Mario Sarica è il curatore scientifico del Museo della Cultura e Musica Popolare dei Peloritani a Villaggio Gesso, vicino a Messina, sul versante tirrenico dei Peloritani. Lui stesso, venticinque anni fa, ne è stato l’ideatore. Il museo è un vero e proprio scrigno aperto sulla ricchezza e la varietà delle tradizioni della Sicilia orientale. Mette a disposizione quattro sale che compongono insieme un racconto articolato che intreccia diversi livelli narrativi e di documentazione della cultura materiale peloritana. La prima sala ricostruisce la storia di Gesso e offre una selezione di strumenti-giocattolo legati a funzioni diverse: ludiche, didattiche, cerimoniali: dalle zampognette ai fischietti (di canna, di terracotta) alla raganella che agisce su un piccolo tamburello, accanto al Pulcinella sul carrettino che batte i piatti (esempio di riuso di materiali di riporto) e al firrigniddu, lo spaventapasseri sonoro. La seconda sala offre fra l’altro collezioni di brogni (o trummi, trombe di conchiglie), di flauti dritti di canna e di legno (semplici, doppi, tripli), di marranzani. La ciaramedda – zampogna a paro – è la protagonista, insieme alla cultura pastorale, della terza sala che la contestualizza sia in relazione alla sua lavorazione (per esempio col tornio a pedale dei Mento di Rometta), sia con le figure da presepe prodotte dalle botteghe di pasturari siciliani.
Nella quarta sala sono raggruppati membranofoni (tammureddi, tamburi a frizione e cilindrici), cordofoni e aerofoni meccanici. Nulla può sostituire una o più visite; nondimeno, il sito web offre una splendida introduzione audio-video all’insegna di un museo che “suona e canta la tradizione”. Nel corso degli anni, l’attività di ricerca è risultata in una nutrita documentazione di qualità che danno corpo e spessore agli strumenti raccolti nel museo. Questi i titoli editoriali e discografici principali curati da Mario Sarica: “Il principe e l'Orso, il Carnevale di Saponara e le tradizioni carnevalesche in Sicilia e nel Messinese” (libro,1993), “Canti di tonnara”, in “Archeologia delle tonnare in provincia di Messina” (libro 1994), “A cantata di li pasturi”, sui repertori vocali e strumentali del Natale in provincia di Messina (CD 1993), “Cumpagnu ti mannu lu Signuri, canti e orazioni di mietitura e trebbiatura in Sicilia” (CD 1994), “I doli du Signuri, canti della Settimana Santa in Sicilia” (CD 1994), “Musica da ballo in Sicilia” (CD 1996), I miricani, l’avventura discografica dei siciliani in America negli anni dell'emigrazione, 1917-1929”(CD 1999), “Sicily, the Alan Lomax Collection” (CD 2000), “Me patri mi nzignau lu carritteri”, testimonianza, intervista al carrettiere cantore Turiddu Currao (DVD 2002), “Tempo di Carnevale” (libro, 2002),“Canti della Settimana Santa in Sicilia” (CD 1994), “Canti della Settimana Santa in provincia di Messina” (DVD 2015), “Canti del Natale in provincia di Messina” (DVD, 2016).
La Provincia di Messina e la tradizione peloritana sono ambiti su cui hai ricercato e documentato con continuità e profondità: com'è nato e come si è modificato nel tempo questo tuo interesse?
Il legame profondo e secolare tra città e campagna, ovvero fra Messina e i Peloritani, ha nutrito ed alimentato, fin dall'infanzia, grazie anche all'ambito familiare, la mia curiosità ed interesse per le forme culturali di tradizione. Poi decisiva, per le mie scelte di ricerca, è stata la formazione universitaria a Bologna, con la guida carismatica del prof. Roberto Leydi, padre assieme a Diego Carpitella, dell’etnomusicologia italiana, e principale animatore a partire degli anni ‘70 della ricerca etnorganologica nelle diverse aree di tradizione italiana. A lui e al caro Febo Guizzi, altra figura centrale nell'ambito degli studi sugli strumenti musicali popolari italiani, debbo la ia prima pubblicazione in vinile, per i titoli della collana discografica Albatros, diretta da Leydi, un inedito e originale contributo di conoscenza sistematica della famiglia degli aerofoni pastorali di area peloritana (flauti diritti di canna, semplici e doppi, zampogna ‘a parole, cui si aggiungerà poi la “scoperta” dei clarinetti di canna, semplici e doppi). È stata, quella degli anni Settanta, Ottanta e Novanta, insomma l’ultimo quarto di secolo del Novecento, l'ultima grande stagione di ricerca sul campo, in grado di ridare, con rigorosi approcci metodologici e interpretativi, dignità culturale a un patrimonio etnorganologico di inestimabile valore, dalle antiche radici mediterranee. La ricerca sul campo, condivisa con altri pochi colleghi, ha consentito fra l'altro di tracciare una mappa di distribuzione e d'uso di tutte le famiglie organologiche, da quelle primarie, gli aerofoni pastorali, ai cordofoni delle musiche dei barbieri, connessi ai canti monodici e bilocali, maschili e femminili, oltre a fare emergere il repertorio a cappella polivocale, sacro e profano, in un quadro culturale di riferimento quello di tradizione orale, ormai al tramonto, perché disgregato e fagocitato dai pervasivi e omologanti modelli di vita sociali, culturali ed economici. In più, a fronte dei materiali e documenti di ricerca confluiti in oltre 30 titoli fra CD e DVD, condivisi in gran parte con la collega Giuliana Fugazzotto, ho sentito l’urgenza di offrire tale patrimonio, anche attraverso le
nuove forme di comunicazione digitale, e originali proposte performative concertistiche, segnate anche da contaminazioni e riscrittura fra colto e popolare, oralità e scrittura, con attraversamenti rigeneranti di territori continui, oltre che aprirsi al mondo scolastico e alle nuove generazioni di suonatori e costruttori di strumenti musicali popolari.
Quali criteri sono alla base dell’allestimento del Museo della Cultura e Musica Popolare dei Peloritani?
L’esito più originale e maturo di questo lungo percorso di ricerca e studio, con spiccata attitudine alla comunicazione e divulgazione dei saperi musicali e strumentali, ma anche di conoscenza diretta dei contesti residuali di lavoro e di festa agropastorali, è stata certamente l’istituzione nel dicembre del 1996 del Museo della Cultura e Musica Popolare dei Peloritani. Francamente, è stata una sfida, credo vinta, grazie ad un work in progress ininterrotto fino ai nostri giorni, sul versante dell'implementazione delle collezioni museali, a partire da quelle etnorganologiche, per passare alle maschere carnevalesche alle figure cerimoniali della Settimana Santa, al ciclo del vino, del grano dell'olio, all'opera dei Pupi, al giardino officinale. La realtà etnografica peloritana è unica nel suo genere in Sicilia, non solo perché conserva la più importante collezione di strumenti da suono e musicali della tradizione siciliana, ma anche per la produzione editoriale, anche multimediale per le collane Phone’ e Tracce, espressione del Museo, che si è dotato anche di una biblioteca della cultura siciliana la Bi.Pop. Se dovessi con una battuta dire cosa è il Museo per me, che l'ho immaginato e costruito giorno dopo giorno, direi che è un luogo di storie e racconti di uomini e donne che hanno vissuto e rispettato le risorse del territorio, testimoniando un modo di vivere e abitare il mondo nel rispetto dell'ambiente, in un'età dell'oro, rispetto alla nostra drammatica contemporaneità, affidando ai suoni e ai canti, come hanno tutte le culture
del mondo che anche la nostra, i sentimenti e le emozioni forti in grado di modellare comportamenti e relazioni
In che cosa si può differenziare da altri musei dedicati alla musica di tradizione orale?
Il tema delle realtà etnografiche da sempre impegna studiosi e ricercatori. Sul piano generale i musei cosiddetti di civiltà contadina, al di là del lodevole impegno di raccolta di beni demo-etnoantropologici hanno sofferto la difficoltà di far parlare tali testimonianze.
Il nostro museo, potendo contare sulla materia viva musicale e su un movimento anche di nuova generazione di suonatori e costruttori, è diventato uno straordinario incubatore culturale, che oltre a coinvolgere il visitatore nell'universo popolare, dalla festa al lavoro, irradia cultura sul territorio interagendo con istituzioni culturali e associazioni impegnate nella rigenerazione delle tante culture del territorio, anche in chiave turistica.
Ci puoi parlare delle pubblicazioni bibliografiche e discografiche?
La ricerca sul campo, ovvero la raccolta di materiali e documenti di tradizione orale, è come un puzzle che va ricomposto con attenzione e diligenza, dentro una cornice di studi consolidati, che prendono avvio nell'Ottocento. Molte, dunque, le fonti di studio con le quali confrontarsi, per fornire contributi accreditati dall'ambiente scientifico. Più in particolare i miei lavori di ricerca, partendo da quelli iniziali dedicati agli strumenti musicali popolari, attestato dal volume Strumenti musicali popolari in Sicilia, si sono ampliati ai contesti di festa (Natale, Carnevale, Pasqua), con saggi, opere multimediali, etc.
Vuoi introdurci agli strumenti che hai documentato nel libro e nel cd “Strumenti e canti” e alle loro specificità nel territorio messinese?
“Strumenti e Canti” è il titolo del CD che ha accompagnato la pubblicazione del volume Strumenti musicali popolari in Sicilia, edito nel 1994 dalla Provincia Regionale di Messina, e ristampato con un sedicesimo in più, dedicato alla musica dei barbieri nel 2004. È stata certamente una delle più belle mie esperienze di ricerca, realizzazione e produzione, perché ho avuto la fortuna, il privilegio di portare in studio di registrazione i migliori interpreti fi aerofoni pastorali, da Giovanni Zaccone a Sostene Puglisi 'principe' dei pastori suonatori peloritani, a Turiddu Currao, carrettiere cantore di Salice, tutti protagonisti musicali di valore assoluto, tantissime volte anche ospiti del museo. Il CD è una summa dei repertori strumentali e vocali della tradizione peloritana. Un viaggio emozionante dai suoni del flauto di canna semplice e doppio, alla zampogna ‘a parole, all'organismo diatonico, al clarinetto doppio fino ai salucioti, ovvero musica dei barbieri con serenate e ballabile, con la tradizionale orchestrina formata da mandolino, violino e chitarra.
Alessio Surian e Ciro De Rosa
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Cantieri Sonori