Vossa – Vossa (Tip Off Records, 2020)
Il progetto Vossa (che in portoghese vuol dire “vostra”) nasce dall’incontro tra Gaetano Dragotta, compositore e produttore di musica elettronica, e Sergio Beercock, cantante e polistrumentista inglese ma di madre siciliana, i quali hanno unito le forze per dare vita ad un percorso di ricerca sonoro condiviso, volto ad intersecare le sonorità del Mediterraneo con l’elettronica. Dopo aver rodato sul palco il loro sodalizio artistico, il duo ha dato alle stampe il disco di debutto omonimo che mette in fila otto brani originali dalle solide architetture sonore in cui le percussioni africane incontrano synth e beat elettronici dando vita a suggestive intersezioni tra poliritmie, atmosfere industrial e techno-minimal. L’ascolto è un’immersione in un universo denso di fascino in cui convivono mondi sonori solo in apparenza diversi ma, in realtà, accomunati da tratti sorprendentemente affini. La voce dalle tinte soul di Beercock ci conduce attraverso le articolate costruzioni ritmiche di Dragotta, schiudendoci le porte alle evocazioni afro dell’iniziale “Change” per toccare gli ipnotici echi di musica indiana in “Bengala” e le evocazioni oniriche di “Cima”. Le increspature elettroniche e i vortici ritmici di “Accamoura” ci schiudono le porte alla intensa “Sail” in cui le ritmiche si placano per lasciare spazio al lirismo che appartiene al mare, e poi “Bastard” in cui le voci di Dragotta e Beercock si intrecciano incorniciate dai poliritmi afro. Le brillanti “Nisba” e “Andino” chiudono un’ottima opera prima il cui ascolto non tradirà le aspettative dei più curiosi.
ZeroMantra – La distanza di un semitono (Storie di Note/Egea, 2021)
Nati nel 2014 dall’incontro, durante la frequenza del corso di laurea in popular music presso il Conservatorio “Bomporti” di Trento, tra Matteo Abatti (chitarra e voce), Andrea Dionisi (batteria), Manuel Castellini (chitarra elettrica) e Matteo Valle (basso), gli ZeroMantra giungono al loro disco di debutto con “La distanza di un semitono”, album nato a corollario di un intenso percorso, fatto di lunghe ore di prove e tanti concerti, e costellato dalle partecipazioni a due edizioni del concorso Nazionale delle Arti che li ha visti mettere in bacheca il Premio Abbado e il Premio Pino Daniele. Composto da nove brani originali, composti dal front-man Matteo Abatti, il disco interseca i rispettivi background artistici dei quattro componenti del gruppo e presenta un sound dal taglio cantautorale nel quale convergono pop e rock internazionale, a cui si aggiungono testi di impronta riflessiva in cui si canta di nostalgia, desiderio di riscatto e dell’importanza di cogliere il senso profondo della vita. L’ascolto si dipana dalla solare melodia de “La scala dei colori” al ritmo trascinante de “La Storia di Emy” per toccare il pop di “Soprannaturale”. La voce del regista Silvano Agosti ne “Un saluto dalla Kirghisia” ci introduce alla sequenza con “La tua storia” e la title-track che rappresentano il vertice compositivo del disco. Si prosegue con le storia d’amore di “In tutto questo” e “Due passi per Firenze” per giungere alla riflessiva “Decidendo” sui dubbi che spesso finiscono per bloccarci per paura di sbagliare. La ballata romantica “Nel nostro giardino” chiude un album di debutto interessante e non privo di belle intuizioni melodiche.
OTEME – Un saluto alle nuvole (Ma.Ra.Cash Records | Self Distribuzione, 2020)
“A OTEME non interessavano l'aspetto socio-politico, nè quello ideologico, nè quello rituale e celebrativo della morte: ci interessava l'aspetto umano, della consapevolezza, di come chi lavora con la morte ogni giorno reagisce ad essa. Ho a che fare con quest'ultimo tema quotidianamente poiché mia moglie lavora come OSS all'Hospice di San Cataldo a Maggiano, il piccolo paese in provincia di Lucca reso celebre da Mario Tobino. Personalmente mi interessava anche essere il più esterno possibile, se mai sia possibile, e concentrarmi essenzialmente sui testi dei degenti, senza dare punti di vista marcatamente miei. In altre parole forse parlerei, accanto all'aspetto umano, di quello antropologico”. Così il compositore lucchese Stefano Giannotti ci introduce a “Un saluto alle nuvole”, quarto album di OTEME - Osservatorio delle Terre Emerse, originale ensemble a geometrie variabili composto da undici strumentisti, da lungo tempo attivi nell’intersecare materiali popolari e colti con un affabulativo approccio narrativo. I primi passi per la realizzazione di questo nuovo progetto risalgono al 2012 in occasione della realizzazione del cortometraggio omonimo, commissionato a Giannotti dall'Hospice di San Cataldo, successivamente evolutosi in un concerto teatrale. La fortunata esperienza dal vivo è cristallizzata nei dieci brani del disco, un concept album sul tema della morte nel quale la canzone d’autore viene declinata in chiave moderna tra musica colta, jazz, rock e sperimentazioni con l’elettronica. Commuovono i testi in cui viene data voce ai medici, agli operatori socio-sanitari e ai familiari dei pazienti che vivono gli ultimi giorni della loro esistenza negli hospice. Giannotti guida l’ensemble in modo impeccabile orchestrando ogni brano con grande cura per le strutture melodiche in cui fiati e arpa dialogano con il pianoforte di Emanuela Lari e l’arpa di Valentina Cinquini. Aperto dalle suggestioni contemporanee di “Chiudere quella porta” nelle cui strutture compositive troviamo echi di Luigi Nono e György Ligeti, il disco entra nel vivo con le toccanti “E c’è qualcuno” e “Un ricordo bello” per trovare uno dei suoi vertici in “Dieci Giorni” che dal punto di vista sonoro rimanda al prog sperimentale dei Soft Machine. Se “Gli Angeli Di San Cataldo (Bolero Quarto)” spicca per la partecipazione di Blaine L. Reininger dei Tuxedomoon al violino, la successiva “Quanto arriva la sera” è la traccia più sperimentale intrecciando teatro e musica contemporanea. La lunga e splendida suite “Turni” intreccia Canterbury sound e Frank Zappa e ci introduce a “Una mamma disperata” in cui si stagliano le dissonanze del pianoforte della Lari. Chiudono il disco lo strumentale “Per i giorni a venire” e l’eterea title-track, un’elegia intensissima in cui protagonisi sono l’arpa e l’organo suonato da Giannetti. “Un saluto alle nuvole è un lavoro di grande spessore non solo musicale ma anche sociale e culturale.
I Salici – The Eyes of the Unconscious Riot (Lizard Records, 2020)
Attivi dal 2007, I Salici sono una interessante band psyc-folk friulana che sin dai primi passi mossi con il debutto “Nowhere Better Than This Place Somewhere Better Than This Place” si è segnalata per originalità della cifra stilistica, e per la capacità di indagare il rapporto tra uomo e natura, a cui hanno dedicato anche il festival Land Art AESON che si tiene annualmente nella Riserva Natura della Foce dell’Isonzo. A distanza di quattro anni dal loro secondo album “Sowing Light”, il gruppo torna con “The Eyes of the Unconscious Riot” album nel quale hanno raccolto nove brani originali che proseguono l’indagine sul rapporto tra uomo e ambiente, facendo emergere la necessità di recuperare il contatto con gli elementi naturali che ci consentono di ri-connetterci con immagini archetipiche e cosmogoniche. Dal punto di vista prettamente sonoro il disco spazia dal prog-rock al folk inglese, il tutto permeato da evocative atmosfere cinematografiche che esaltano le liriche dei testi. Aperto dal malinconico arpeggio jazzy di “Losted One”, l’album si dipana tra il rock dai tratti western di “Orange” e il country-rock di “Elapsed Steam” per toccare il folk-noir di “Awakened Needs” in cui viene evocata l’esistenza dell’acqua del fiume dalla fonte fino a diventare vapore. Se “On The Wood” racconta le ombre della foresta in un contesto sonoro che rimanda ai film spaghetti western di Sergio Leone, la successiva “Nos Pifan” è una ballad psych-folk in cui si canta dell’evoluzione dell’animo in relazione all’alternarsi delle stagioni. La contrapposizione dei contrari di “Seed of the Nuon” ci accompagna verso il finale con il vento protagonista di “Arguments for the wind” e il folk di “The Animals Are Watching”. Insomma, non resta che immergervi nell’ascolto di questo disco per cogliere il talento dei Salici nel pieno della loro maturità artistica. Il disco è stato pubblicato anche in serie limitate in vinile verde color Isonzo.
Alberto “Caramella” Foà – Basta unire i puntini (Engine Records, 2021)
Noto per l’eclettismo che lo ha portato a spaziare tra l’attività di giornalista, manager in ambito artistico, nonché di sceneggiatore ed autore, Alberto “Caramella” Foà giunge al suo debutto discografico con “Basta unire i puntini”, album nato, durante il lockdown dello scorso anno, con la complicità del chitarrista e produttore Massimo Germini (chitarra, basso, armonica, charango e mandolino) ed impreziosito dalla partecipazione di diversi amici come ospiti. Composto da quattordici brani più una ghost track che, nel loro insieme, raccontano le diverse emozioni che la vita può riservare, il disco si apre con il country-rock del singolo “Dimentica le mie canzoni” a cui Foà affida le sue riflessioni sugli amori che non finiscono mai, e “Nocciola (il colore degli occhi)”, dedicata ai due grandi amori per una donna e una cavalla, ma anche alla bellezza della sua Fermo. Si prosegue con la crepuscolare “L’anima” in cui spiccnao le percussioni di Cava e la chitarra di Germini, e con l’ironica “Mi sono dato all’ippica (e al ciclismo)” in cui Foà duetta con Riccardo “Il Magro” Magrini. Il cuore del disco è racchiuso nella sequenza con “Il mio cane”, “Non c’è bisogno del testo” e “Chiamami aquila” che culmina nella gustosa “Come le onde del mare” in cui brilla il contrabbasso di Spinetti e il violino della Apollonio. Nella seconda parte il disco si fa più riflessivo con “La strada che attraversa il bosco”, “I ricordi (come il cielo)” in cui fa capolino la voce di Bobo Craxi e “Il tempo è un imbroglio” cantata in duetto con Manu Ley. L’autoritratto “La parte migliore di me” ci accompagna verso il finale con la canzone d’amore “Volevo dirtelo adesso” cantata da Massimo Germini e la title-track ma c’è ancora tempo per la bonus track “Pry” in cui ritorna l’amore per i cavalli e che vede la partecipazione di Lele Battista.
Mauto – Il tempo migliore - Acustico (Eea Music, 2021)
Pianista, fisarmonicista e cantautore con alle spalle una solida esperienza artistica, Mauto lo scorso anno ha dato alle stampe il suo secondo album “Il tempo migliore” e a breve distanza lo ritroviamo con la versione acustica di quest’ultimo a completare un curioso progetto artistico. Due dischi gemelli, dunque, che rappresentano le due facce della medesima anima artistica e nel contempo lasciano trasparire suggestioni diverse. L’ascolto della versione acustica, infatti, ci riporta alla struttura originaria dei brani, facendo risaltare maggiormente l’aspetto cantautorale come nel caso dell’iniziale “Al di là”, “Déjà-vu” e “Che cosa sono le nuvole” ma soprattutto del tagliente ritratto della nostra nazione de “L’Itaglia (Aida s’è persa)”. La vera perla del disco è, però, “Nero bianco e blu” su testo inedito di Piero Ciampi e proposta in due versioni, la prima in solo e la seconda in duetto con l’attrice Miranda Martino a cui il cantautore livornese, molti anni fa, aveva regalato proprio quella poesia.
RæstaVinvE – Biancalancia (Vinve Multimedia/Artist First, 2021)
Animati dall’idea di coniugare l’alt-rock di Radiohead, Elliott Smith, Grizzly Bear con il cantautorato pop italiano, il medico, cantautore e polistrumentista Stefano Resta (Ræsta), e il cantautore e produttore Vincenzo Vescera (Vinvè), hanno unito le forze per dar vita al progetto RæstaVinvE e, dopo un periodo dedicato ad affinare il sodalizio artistico e alla scrittura, giungono al debutto con “Biancalancia”. Composto da dieci brani originali, incisi presso Gli Artigiani Studio con la supervisione di Maurizio Loffredo, l’album ruota intorno a temi introspettivi e riflessioni sulla vita, mettendo in luce il bisogno che spesso si ha di ritornare a sé stessi. Dal punto di vista musicale, nella cifra pop del duo, convergono sonorità diversificate che vanno dall’elettronica alla world music, impreziosendo il tutto con una particolare cura per la melodia. Si spazia così dal rock beatlesiano di “Samurai” al ritratto di Roma affidato a “Terrazze”, dall’electro-pop di “Rien ne va plus” con il featuring della cantautrice francese Clio alla melodia leggera della title-track. Non mancano ulteriori sorprese con la città eterna che ritorna nell’enigmatica “Roma non conosci le chiavi” con la partecipazione di Daniele Sinigallia alla chitarra e di Ivo Parlati alla batteria, il rock di “Senza cuore” nasce dalla collaborazione con Francesco di Bella e la sinuosa “Tequila”. Il pop-rock di “Non sono nato ieri”, lo slowcore “Verdiana” e la riflessiva “Adesso tutto è cambiato” completano una interessante opera prima.
Vea – Sei chi non sei (Metatron/Artist First, 2021)
Cantautrice torinese di belle speranze, Vea al secolo Valeria Angelotti giunge al debutto discografico con “Sei chi non sei” album che segue la pubblicazione nel 2018 dell’Ep autoprodotto “Posto Fisso”. Proprio rispetto quest’ultimo che vibrava di rabbia ed insofferenza, questo nuovo album la vede alle prese con nove brani dal taglio meno aggressivo, ma piuttosto caratterizzati da un approccio al rock più raffinato nell’impostazione e negli arrangiamenti, realizzati con la collaborazione del giovane producer Lillo Dadone. L’ascolto ci consegna nove brani dal sound pop-rock melodico che compongono altrettante tappe di un viaggio nell’interiorità, nei sentimenti e nelle sofferenze personali e dell’umanità. Si spazia, così, dal ritmo trascinante della title-track che apre il disco, alla canzone d’amore “Insegnami”, dal electro-pop de “Le quattro mura” al crescendo di “Il cielo di Cola Pesce” per toccare i ricordi dell’adolescenza di “A di Anarchia”, la riflessiva “Guai” e la trascinante “L’esatta combinazione”, brano tra i più riusciti del disco. Le conclusive “Non esisti” ed “Esplosa” non invertono la tendenza sonora procedendo sicure su sentieri pop.
Ysé – Pezzi (San Luca Sound, 2021)
“Pezzi” è questo il titolo dell’Ep di debutto della cantautrice bolognese Francesca Madeo, in arte Ysé nel quale ha raccolto sei brani di cui quattro inediti e due riletture, che documentano i primi passi del suo percorso artistico. Se dal punto di vista lirico i testi intrecciano inglese, francese e italiano, da quello prettamente musicale l’album si caratterizza per un sound di impronta pop-rock nel quale fanno capolino echi di R&B e trap. Si parte con il crescendo rock del singolo “Waiting for me”, per giungere alle intersezioni tra pop e chanson francese di “Due stelle in mezzo all’universo” e di “Re e Regine (des erreurs)”. Si prosegue con le atmosfere folk-pop di “A folk song” che fa da preludio alle interessanti riletture di “Rapide” di Mahmood e “Strangers” della cantautrice norvegese Sigrid che chiude il disco. Un buon primo passo, insomma, che lascia ben sperare per il futuro.
Salvatore Esposito
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