BLK JKS – Abantu/Before Humans (Glitterbeat, 2021)

Sono tornati: i sudafricani BLK JKS (Black Jacks) hanno ritrovato il ritmo dei tempi migliori, sia in studio di registrazione, sia dal vivo e sono di nuovo fra i nomi di punta anche nella loro Johannesburg dove apriranno la Fête de la Musique il 18 settembre, insieme a Mandla Mlangeni, Maleh, The Brother Moves On. I BLK JKS si erano imposti all’attenzione generale nel 2010, protagonisti con Alicia Keys del concerto inaugurale della Coppa del mondo di calcio: per Rolling Stone erano “Africa’s best new band”. A Johannesburg, Mpumelelo Mcata (chitarra, ascoltate la sua frecente playlist per Wire) e Lindani Buthelezi (chitarra e voce) avevano cominciato a creare la propria musica una decina di anni prima e avevano dato vita ai BLK JKS nel 2005 con due musicisti di Soweto, Molefi Makananise al basso e Tshepang Ramoba alla batteria. Il successo internazionale era arrivato fra il 2009 e il 2010, grazie ad energici concerti, all’album “After Robots” e agli EP “Mistery” e “Zol!”. Poi anni difficili, l’uscita di Lindani Buthelezi dal gruppo, l’arrivo nel 2014 di Tebogo Seitei alla tromba. Nel 2018 sono tornati a registrare: “The Boy's Doin’It” è una cover di un brano di Hugh Masekela, realizzata come tributo al trombettista, morto a gennaio di quell’anno. Alla registrazione avevano partecipato anche il figlio di Masekela Selema 'Sal' (membro degli Alekesam) ed il nipote Selema. L’anno seguente avevano annunciato il nuovo album pubblicando “Harare”, cui ha partecipato anche Morena Leraba, una scelta mirata per un brano che racconta il punto di vista dei migranti. Morena Leraba viene da Ha-Mojela, distretto di Mafeteng, Lesotho meridionale ed è un pastore e musicista mosotho. La sua musica ed i suoi versi si rifanno ad un genere specifico, il Famo, introdotto in Sudafrica negli anni Venti dai migranti che trovavano lavoro nelle miniere del SudAfrica, filtrati attraverso i registri dell’elettronica, dell’afro-house, dell’hip-hop. In “Harare” si vede ancora una volta costretto a ribadire l’ovvio: “It’s not that we enjoy being here in the city of gold [Johannesburg], trying to make a life for ourselves” (Mica ci divertiamo a star qui nella città dell’oro [Johannesburg], cercando di guadagnarci la vita). La pubblicazione dell’album è stata ritardata da un furto. Per alcuni mesi, BLK JKS avevano eletto a loro studio la fossa d’orchestra del Soweto Theatre. Purtroppo, i master vennero rubati durante una rapina nel teatro. C’è voluto un anno al gruppo per ritrovare le condizioni per potersi riunire in studio e ricominciare da capo: questa volta hanno registrato tutto in tre giorni. L’album li mostra in splendida forma, capaci di mettere a frutto accostamenti fra diversi stili e registri, all’interno di un ampio ventaglio. Si apre con le polifonie corali di “Yela Oh!”, cullati dalla chitarra, cambiando subito passo con “Running — Asibaleki/Sheroes Theme”: incedere energico, riff di chitarra e linee incisive di Tebogo Seitei. Poi arrivano gli ospiti, sempre sostenuti da tappeti ritmici energici ed inventivi. “iQ(w)ira — Machine Learning Vol. 1” vede protagonista la voce e la chitarra zulu del settantenne Madala Kunene, originario di Durban, sgombrato dalla sua casa durante l’apartheid ed emigrato a Johannesburg dove ha suonato con giganti del calibro di Masekela e Busi Mhlongo. “Maiga Mali Mansa Musa” rinnova la collaborazione con le chitarre e la voce del maliano Vieux Farka Touré, accanto alle tastiere di Money Mark. “Yoyo! — The Mandela Effect/Black Aurora Cusp Druids Ascending” e la conclusiva “Mmao Wa Tseba – Nare/Indaba My Children” condividono lo stesso ritmo iniziale, funky e rilassato allo stesso tempo, ma solo fino ad un certo punto: in particolare quando con “Black Aurora Cusp Druids Ascending” decidono di prendere il largo stendendo un tappeto denso ed incalzante su cui le linee liriche ed appassionate della tromba di Tebogo Seitei si distendono per incontrare le ulceranti sirene urbane prodotte dalla chitarra di Mpumelelo Mcata. I quasi dieci minuti finali lasciano gli strumenti in sottofondo e vanno a cercare l’“umano” in variegate e toccanti tessiture vocali collettive; poi una pausa e dal silenzio un vento robusto che porta le voci e i jingle dei giocattoli elettronici dei bambini, ennesima esplorazione che prova ad amplificare lo spazio e a dar respiro ad un profondo desiderio di libertà. 


Alessio Surian

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