Angrusori – Live at Tou (Hudson Records, 2021)

Angrusori (Anello o Circolo) raccoglie l’incontro, iniziato nel 2016, tra il compositore e organista norvegese Nils Henrik Asheim, leader della Kitchen Orchestra, la celebre violinista avant-garde ceca (con origini magiare e rom) Iva Bittová e un ensemble di musicisti Rom slovacchi. Denominato in origine Phuterdo Øre (Orecchio Aperto), il progetto ha assunto il nuovo nome, Angrusori, proprio dal titolo di una canzone Rom slovacca, che metaforicamente indica la parità e l’uguaglianza tra tutti i componenti nella realizzazione dell’album registrato in una studio con approccio tipicamente live e in un centro culturale (il Tou di Stavanger in Norvegia) nell’aprile del 2017 e pubblicato dalla label britannica Hudson Records (www.hudsonrecords.co.uk). Le undici tracce selezionate provengono dalla lunga esperienza di ricerca sul campo sui repertori romanes della Slovacchia da parte di Jana Belišová (accademica con studi di etnologia e musicologia alla spalle), si tratta di un corpus di materiali del tutto sconosciuti fuori dai confini del paese slavo. Superficialmente si potrebbe pensare al semplicistico incrociarsi di corde, fiati e archetti tra ruspanti musici popolari e gadje sperimentatori contemporanei, invece le cose stanno un po’ diversamente, perché tre dei cinque musicisti Rom sono fior di professionisti: un professore d’orchestra (il violoncellista Roman Harvan), un violinista (Patrik Žiga) e un chitarrista (Peter Mižigar) con alle spalle studi in conservatorio, mentre gli altri due sono musicisti di estrazione tradizionale (la chitarra e la voce di Jozef Dreveňak e la voce di Marcela Dreveňáková). I membri della Kitchen Orchestra sono, invece, Stine Janvin Motland (voce), Gjertrud Økland (violino), Petter Frost Fadnes (sassofoni), Johan Egdetveit (fisarmonica) e Ståle Birkeland (batteria e percussioni). Un mescolanza inedita di estro artistico, orchestrazione ed improvvisazione che funziona, presentando storie che parlano di un’Europa altra: segregazione sociale, povertà, malattia, perdite ma anche amore, gelosia e sentimentalismo, senso di comunità e resilienza (qui questa abusata categoria ci sta tutta!). Fioccano gli armonici di sax nell’attacco dell’iniziale “Sar me khere džava”, una canzone sugli effetti di una sbornia a base di whisky.. A tempo di tango, “Pre ada baro svetos” si interroga sul sentimento di sradicamento (“In questo mondo enorme/Non ho un posto dove andare”), mentre procede misurato, nello stile di canto hallgató, “Bo sloboda, bo sloboda”, che si sviluppa su fini tessiture di chitarra e di archi pensosi. La sottile voce femminile di Marcela Dreveňáková intona “Paš o pani bešav”, bellamente punteggiata dal pizzicato del violino. Il violoncello impone l’andatura in “Chude man vastetar”, in cui il protagonista della canzone, che è ammalato, si rivolge alla madre certo della sua prossima dipartita, ma lei incita il suo “core de mamma” a continuare vivere empaticamente (“Batti, batti, batti cuore mio e tuo”) e l’austero incedere si trasforma in una baldanzosa danza. In “Oda kalo čirikloro” due voci armonizzano malinconiche sul canto di un merlo. “Nadur le romendar o cintiris” è un emozionante valzer in minore. Si distingue “Rodav me miro drom”, dove irrompe più marcato il senso di interazione del progetto (è uno dei temi la cui musica è stata composta da Bittová) con un canto potente, stridente e accorato, quasi declamato, in apertura, su cui si innestano improvvisazioni vocali e strumentali (sax e percussioni, soprattutto). Così è anche nella confluenza tra l’improvvisazione percussiva e il lirismo di “Te me gel'om andre karčma”, segnata dai profumi di una chitarra acustica gipsy-jazz, linee di fisarmonica e di violino. Segue “Te me gel’om tele šuki virba”, aperta dalla voce solista a cui risponde il sax, che poi si sviluppa acquisendo un andamento swing tra battito di mani e scampanellii. Commiato in levare con la corale, ironica, genuina e scombinata “Joj, So Kerava”, in cui cantano: “Cosa faro? L’inverno sta arrivando, cosa mi succederà? La mia ragazza non mi vuole. E nemmeno la mia bella moglie”. Il brano finisce e seguono acclamazioni e applausi per questa manifestazione di insolito, partecipato ed esuberante ibrido che produce un gran bell’ascolto. 


Ciro De Rosa

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