Anna Tam – Anchoress (Tam Records, 2021)

La scaletta di “Anchoress”, album di debutto da solista della cantante e polistrumentista Anna Tam, comprende tredici ballate tradizionali di area britannica e irlandese, anche molto familiari per chi frequenta il folk di quelle terre, e due strumentali scritti dalla trentottenne musicista londinese con solida formazione musicale e teatrale alle spalle. Niente di nuovo, direte. Invece, no, perché “Anchoress” è un lavoro sorprendente per via della educata voce da soprano, limpida e cristallina di Anna, per la sua propensione allo storytelling, per l’originalità dei cordofoni con cui sceglie di accompagnarsi: nyckelharpa, viola da gamba, violoncello e ghironda. Già membro della corale di musica antica Medieval Bæbes e della folk band Wilde Roses (con cui ha inciso “Wilde Roses” e “Woven”), nel 2014 Anna ha raccolto repertori classici in “With Love…” in coppia con il pianista Jonathan Musgrave. Nel 2020, poi, è stata selezionata come “strumentista dell’anno” dal periodico online “Fatea Magazine”. Per questo esordio a suo nome, l’artista ha selezionato i materiali nel corso del confinamento pandemico: “Nell’anno di isolamento mi sono sentita così fortunata da poter raggiungere dalla mia barca attraverso la musica folk: come una eremita attraverso la finestra della sua cella. Queste sono alcune delle canzoni e delle melodie – molte delle quali esplorano l’isolamento nelle sue diverse forme: abbandono, perdita, ecc. – che mi hanno tenuto compagnia, condiviso le mie pene, ispirato molta gioia e collegato a una meravigliosa comunità”. Anna parla di barca, perché un’altra sua significativa singolarità è che la sua casa è una bella barca ancorata in un canale appena fuori Londra, una dimora galleggiante che è in un certo senso anche il suo studio di registrazione, dal quale produce il suo programma “Folk on the Boat”, raggiungibile via sito web (www.annatam.co.uk) oppure sul suo canale youtube. Si spiegano così anche il titolo dell’album, che gioca sulla parola che significa “Anacoreta” ma che nella prima parte è l’“Àncora”, l'immagine di copertina e le foto del booklet, contenente anche note e testi delle canzoni, che la ritraggono in contesti marinari. Dietro questo programma di brani, c’è naturalmente un certosino lavoro di ricerca d’archivio sui repertori che più assecondano i suoi interessi e il suo stile su cui la musicista interviene per tessere gli arrangiamenti, dosando variazioni e ornamentazioni. Nell’album Tam suona quasi totalmente in solo, a eccezione di due brani in cui intervengono suo padre, il jazzista Roy Chilton al banjo e Geoffrey Irwin al violino. Inizio sublime con la prima canzone, “Jenny Nettles”, per voce e ghironda, un motivo che ci trasporta in Scozia: è la storia tragica di una ragazza suicida perché abbandonata dopo essere stata messa incinta da un soldato del condottiero Rob Roy. La nyckelharpa accompagna il canto vivace in “Tarry Trousers”, dove una madre mette in guardia la figlia dall’innamorarsi di marinaio, mentre la viola da gamba si prende lo spazio da protagonista in “Whittingham Fair”, una variante del Northumberland della famosa “Scarborough Fair”. Si entra nel mondo ultraterreno con la celebre “The Unquiet Grave”, il cui testo proviene dalla versione raccolta nel 1868, cantata da una ragazza del Sussex, mentre di un paio di decenni più avanti è la melodia conosciuta da J. Woodrich, di professione fabbro. Interessante il fatto che sia le liriche che la melodia sono state raccolte da due donne. “Mi piace come questo tenero dialogo mescola l’aspetto soprannaturale della visita spettrale con i suoi consigli pragmatici, e come lo spirito incoraggia la sua innamorata a liberarsi dal lutto e a vivere”, racconta Tam, che si accompagna alla nyckelharpa sfregata con l’archetto e pizzicata. Si torna in Scozia per il classico “Braes of Balquhidder”, su testo del poeta Robert Tannahill (1774–1810), eseguito con voce e viola da gamba: uno tra i temi vincenti del disco. Lo spettro timbrico si allarga nella settecentesca “Elsie Marley” (voce, nyckelharpa, percussion e banjo), che increspa e muove le acque di “Anchoress”, che, a dirla tutta, per qualche ascoltatore potrebbero sembrare un po’ troppo calme per l’approccio stilistico classicheggiante di Anna. “Arrane Saveenagh” è stata documentata dalla voce di una cantatrice mannese intorno agli anni Venti del secolo scorso, la coeva versione inglese che viene proposta è stata tradotta da Alfred Perceval Graves (contenuta nel suo volume “The Celtic Song Book”). A un altro standard folk largamente consigliato: “If I Were a Blackbird”, segue “Fairy Boat Hornpipe”, un tema per solo violoncello scritto dalla stessa Tam, che qui mette bene a frutto le sue doti compositive. Nitidezza vocale appoggiata alla nyckelharpa in “Fear A’ Bháta (The Boatman)”, altra ben conosciuta canzone gaelica di Scozia, scritta nel XVIII secolo dalla maestra Sìne NicFhionnlaigh per il suo amato Dòmhnall MacRath, di professione pescatore. Oltre il mare, si raggiunge l’Irlanda con “I Know My Love”, ma soprattutto con il classicone “She Moved Through The Fair”, eseguita magistralmente a cappella. Rientra la viola a chiave in “Let No Man Steal Your Thyme”, che pare sia la prima canzone raccolta dal folklorista e musicista Cecil Sharp, e in “Blue Bleezin’ Blind Drunk” , proveniente dal repertorio di Sheila e Belle Stewart, figlia e madre, rinomate cantanti tradizionali scozzesi, appartenenti alla comunità dei Travellers: un altro episodio di punta dell’album, che è chiuso da “The Goblet”, di nuovo una melodia danzante composta da Tam per violino (suonato da Geoffrey Irwin) e nyckelharpa. “Anchoress” è il risultato di piacevoli intuizioni di una interprete e autrice credibile nel combinare timbro vocale e strumentale. Per me una genuina scoperta: che lo sia anche per voi. 


Ciro De Rosa

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