Choro de Rua – Santo Bálsamo (Visage/Materiali Sonori, 2020)

Mescolanza fragrante generatasi a Rio de Janeiro a cavallo tra Ottocento e Novecento dalla combinazione dei balli di sala europei e di elementi sincretici afro-brasiliani urbani, lo choro (pronunciato sciòru) diviene nel tempo un genere diffuso in tutto l’immenso Paese sudamericano, tanto da far dire a uno dei suoi più autorevoli studiosi, Ary Vasconselos, che lo choro rappresenta la “personalità musicale nazionale” del Brasile 1. Una musica che si configura soprattutto come un atteggiamento e un modo di porsi, il che ne ha consentito la proliferazione e l’incontro con altri stili, attraversando ambienti musicali e sociali e facendo proseliti dappertutt,o anche al di fuori dei confini brasiliani, Italia compresa.  
Sotto i riflettori di “Blogfoolk” è il duo Choro de Rua (www.choroderua.com), formato dall‘italiana Barbara Piperno (flauto traverso e voce) e dal paulista Marco Ruviaro (chitarra a 7 corde e mandolino),  che da parecchi anni si rivolgono allo studio e alla riproposta dello choro, non soltanto cercando, con propensione filologica, di interpretare materiali provenienti dalle prime ondate del genere, ma anche indagando compositori del panorama contemporaneo e componendo nuove musiche, come accade nel loro secondo album, “Santo Bálsamo”, pubblicato per l’etichetta Visage a distanza di sette anni dall’esordio. Ne abbiamo parlato con il choráo e la chorona.

Barbara, come ti sei imbattuta nello choro?
Barbara Piperno - È una lunga storia. Dopo una frequentazione superficiale e parziale. in un quartetto di bossa nova intorno ai vent’anni, la freccia è scoccata quando ho scoperto Guinga e con lui il grande bacino di ritmi e stili a cui attinge. Partecipai a due seminari dello stesso Guinga tenuti a Torino e a Verona, insieme al grande Roberto Taufic che, come un oracolo, dopo avermi ascoltato suonare, mi disse che un giorno sarei diventata una grande chorona. 
Non avevo neanche mai sentito nominare lo choro, la mia attenzione era canalizzata quasi solo sulla musica di Guinga, che sentivo molto affine alla mia formazione e che mi mostrava un mondo tutto nuovo da scoprire. Registrai tre video di brani di Guinga e li caricai su youtube. Vennero notati da una grande cantante – ora anche una mia amica – ma che al tempo non conoscevo, Cristina Renzetti, la quale chiamò il chitarrista Rocco Papia dicendogli di aver trovato la flautista adatta al suo gruppo di choro. Poco dopo con lo stesso Rocco ho fatto una specie di casting a un concerto del suo quartetto. Non sapendo nulla di choro, mi misi a studiare come una matta per capire il linguaggio, gli accenti, perché ne ero rimasta folgorata. Passai il casting e cominciai a fare i miei primi concerti di choro, ma la vera scoperta di questo genere nella sua essenza più vera, nella pratica sconfinata, il suo forte valore sociale e aggregativo, educativo, la feci dopo un “Intensivo di Choro” a Torino, organizzato da Marco Ruviaro. Senza sapere chi fosse e cosa o chi avrei incontrato, partì… ma questa è un'altra storia.
 
Marco, come si è sviluppato il tuo viaggio nello choro?
Marco Ruviaro - Sono nato con lo choro in casa, mio nonno suonava il mandolino e il cavaquinho e mi ha insegnato qualche brano al mandolino quando avevo 5 o 6 anni. Sono mancino e già a quell'età lo strumento lo imbracciavo al contrario, con naturalezza. Più tardi, a 11 anni, ho cominciato a studiare musica seriamente. Ho studiato anche un po' di jazz e mi sono diplomato in chitarra classica, ma lo choro è la musica che da sempre fa parte del mio essere e del mio vivere.
 
Come avete scelte i materiali di questo album, cosa lo distingue dal precedente che risale a un bel po’ di tempo fa?
Marco Ruviaro - “Santo Bálsamo” è il risultato di una lunga e vasta ricerca sullo choro contemporaneo, iniziata diversi anni fa. Fortunatamente è una musica tuttora vivissima, il mondo è pieno zeppo di composizioni sempre nuove, relativamente famose o completamente sconosciute, è un universo ricchissimo, sempre alla ricerca di idee e stimoli, ma sempre con un occhio attento al passato. Consci di questo aspetto, abbiamo dunque cominciato a chiedere a tantissimi amici chorões (non soltanto della scena brasiliana ma anche di altri paesi) di mandarci i loro brani. Ci siamo trovati con diverse decine di composizioni più o meno inedite, una più bella dell'altra! Sceglierne soltanto undici per dare vita all’album “Santo Bálsamo” è stato un lavoro difficilissimo! Il nostro primo album, “Aeroplanando” del 2013, tratta sempre di ricerca, ma è nato approfondendo il repertorio della punta opposta dell’arco temporale di “Santo Bálsamo”: lo choro delle origini, dei primi compositori, quello che si suonava alla fine dell’Ottocento e inizio del Novecento. Potevamo attingere a brani conosciuti di questo periodo, ma abbiamo preferito un repertorio che fosse poco conosciuto. E ci siamo divertiti molto. Nel frattempo, fra il primo e il secondo album, abbiamo registrato altri tre dischi di choro ma con altre formazioni.

La chitarra a sette corde è la principale protagonista, con il mandolino un po’ relegato: come mai questa scelta?
Barbara Piperno - Il mandolino fa due apparizioni: in “Jabethicaba”, uno dei due brani scritti da Marco, e in “Três formas de Choro para uma mágoa/Desprezado”.  Pensando agli arrangiamenti del disco, ci siamo resi conto che il mandolino avrebbe potuto rendere più interessanti i due brani in questione, perché sono entrambi un po’ particolari. La prima è la traccia con la strumentazione più allargata, c’è anche il pianoforte (suonato dalla pianista brasiliana Elizabeth Fadel, a cui è dedicato il brano), l’altra è l’unica
traccia cantata del disco e vede intrecciarsi un brano classico di choro di Pixinguinha con una canzone di Sérgio Santos. Il duo Choro de Rua nasce flauto traverso e chitarra classica a 7 corde, è così che ci siamo, spontaneamente, sempre presentati al pubblico, con l’aggiunta, a volte della voce. Oltre al fatto che la sonorità chitarra-flauto funzioni da secoli, la sette corde ha un basso in più che, a mio avviso, permette un bilanciamento perfetto con le frequenze acute del flauto. In realtà ho chiesto più volte a Marco di portare il mandolino in scena, per un brano o due, ma non ci sono ancora riuscita! Ma credo che quel giorno non sia così distante...

Da dove proviene l’ispirazione di “Sánto Balsamo”, sia nel titolo che nel suo sviluppo musicale?
Marco Ruviaro - Nella gran maggioranza dei brani di choro, i titoli sono una descrizione di un momento, di una situazione, fanno riferimento ad una persona, ad un amico. Il brano che dà il titolo al disco è una mia composizione, scritta nel 2016 e dedicata a Denis 7 Cordas, musicista francese che, a mio avviso, è stato uno dei personaggi chiave per lo sviluppo dello per lo choro in Europa. Una volta gli ho chiesto di portarmi dalla Francia un balsamo per i miei dolori alla schiena, lui invece me ne ha portata una scatola piena! Ho pensato di dedicargli un brano che avevo composto qualche giorno prima, e l'ho intitolato “Santo Bálsamo”!

Uno dei brani più avvincenti è “Forró do Marajó”, come lo avete affrontato?
Barbara Piperno - “Forró do Marajó” è stato sicuramente uno dei brani più impegnativi! Non solo per la velocità e per la ritmica particolare, in 7/8, ma anche per la conduzione della melodia. La compositrice, Carol Panesi, suona il violino e si capisce che il brano è stato pensato proprio per il suo strumento o comunque per un arco: gli accenti, il modo di legare le note, il fraseggio ecc. Riuscire ad interpretare il brano al flauto traverso, senza perderne l’essenza, non è stato per niente facile, sono sicura di doverci ancora lavorare parecchio. Successivamente, abbiamo dovuto creare un incastro tra questo fraseggio del flauto e l'accompagnamento della chitarra. Penso di poter dire che il risultato sia un forró veramente unico nel suo genere!

Punti comuni tra choro e l’Allemande di Bach?
Barbara Piperno - Beh, domanda non facile. Non vorrei essere fucilata da qualche musicologo... Ho una formazione accademica, mi sono diplomata al Conservatorio di Pesaro nel 1996 e le mie frequentazioni con il mondo classico persistono tuttora. Da piccola, come tanti flautisti, scoprì e suonai l’”Allemanda” di Bach. Mi è sempre piaciuto molto Bach, in tutte le sue forme. Continuo a studiare e suonare alcuni suoi brani, abbastanza regolarmente. Quando ricevetti le prime partiture di choro dal gruppo di Bologna, sentì che apparentemente stavo suonando, leggendo, qualcosa che non mi era per niente estraneo, tranne negli accenti del samba, che sapevo di dover studiare, interiorizzare, senza leggere una partitura. Il disegno melodico, il fraseggio, la conduzione armonica, gli appoggi ritmici, insomma, i punti comuni fra choro e musica barocca sono tanti, nonostante i secoli nel mezzo. Come se questo non bastasse, siamo fortemente convinti (ma non è un’idea solo nostra) che lo choro sia dotato di un linguaggio che gli permetta la lettura, la rilettura di tantissima musica. Un po’ come il jazz. E speriamo di cuore che la nostra versione sia un omaggio allo choro e un omaggio alla atemporalità di Bach.

Si parlava prima di “Jabethicaba”, altro brano di Marco in cui è ospite Elizabeth Fadel. Come nasce questa collaborazione? Quale l’ispirazione per questa composizione?
Marco Ruviaro - Elizabeth è una musicista dagli infiniti talenti. Suona il pianoforte, il clavicembalo, la fisarmonica, la chitarra, il cavaquinho. Da qualche mese mi ha detto che ha cominciato a studiare anche il mandolino. Oltre ad essere multistrumentista, Beth veramente può suonare qualsiasi tipo di musica, qualsiasi genere. Ci siamo conosciuti circa dieci anni fa in Olanda, dove vive, e abbiamo sempre avuto due cose in comune: la voglia infinita di suonare e il senso dell'umorismo, due cose che ritengo fondamentali! 
Qualche mese dopo il nostro primo incontro, ho scritto un maxixe che si ispirava fortemente ai brani scritti da pianisti come Ernesto Nazareth e Chiquinha Gonzaga, proprio perché avevo già in mente di dedicarlo a Beth. Il titolo del brano nasce da un gioco di parole tra il suo soprannome, Beth e un frutto buonissimo, simile ad una grande ciliegia scurissima, che abbiamo in Brasile, la jabuticaba, da cui “JaBethicaba”. Tra l'altro, quando una donna ha gli occhi in cui l’iride scuro si confonde con la pupilla, in Brasile diciamo che abbia gli “occhi di jabuticaba” e Beth ha proprio questo tipo di occhi. Non ci avevo pensato, è stata Barbara a farmelo notare! Da un paio d'anni è nata anche la collaborazione tra Beth e Barbara, un bellissimo duo pianoforte e flauto traverso che mescola musica classica e musica brasiliana e che ha fatto il suo debutto in Germania nel 2019. Quindi siamo entrambi legati umanamente e musicalmente a Elizabeth Fadel.

“Triki”, di Fernando de la Rua, è un altro incrociarsi di mondi...
Marco Ruviaro - Fernando è come Beth, un persona con una musicalità infinita e senza confini. È brasiliano ma di padre spagnolo, quindi è cresciuto sia con le tradizioni musicali brasiliane che con quelle spagnole. Sin dagli anni Novanta, è considerato uno dei migliori chitarristi brasiliani di flamenco (per noi è assolutamente il migliore, ma noi siamo di parte!). Io l'ho conosciuto nel 2007, ero appena arrivato in Italia e avevo fatto un salto a Madrid per rivedere degli amici. Da lì è nato il Duo Baguá - con il quale, da allora, facciamo regolarmente un concerto all'anno, che è ciò che le nostre agende ci permettono! Più tardi, nel 2017, è nato il quartetto Regional Matuto (io al mandolino, Barbara al flauto, Fernando alla chitarra sette corde e il percussionista italiano Marco Zanotti alle percussioni) con cui abbiamo inciso un CD nel 2020 ma per colpa della pandemia ancora non siamo ancora riusciti a farlo uscire. 
Nello choro Fernando ha una maniera tutta sua, originalissima e bellissima di suonare, mescolando tecnica e colori del flamenco. È sempre molto stimolante suonare e stare insieme. Quindi anche nel caso di Fernando siamo entrambi umanamente e musicalmente legati a lui. 

Non possiamo non parlare di “Flor da vida” e “Santos Reis”, in cui vi ritrovate con il musicista italiano più brasiliano che c’è: Gabriele Mirabassi. Incontro vis-à-vis? O digitale? Come è stata costruita questa esperienza?
Barbara Piperno - “Flor da Vida” e “Santos Reis” sono due brani che amo e, dopo averli registrati con Gabriele Mirabassi, li amo ancora di più! Flor da vida è un valzer lento con una melodia che ti ruba il cuore: Hamilton de Hollanda l’ha dedicata alcuni anni fa alla moglie. Credo che sia una davvero una bellissima canzone d'amore. Gabriele se n’è follemente innamorato appena gliel’abbiamo fatta sentire. Ci siamo immaginati fin da subito che il suono del suo clarinetto sarebbe stato preziosissimo in un brano così delicato. Ed è stato davvero così. Siamo andati fino in Umbria, in uno studio di un suo amico in mezzo alle campagne ed è stato bellissimo registrarlo live, io e lui abbiamo respirato insieme, credo che si senta. Non abbiamo scritto nessuna seconda voce, abbiamo improvvisato entrambi e ricordo che quando abbiamo finito il brano, ci siamo detti, in cuffia, che era la take giusta. Per “Santos Reis” la scelta è stata ugualmente romantica, perché l'autore, Alexandre Ribeiro, è un clarinettista pazzesco a cui tutti e tre siamo legatissimi, un amico che vive a São Paulo e con il quale tutti e tre abbiamo intrecciato il nostro cammino musicale e umano. Era quasi dovuto scegliere il suo brano per suonarlo tutti e tre insieme! Sia Gabriele che Alexandre sono stati felicissimi di questa scelta. L’incontro reale con Gabriele è avvenuto diverse volte e ci auguriamo che ci siano tante altre occasioni in futuro. Abbiamo avuto il piacere di poter suonare più volte su un palco insieme e fuori dal palco, e nel 2018 ci ha anche coinvolto in un seminario sullo choro al Conservatorio di Terni. 
Tra l’altro abbiamo in progetto di registrare un disco con lui e altri straordinari musicisti proprio quest’anno: speriamo!

C’è anche un brano cantato da te, Barbara… ci sarà più spazio per il canto in futuro?
Barbara Piperno - Assolutamente sì. In realtà negli anni abbiamo avuto diverse idee di dischi con repertori che si allontanino dallo choro e che coinvolgano la voce, ma affrontadoli utilizzando il linguaggio dello choro - uno fra tutti il mondo della musica napoletana. Ancora non ci abbiamo messo mano, ma chissà che non ci si riesca nel 2022...  La voce ha spesso fatto parte dei concerti di Choro de Rua, ma limitata a uno, due brani al massimo, soprattutto per aiutare un pubblico che non sempre è abituato ad un repertorio di sola musica strumentale. Il risultato è stato che sempre più persone ci hanno chiesto di inserire più brani cantati nei nostri concerti e nei dischi, da cui la decisione di inserire “Três formas de Choro para uma mágoa/Desprezado” nel nostro disco: un brano delicatissimo di Sérgio Santos mescolato con un classico di Pixinguinha, in cui Marco ha fatto un bellissimo lavoro fra chitarra sette corde e mandolino.

In una frase o anche di più: un invito a giovani e meno giovani, strumentisti e non, ad avvicinarsi allo choro…
Barbara Piperno - “Lo choro fa bene a chi la suona e a chi la ascolta”, questo è un mio motto, lo ripeto spesso, come un mantra, ed è assolutamente vero. Lo choro non è solo un genere musicale, è uno stile di vita, è una maniera di stare insieme e divertirsi suonando, è un linguaggio con il quale si può davvero interpretare, capire la musica e la vita. Mi piacerebbe parlare per ore di cosa sia lo choro per me e per la miriade di persone che ho incontrato lungo il cammino in questi dieci anni e di quanto penso sia importante per tutti i musicisti, giovani e meno giovani che vogliano scoprire cosa sia davvero la convivenza con la musica. Lo choro mi ha cambiato la vita, mi ha fatto crescere tanto come musicista e, spero, anche come essere umano, ha un repertorio infinito che va dalla fine dell'Ottocento ai giorni nostri, è una musica popolare viva e vegeta in continua trasformazione e assimilazione. È perfetta per imparare a suonare uno strumento, perché è tecnicamente difficile, ti fa lavorare sul ritmo da subito, sull'interpretazione, sull’armonia e ti permette da subito di poter suonare con gli altri, grazie alle Rodas de choro. Invito chiunque fosse interessato ad entrare in contatto con noi, saremo felicissimi di indicarvi la Roda de choro più vicina, se ci sono musicisti nella vostra zona che suonano choro, mandarvi partiture o registrazioni interessanti e cosi via.



Choro de Rua – Santo Bálsamo (Visage/Materiali Sonori, 2020)
A sette anni di distanza dall’esordio come duo, Barbara Piperno (flauto) e Marco Ruvario (chitarra a sette corde e mandolino) producono “Santo Bálsamo”, opera benedetta – e non è poco – nelle note di presentazione dal compositore e chitarrista Roberto Taufic.  Per quest’avventura dello spirito, veniamo subito al punto dicendo che si avvertono la crescita del progetto, l’affiatamento, il gusto e l’eleganza dei musicisti. Diversamente da quanto avveniva in “Aeroplanando”, dove i due artisti pescavano nello choro delle origini, in questo secondo capitolo Piperno e Ruviaro si confrontano in larga parte con la letteratura musicale contemporanea di questo genere che occupa un ruolo di primo piano nella cultura della musica afro-latino-americana. Nella coppia flauto-chitarra sette corde, la funzione melodica è assolta dallo strumento a fiato, mentre l’articolazione armonica, ritmica e contrappuntistica è incentrata sulle possibilità sviluppate dal violão de sete cordas che si caratterizza per la sua estensione nel registro grave. Nel disco fa la sua comparsa di tanto in tanto il mandolino di Ruviaro, così come il piano e il clarinetto, affidati ai due ospiti (Elizabeth Fadel e Gabriele Mirabassi). Molta bellezza da raccontare, a iniziare dalla title track: un baldanzoso samba firmato da Ruviaro, che apre alla grande il programma del disco, che si snoda in dieci tracce. La successiva “Forró do Marajó” è una composizione a quattro mani del pianista e fisarmonicista Salomão Soares e della violinista Carol Panesi; è un tema dalla struttura ritmica (7/8) e melodica complessa che i due musicisti risolvono con abilità e forte senso della condivisione. Proviene dal repertorio di un altro pianista, André Mehmari, “Que falta faz tua ternura” (ricordiamo la versione che lo stesso autore ha inciso con Gabriele Mirabassi).  Sorprende la rilettura della bachiana “Allemande”  (Partita BWV1013), perché se si scandagliano le pieghe del tempo chissà che non si individuino nello choro le influenze armonico-melodiche della musica barocca europea. Il clarinettista paulista Alexandre Ribeiro è l’autore di “Santo Reis”, brano in cui la coppia si allarga a trio con l’inserimento del clarinetto prezioso di Mirabassi, che dà grande forza anche nella conclusiva “Flor da vida”, motivo del maestro del bandolim Hamilton de Holanda. Le note del piano di Fadel aprono il maxixe “Jabethicaba”, formidabile pezzo che Ruvario ha dedicato proprio alla pianista brasiliana, residente in Olanda, e che è ispirato alla scrittura degli storici pianisti Chiquinha Gonzaga ed Ernesto Nazareth, insuperabili nomi della grande onda dello choro tra a cavallo tra XIX e XX secolo. Con “Tiro e queda” entriamo nel mondo del clarinettista paulista André Parisi. Invece, “Trés formas de choro para una mágoa” del chitarrista mineiro Sérgio Santos è messo in continuità con “Desprezado”, gran classico del leggendario Pixinguinha. Qui Ruviaro lavora di fino con il mandolino, e c’è un’altra novità di questo lavoro, rappresentato dal canto caldo e posato di Barbara Piperno, che manifesta tutta l’intenzione di continuare nel cimento canoro in futuro. “Triki” del chitarrista Fernando de la Rua, brasiliano di padre spagnolo, si riempie di echi flamenco; segue il samba “Geringonça” scritto da un altro artista contemporaneo, Alessandro Penezzi, chitarrista  e compositore di Piricicaba. “Santo Bálsamo” offre una policroma passeggiata sonora: è un lavoro coinvolgente per repertorio, raffinatezza espressiva, forte anche di sviluppi improvvisativi che accrescono la tensione e rafforzano l’originalità interpretativa. Grazie a Piperno e Ruviaro per diffondere quest’arte appartenente al rigoglioso albero della musicalità afro-brasiliana, che meriterebbe maggiore visibilità nel nostro paese. Mettendo da parte le categorie analitiche musicologiche, diciamo che quella di Piperno e Ruviaro è davvero “Boa Música”. 


Ciro De Rosa

Foto di F. Anniballi, Bogdan T. Toma, Davide Ciardiello, Gabriele Gallerani e Kikko Doninelli
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1 Una lettura consigliata è Raffaele Bella, “Choro. Le radici della musica del Brasile”, Robin, 2020

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