Trú – No Fixed Abode (Swallow Song Records, 2021)

Per parlare del disco d’esordio del trio nord-irlandese Trú iniziamo dall’inusuale artwork che riproduce una xilografia di Utagawa Kunisada, disegnatore giapponese del periodo Edo, nella quale un attore, Iwai Hanshirō, interpreta una figura femminile abbigliata da monaco. Sono anni che i tre musicisti sono coinvolti in progetti che esplorano le relazioni tra cultura irlandese e nipponica. Difatti, questo non è l’unico riferimento dell’album al Sol Levante, considerato che “The Woodsman”, uno dei brani di punta del lavoro, trae ispirazione dai racconti su Yuki-Onna, spirito della neve del folklore giapponese che può ricordare analoghe figure fatate dell’immaginario popolare irlandese. Però, l’appeal dei Trú per l’otherworld non finisce qui, perché lo stesso nome della band deriva da quello di un trio di mitici poeti-musicisti riveriti nell’antico Ulster. Le loro canzoni e storie secondo alcuni arrivavano dal futuro, mentre altri, che credevano che durante le loro performance i poeti-musici fossero posseduti, erano considerati sorta di guardiani del mondo degli spiriti. L’attitudine allo storytelling è l’approccio privilegiato nel loro “No Fixed Abode” (“Senza Fissa Dimora”), album definito “assolutamente meraviglioso” da Moya Brennan dei Clannad e “potente ed emozionante” dall’amato folk singer Tommy Sands, solo per menzionare due pilastri della musica d’Irlanda. In tal senso, sul sito della band si possono ascoltare dei podcast (www.tru-music.com, TRUcast) che raccontano le motivazioni e le fonti che sono dietro le canzoni dell’album. Ma andiamo per ordine: i Trú sono il polistrumentista, arrangiatore e produttore Michael Mormecha (voce e un essenziale drum kit), il chitarrista e cantante Zach Trouton (voce e chitarra) e il cantante e flautista Dónal Kearney (flauto irlandese e whistle). L’ultimo dei tre è cresciuto all’interno della tradizione musicale di lingua irlandese, mentre gli altri musicisti hanno rispettivamente origini ulster-scozzese e britannico-ucraina. 
I primi due sono cresciuti nella stessa cittadina, Lisburn, da vicini di casa, mentre Kearney ha incontrato Trouton nel gruppo corale Anúna. “No Fixed Abode” ha un suono minimale, molto contemporaneo, caratterizzato da un forte senso melodico, screziature prog e un piglio rock che ampliano il dominio folk. Ad aprire l’album è la bilingue (inglese e gaelico scozzese) “Newry Boat Song”, lamento di una ragazza delle Ebridi per il promesso sposo che andato per mare ha incontrato un’altra donna e l’ha sposata. La canzone è costruita su belle armonizzazioni vocali, arpeggi di chitarra, flauto ed incisive percussioni. Segue la celebre “Dúlamán” (“Alghe”), dominata dallo strumming della chitarra e ancora dall’incrociarsi delle voci. Nel XVIII secolo, i venditori di alghe raccoglievano il dulse (alga rossa) nei villaggi di pescatori. Conosciuti come gli uomini delle alghe (na dúlamáin), portavano la loro merce ai mercati di Belfast e Newry, dove tenevano d’occhio i contadini locali che potevano acquistare le loro merci, ma anche le figlie dei contadini. Non era insolito per un mercante far intendere ai contadini locali che se non avessero acquistato la loro mercanzia sarebbero fuggiti con la loro figlia… Altrettanto nota è “The Blacksmith”, folk song ascoltata in magistrali versioni, nonché la prima canzone tutta in inglese del disco; con un riuscito uso del delay e dei riverberi è scura e “industriale” nella sua ambientazione: il fabbro nel folklore è sempre stato un mediatore tra mondi e una figura maligna, considerata la sua capacità di manipolare il fuoco e i metalli. 
La successiva “Ar a Dhul Go Báile Átha Cliath Domh” è un tradizionale che racconta di una giovane (forse un essere sovrannaturale) che cerca di sedure il marito di una donna malata mentre costui è in viaggio verso Dublino. Magistralmente elaborata per i cambi di tempo e per la tensione sempre viva è “Jenny Black’s Hill”, una song originale e rockeggiante che narra di una famosa strega di Warrenpoint, il cui punto di vista è assunto nella canzone. “County Down” è la cover del classicone di Tommy Sands (nonché il loro primo singolo e video). Di nuovo un tradizionale irlandese, “Bonny Portmore”, una delle canzoni più antiche in scaletta, che Zach ha appreso da un disco di Bert Jansch (“Ornament Tree”), un lamento per la scomparsa delle vecchie foreste di quercia, in particolare la Grande Quercia di Portmore caduta a causa di una tempesta di vento nel 1760, il cui legname venne usato per costruire navi. Armonie vocali trionfanti in “The Woodsman”, il pezzo associato alla loro fascinazione per la cultura folklorica nipponica e la cui ispirazione proviene dal film horror di Mazaki Kobayashi “Kaidan” (1965), basato sui racconti fantastici di Lafacdio Hearn, autore irlandese naturalizzato giapponese (era conosciuto come Koizumi Yakumo). Il tema procede delicato sulle corde della chitarra acustica e della set di batteria minimale, per poi svilupparsi in un crescendo ritmico e nelle sempre superbe armonizzazioni canore. 
Una chitarra elettrica segna la murder ballad “The Ballad Of Ellie Hanley/An Cailín Bán”, la storia di una quindicenne vittima di un femminicidio nell’Irlanda ottocentesca: un ricordo delle troppe morti di ieri ma anche un monito per quel che accade ancora oggi (qui una versione acustica della ballad). Invece, il flauto colora “Gaol Ise, Gaol Í”, waulking song scozzese, in cui di nuovo le armonie vocali e una sequenza di canto armonico (che fa da bordone) del trio vanno a pieno regime. Segue “Rebel Song”, un “patchwork”, come lo definiscono i musicisti: la rilettura contemporanea di “The Patriot Game” di Behan (a sua volta basato sulla melodia tradizionale “The Merry Month of May” o “The Nightingale”) che, arrivata via Clancy Brother, assume la fisionomia della dylaniana “With God on Our Side”. I Trú hanno aggiunto una nuova strofa corale che attinge a “Easter 1916” di W.B. Yeats. Il finale lo porta “Ay Waukin O”, una canzone tradizionale resa popolare da Robert Burns, qui resa in una magnetica versione a cappella (godetevela in questo video live). I Trú sono soliti chiudere le proprie performance con questa canzone come bis. “No Fixed Abode” rivela un trio che ben si pone sulla scia di artisti come Lankum, Lisa O’Neill, Ye Vagabonds o Dani Larkin, che stanno rinnovando le vie dei canti d’Irlanda. 


Ciro De Rosa

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