Chris Murphy – Sovereign (Friendly Folk Records, 2021)

Oltre a essere un musicista molto richiesto, che può vantare collaborazioni con numerosi artisti del panorama folk soprattutto americano, Chris Murphy – violinista, ma anche polistrumentista, cantante e compositore – ha alle spalle una lunga discografia, che lo pone tra i migliori rappresentanti dello scenario musicale del folk-bluegrass. E non solo. È sufficiente una scorsa veloce al catalogo della sua storica casa discografica – la Thehouse Records di Los Angeles – per comprendere quanto sia profonda la sua dedizione per la musica, quanto sia prolifica la sua produzione e come riesca, con una piacevole spontaneità, a percorrere ogni genere musicale: “none of my albums are the same style. I am an independent multi-genre musician and I do not limit myself to just one style”. Con questa premessa, la sua discografia spazia dal country rock alla world music, dalla musica ambient (composizioni per violino elettrico, colonne sonore ecc.) al bluegrass, dal jazz alla musica celtica. Insomma c’è molto da ascoltare e molto da scoprire. Soprattutto in questo nuovo progetto, intitolato “Sovereign” e composto come un crocevia, un punto di contatto tra le passioni di un musicista prolifico e instancabile. Che per l’occasione ha chiamato a raccolta decine di strumentisti, insieme ai quali ha dato forma e sapore ai tredici brani che compongono questa scaletta straordinaria. La scena in cui ci inoltriamo è definita in prima battuta da suoni acustici, e riporta noi ascoltatori al nucleo denso di un folk internazionale dal quale si irradiano melodie grandiose, liriche sognanti, suoni morbidi, semplici e perfetti. La voce di Murphy ricalca una tradizione narrativa legata alla descrizione, ispirata da uno sguardo rivolto fuori e dentro: ascoltando lo scorrere dei brani si ha la sensazione di attraversare grandi spazi. Ma, allo stesso tempo, riusciamo a ricondurre quella sensazione a una contemplazione necessaria, a una riflessione su cui dovrà inevitabilmente poggiare l’intera trama del racconto. Questo approccio abbraccia anche alcune formule tradizionali molto efficaci, che emergono pur dentro una scrittura originale, in cui è innegabile la libertà espressiva che Murphy ha voluto dare all’album. Tra le formule più efficaci – che, in un certo senso, ci si aspetta e che tratteggiano il profilo di un racconto che diviene, man mano, multiforme e mai uguale a sé stesso – vi è l’utilizzo del violino, che primeggia tra le tante corde presenti in “Sovereign”, ma anche una voce (appunto) narrante. Vale a dire una voce che, nella misura in cui aggancia melodie forti, precise, determinanti, ha come primo scopo l’evocazione, la descrizione: riportare, cioè, da un lato il canto e le immagini richiamate da questo al presente e, dall’altro, rendere con più concretezza il passato e la sua grammatica, la sua lingua. Questo processo trova spesso espressione in un canto più corale (“Boxed In”) e nell’utilizzo di strumenti che hanno connotato, sul piano timbrico, molte tradizioni musicali – come mandolino, chitarre, accordion, flauto, whistle, banjo – o che ne rappresentano, rendendole riconoscibili in modo inconfutabile, altre. Quest’ultimo è il caso della title-track, interamente costruita intorno alle uillean pipes di Cillian Vallely dei Lùnasa (il quale, sia ricordato tra parentesi, è presente anche in “High Hopes” di Springsteen). In generale, si può quindi concordare con le parole dello stesso Murphy, laddove sottolinea di non vincolarsi ai generi ma, al contrario, di trasportare la sua musica oltre ogni barriera formale. Aggiungendo però – per amore di completezza – che quando la vena compositiva è così forte, e le esecuzioni così fluide e ispirate, il richiamo della categoria stessa di genere musicale perde molto del suo valore. Cioè sembra quasi che ci si sfaldi tra le mani, a favore di un trasporto totale. Come nel caso di “Sovereign”, tutto viene assorbito dalla musica e dal suono. E nulla o poco rimane, per fortuna, alle interpretazioni e alle connessioni formali. Ci sono almeno un paio di brani che assecondano questo processo liberatorio, diversissimi ma efficacissimi: “Pear Blossom” e “Wind in My Eye”.


Daniele Cestellini

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