la pagina girata, la matita tra le dita, la gomma sul banco. Lo so che ti manco, adesso come al primo giorno, in un punto di non ritorno, all’uscita da questa vita, all’ingresso di un teatro in cui non recito più.” A chiudere il lavoro è una ghost track, “Preludio n.3”, che riprende le atmosfere dolcemente commoventi di “Vorrei nuotare”, disegnando trame toccanti e nostalgiche. In conclusione, ci troviamo di fronte ad un disco che, con eleganza e classe sopraffina, rinsalda ancora una volta il legame inscindibile fra musica e poesia, planando perfettamente fra lirismo compositivo e grazia musicale. Come se non bastasse, ogni singola interpretazione di Ninni Bruschetta è una intera lezione di teatro, per come scandisce le parole, per come le modella, per come le rispetta e per come le omaggia. Per l’appunto, “vero succo di poesia”. 


Giuseppe Provenzano

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