“Il gatto e la volpe” è un disco che si presta a interpretazioni differenti. Non solo perché è ricco di suoni e riferimenti differenti. Ma anche perché i due musicisti lo interpretano in modo più che libero, sfogando passioni, elaborando tradizioni, innescando dialoghi estemporanei nel segno – più che visibile – di un flusso performativo senza limiti. Gabriele Mirabassi e Simone Zanchini affrescano una grande parete, guardandosi l’un l’altro con la complicità elegiaca di chi si comprende e rimandando l’ascoltatore a una visione composita, che non può che poggiare su una base di interpretazione fluida, in modo da lasciare innanzitutto che siano la musica e l’esecuzione a spingere: oltre il brano, oltre la canzone, oltre il rimando e il richiamo (“Choro Romagnolo”). Sì perché questi due musicisti, i cui strumenti si affacciano l’uno sull’altro senza il pensiero della forma né della formalità, sembrano guidarci dentro il loro suono, in modo da accogliere una visione polisemica. Una visione che si compone dentro l’approccio diretto – spesso estemporaneo, molto spesso volutamente asimmetrico, spessissimo semplicemente e piacevolmente informale – e che continua a compiersi nel percorso interpretativo di chi ascolta (“Our Spanish love song”). In questo modo, a ogni passo, a ogni fraseggio, lungo ogni elaborazione melodica, si ha la sensazione di trovarsi dentro un ciclo. E di questo si percepiscono continuità, organicità e struttura, fuori dall’innesco incondizionato della celebrazione, della citazione, della postilla (“Felliniano”). Ascoltando gli otto brani – dai cui titoli emerge la laicità della struttura dell’album, così come la punteggiatura di una scrittura rapida e stilisticamente cangiante – si entra in un programma mirabolante. E forse è anche questo uno dei punti vivi dell’album: lo stupore ingenerato dal dialogo, la bellezza dei suoni chiari e diretti, l’effluvio di proporzioni indeterminabili se non con clarinetto e fisarmonica, il vortice sorprendente che si sviluppa da due strumenti che, nello scorrere del flusso, sembrano unirsi in un corpo unico, in una materia indissolubile (“Un tom para Jobim”). In più occasioni i passaggi di voce tra clarinetto e fisarmonica si definiscono dentro un segno leggibilissimo, anche se si ha spesso l’impressione – piacevolmente straniante – che una parte del gioco, della complicità, sia anche quella di confondere, celare e svelare, svolgere uno strumento sull’altro, dentro l’altro. Una volta ascoltato l’album vale sicuramente la pena guardare l’intervista che il pianista e compositore Giovanni Bietti ha fatto ai due autori. La si può trovare nel sito di Egea Records e, nella sua forma di chiacchierata libera ma puntuale, si pone come un insieme di connessioni: tra la musica e i musicisti, tra i musicisti e gli elementi che hanno ispirato la scrittura, l’approccio e, in generale, la selezione musicale de “Il gatto e la volpe”, tra le canzoni messe in scaletta e il programma dell’album, il corso dei lavori e l’orientamento comune che ha definito lo svolgimento dell’intero lavoro. Sia Mirabassi che Zanchini si soffermano – grazie ovviamente all’attenta analisi che dell’album ha fatto Bietti – su alcuni aspetti fondamentali. Tra questi ve ne sono alcuni che si traducono musicalmente in modo direttissimo e che possono essere ricondotti, seguendo anche le riflessioni degli autori, alla volontà di sperimentare. Ma non nel senso stretto de termine, cioè non forzando il corso della scrittura o dell’esecuzione attraverso un continuo collaudo di formule armoniche per forza spregiudicate. Ma lasciando scorrere le mani, attraversare i brani con un approccio sempre diretto, concreto e leggero. Leggendo le possibili direzioni che la complicità tra due musicisti può suggerire. E vagando verso quelle, con sicurezza e affinità. Il gioco del significato che incorpora il titolo ci propone, d'altronde, un’ambiguità che possiamo leggere solo nel segno di una complicità sistemica, profonda, (direi) naturale, totale. E dentro questo gioco sono stati compresi tutti i divertimenti musicali de “Il gatto e la volpe”.
Daniele Cestellini
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Suoni Jazz