Il quarto album dei Sons of Kemet celebra il loro decimo compleanno (e il sessantesimo della Impulse!) con musica che si trasforma in veicolo che viaggia nel tempo, a tre anni da “Your Queen is a Reptile”.
Collegando le registrazioni, realizzate (pre Covid-19) alla fine del 2019 su cui poi è intervenuto Shabaka Hutchings introducendo nuovi elementi, un aspetto inedito rispetto agli album precedenti che ha permesso di includere flauti dalla Martinica, dallo Swaziland, uno shakuhachi dal Giappone, flauti dolci, ocarine dal Messico. Il lockdown ha offerto il tempo per esplorare in profondità le tracce, ricavando diversi livelli sonori e per definire anche attraverso la parola scritta l’idea chiave di “Black to the Future”: a proposito di “To never forget the source” Shabaka Hutchings rimanda ai principi che danno forma alle cosmologie tradizionali africane in chiave di viaggio circolare. Proprio come aveva fatto Emicida in Brasile con “Amarelo”, si esce dalla linearità del tempo “occidentale” con una concezione circolare del tempo che è in primo luogo riconoscimento della dimensione ancestrale, rispetto per il passato, attenzione per come permea il presente provocando le spinte che generano il futuro. Per i Sons of Kemet possiamo aver accesso agli aspetti di circolarità del tempo e dello spazio solamente investendo tempo e energie nel ricollegarci con il passato.
Una seconda idea forte riguarda il “micro-cognitivismo”: quello che vediamo a livello micro lo ritroviamo a livello macro. Una comprensione dei processi che governano i cicli naturali generando consapevolezza dei processi che governano i cicli del corpo umano. Per Shabaka Hutchings: “Se osservi bene, questi stessi processi si riflettono nei cicli dei pianeti e della cosmologia. I Dogon del Mali vedono questa connessione ovunque e leggono il simbolismo degli eventi, piuttosto che darli per scontati".
Con Hutchings ai fiati suonano nell’album i soci fondatori dei Sons Of Kemet, Theon Cross alla tuba e i batteristi e percussionisti Eddie Hick e Tom Skinner. E ospiti come i sassofonisti Cassie Kinoshi (alto) Steve Williamson e Kebbi Williams (tenore), Ife Ogunjobi (tromba), Nathaniel Cross (trombone) e le voci di Joshua Idehen, Angel Bat Dawid, Moor Mother, Kojey Radical, Lianne La Havas, D Double E.
Fiati e batteria aprono con “Field Negus” lasciando subito spazio al lamento esacerbato di Joshua Idehen, la denuncia di come l’immaginazione nera venga oppressa dalla supremazia bianca, costretta alla mimesi: “Lightened up my skin/Bitten down my tongue” (Ho schiarito la mia pelle/Mi sono morso la lingua).
L’album è stato preceduto a fine marzo dal singolo “Hustle” con un video diretto da Ashleigh Jadee che vede protagoniste, vestite una di bianco e una di nero, le danzatrici Taitlyn e Kaylee Jaiy (Jaiy Twins) a intrecciare la loro coreografia con la voce assertiva di Kojey Radical – e backing vocal di Lianne La Havas – ad affermare di non aver più paura di nulla, sospinti dalle poderose linee di basso della tuba di Theon Cross a superare tutte le dualità che i protagonisti vivono dentro e fuori di sé, attraverso periferie urbane e foreste, giorno e notte alla ricerca di un’unità che arriva con la melodia del sax e della parte strumentale conclusiva, tornando alle onde del mare, i piedi nell’acqua, le orecchie sospese fra tradizioni diverse.
Il registro narrativo del video è sviluppato anche dalla sequenza dei titoli dei brani: “Field Negus / Pick Up Your Burning Cross” (Raccogli la tua croce ardente) / Think of Home (Pensa alla casa) / Hustle (Agita) / For the Culture (Per la cultura) / To Never Forget the Source (Perché non dimentichi le origini) / In Remembrance of Those Fallen (In memoria dei caduti) / Let the Circle Be Unbroken (Fai che il cerchio non si rompa ) / Envision Yourself Levitating (Immaginati levitando) / Throughout the Madness, Stay Strong (Resta forte in mezzo alla follia) / Black.
Il quartetto e i compagni di traversata sanno esplorare elementi consolidati ed inediti che cuciono fra loro le diverse tradizioni africane, afrocaraibiche, afroamericane ed afroeuropee, dedicando attenzione alle diverse declinazioni spoken word, così come spazio alle capacità strumentali, magistralmente dialogiche del gruppo e dei solisti
Le note che accompagnano l’album esplicitano che “i significati non sono universali e il contesto culturale di chi ascolta darà forma alla sua comprensione. Ma il messaggio di fondo rimane lo stesso: se l’umanità intende progredire, dobbiamo cosa voglia dire essere Black to the Future.”
Alessio Surian
Tags:
Global Sounds